Un territorio (e un Paese) senza bussola [Controvento]

Camera Commercio 2 di Ettore Grassano

 

Si esce un po’ storditi, da incontri come quello di venerdì mattina in Camera di Commercio. E con la convinzione che quelli che erano un tempo gli stakeholders (meglio in italiano: portatori di interesse) del territorio, in realtà decidano sempre meno, e non sapendo a che santo votarsi chiedano lumi a politici che (non ce ne vogliano: ottime persone) contano ancor meno dei decisori suddetti.

Il casus belli è la riforma delle Camere di Commercio. A metà del guado, come quasi tutto nell’Italia renzista, sospesa tra l’ottimismo obbligatorio degli slogan e l’asprezza della vita reale, dove si sta celebrando la ‘fine della società fondata sul lavoro’ (almeno su quello regolarmente retribuito).

C’è una legge, la n. 124 del 2015 (detta legge Madìa, dal nome della bella ministra cheMadia l’ha firmata), che all’articolo 10 disciplina il drastico ridimensionamento delle Camere, a livello di numero (da 105 a 60), di funzioni, di risorse a disposizione. Mancano però i famosi decreti attuativi, quindi tutto è ancora possibile, comprese trattative sopra e sotto banco,  ed è tutto in trionfo di eccezioni, di clausole ah hoc, di accordi per vendere la pelle un po’ più cara, se proprio scuoiamento deve essere.

Ci sono i vertici della Camera di casa nostra, piuttosto arrabbiati, sia pur sempre in maniera civilissima, e con atteggiamenti di ‘prudente dissenso’. Con il presidente Gian Paolo Coscia che presenta un documento di giunta, approvato dalle associazioni di categoria, con cui in sostanza non si osa mettere in discussione la riforma Renzi/Madia, ma si cerca di salvare il salvabile.

Camera Commercio 1E ci sono i ‘portatori di interesse’ di cui sopra (ossia i rappresentanti delle diverse associazioni di categoria: commercio, agricoltura, edilizia, artigianato ecc) che scuotono la testa, sorridono amaro, in qualche caso ‘sbottano’ con argomentazioni in larga parte condivisibili. “Va bene, allora mandiamo tutti a casa: le province, le camere di commercio, le associazioni: tutte realtà piene di lavativi che non lavorano. Poi in questo paese qualcuno ci spiegherà chi deve parlare con chi per affrontare e risolvere questioni concrete, ad ogni livello, e se ancora esiste la possibilità di un confronto”. Che è un po’ la sensazione di tanti in questo momento: un regime con una pars destruens attivissima (ancorché confusa), e una pars costruens che non si capisce bene quale sia, e dove intenda andare a parare.

C’è poi, veramente, anche chi si ‘sfila’ dal mazzo: è il direttore generale di Confindustria, che ad un certo punto prende la parola, sottolinea stizzito che la sua associazione quel documento della Camera di Commercio non l’ha firmato (ergo non lo condivide, ndr), ma non spiega perché, e lascia il tavolo senza salutare nessuno.

E poi ci sono i parlamentari del territorio: due senatori (Fornaro e Borioli) e due deputati (Bargero e Lavagno). Tutti dello stesso Partitone, l’unico che conta e decide. In provincia ce ne sarebbe anche una quinta parlamentare, ormai anch’essa renzista ‘di complemento’: ma non si è mai vista ad incontri pubblici. Se li snobbi, o sia snobbata dai ‘decisori’ locali, è questione controversa, ma forse anche di scarso interesse.

Ebbene: l’impressione dopo avere ascoltato i nostri parlamentari è che Camera e Senato sul tema specifico della riforma delle Camere di Commercio (e forse non solo su quella) contino poco più di zero, forse potrebbero ottenere qualche piccola concessione dal Sovrano, se chiesta nel modo giusto e senza risultare fastidiosi.

“Mi sto annoiando”, ci sussurra un partecipante. Dalla noia alla depressione, e al senso di impotenza, è un attimo. Meno male che c’è il week end!