Tai Ji Quan, l’essenza dell’energia vitale [Lettere da Pechino]

Lettera 9 1di Marco Balestra

 

“Nel movimento trovare la calma, nella calma trovare il movimento”.

Alcuni monaci taoisti celebrano un rituale. Un canto ritmico e melodico tiene attiva la mente. Assopirsi pare inevitabile, così istintivamente ne seguo il ritmo, lo ascolto e cerco di percepirne il senso, per di più ermetico e criptato.
Comprendere il sistema filosofico cinese necessita di una conoscenza che non passa solo attraverso la lettura di decine di manuali, ma richiede spesso un approccio più ravvicinato in qualcuno o qualcosa che possa decomprimere ed esprimere concetti culturali nascosti nelle diverse discipline cinesi.

Ero a conoscenza di una leggenda sul Tai Ji Quan riguardo il monaco taoista Zhang Sanfeng (1270 d.C.) che, durante un ritiro meditativo, vide una gru e un serpente combattere. I colpi mirati della gru venivano elusi dalla sinuosità del serpente. Con attenzione il monaco comprese quanto la scioltezza e i movimenti circolari racchiudessero principi di lotta.

Non mi rimaneva altro che trovare un maestro che potesse spiegarmi l’origine della lottaLettera 9 2 cinese e la scuola il Cerchio Celeste, che da circa 20 anni insegna nel Monferrato, faceva al mio caso.
Raggiungo il luogo dove la “Daojia” (scuola taoista) guidata dal Maestro Valter Bellisario, esercita e pratica il Tai Ji Quan.

Sono interessato al Tai Ji perché credo che racchiuda significativi elementi per preservare il benessere psico-fisico, oltre che incorporare importanti fondamenti di filosofia cinese. Sono dell’idea che la pratica possa insegnarmi quanto Zhang Sanfeng intuì.

Non mi rimane altro che provare a concretizzare la sinuosità attraverso una serie di esercizi, chiamati Tui Shou (spingere con le mani) con il maestro.

Lettera 9 3Mi preparo assumendo la posizione: “Devo solo ruotare sulle anche quando sento la sua spinta, cosicché io possa disperdere la sua forza, nient’altro” mi dissi. Purtroppo la mia sinuosità rimase solo un esile concetto.
“Ti muovi troppo sulle gambe e non sei rilassato con le braccia. Se non sei disteso non riesci ad avvertire e percepire la mia energia e non sarai in grado di disperderla.”

Certo è chiaro. Conosco i concetti di Yin e Yang (filosofia taoista), il vuoto e il pieno, la sinuosità e la calma della mente, ma il mio corpo sembra essere estraneo a queste teorie.
Milioni di testi in commercio sulla pace dell’anima e la serenità interiore hanno spesso creato l’illusione di una possibile armonia “eterna” dimenticando quanto il nostro corpo comunichi e necessiti molto di più che mere dottrine.

“Quando pratichiamo Tai Ji Quan, non dobbiamo lasciarci andare ad una rilassatezza senza attenzione, ma dobbiamo dirigere la concentrazione in ogni singolo e impercettibile movimento. Il Tai Ji Quan deve essere qualcosa che attiva la mente non il contrario, dovete essere pieni e pesanti ma non dovete irrigidire i muscoli. La praticLettera 9 4a della forma deve essere eseguita lentamente, senza fretta così da irrobustire – tendini e legamenti – ed esercitarsi secondo il famoso detto -come una barra di ferro avvolto nel cotone”.

Le parole del Maestro Bellisario scaturiscono da una nitida e ferrea esperienza condivisa con diversi maestri cinesi nei diversi anni del suo apprendimento. Ed è facile intuire l’autenticità e la passione del suo insegnamento.
Dopo circa un’ora e tre quarti la lezione finisce. Ringrazio il maestro per avermi concesso uno spiraglio di saggezza, riconoscendo che il Tai Ji lo si può apprendere solo tra le righe.