Cozzo: “l’Italia ha il motore ‘in panne’, ma sapremo ripartire. E l’auto elettrica tra pochi anni sarà come oggi i telefonini: ce l’avremo tutti!”

cozzo“A ‘tirare’ ancora la volata della produzione, e dell’espansione, in questo momento è rimasta solo la Cina, che è una storia a parte. Anche paesi come il Brasile, che per 15 anni hanno rappresentato una risorsa importante per tante imprese occidentali, italiane comprese, ormai sta tirando i remi in barca. Speriamo bene, ma la situazione non è delle migliori. In Italia poi, fare impresa è sempre più complicato”.

Attenzione, perché a fare questa analisi, ‘a freddo’ appena ci incontriamo, non è propriamente un signore qualunque, ma Gian Piero Cozzo. Alessandrino, 68 anni, Cozzo ‘fa impresa’ da cinquant’anni, e oggi è presidente nazionale di Unionmeccanica, ossia il gruppo che, all’interno di Confapi, aggrega e rappresenta la piccola e media industria metalmeccanica.

Per questo la conversazione assume un rilievo particolare: Cozzo ha girato e gira il mondo, ha aperto, fatto crescere e venduto stabilimenti in Argentina, Brasile, Polonia. Crede talmente nell’innovazione come motore dell’economia, che ha deciso di investire (“ma non sono solo: siamo un pool di imprenditori”) in una start up di Poggibonsi che progetta e produce componenti per motori elettrici, “perché quello è il futuro, e tra pochissimi anni se ne accorgeranno tutti. Tra un’auto elettrica e una ‘a scoppio’ non c’è paragone in termini di costi, consumi, qualità/prezzo. E naturalmente del rispetto ambientale: è quella la nuova frontiera.

Proviamo allora a farci spiegare da Gian Piero Cozzo quale scenario industriale si sta delinenando, a livello internazionale. E anche a capire, in questo contesto, quante e quali carte può ancora giocarsi l’Italia, “che ha una vera, fondamentale risorsa, nonostante tutto: ed è genialità degli italiani”.

 
Presidente Cozzo, lei per lavoro gira il mondo: che aria tira, dal punto di robotvista economico-produttivo, fuori da casa nostra?
(sospira, ndr) Il clima è pesante quasi ovunque, anche se ogni area del mondo ha la sua storia, e certamente l’Europa sta pagando uno scotto altissimo a causa di scelte macro politiche e macro economiche discutibili: in sostanza, ad un certo punto ci si è illusi che la delocalizzazione produttiva e la globalizzazione fossero il nuovo Eldorado, la terra promessa. E oggi cogliamo in pieno i frutti avvelenati di quel processo.

Turisti cinesiMa ci sono ancora aree in espansione?
La Cina, sicuramente. Per il resto poco altro: lo stesso Brasile (che ovviamente per dimensioni e storia è altra storia rispetto ai cinesi) ha rappresentato, una ventina d’anni fa, un mercato fortemente attrattivo per le imprese di mezzo mondo, Italia compresa. Io stesso ci aprii uno stabilimento, dopo quello in Argentina. Pareva ci fossero tutte le condizioni per un lungo ciclo espansivo, basato sui consumi interni del Paese.

Ed è stato davvero così?
Solo in parte, e per pochi anni. E mi faceva, e fa, sorridere chi attribuiva meriti particolari alla politica, e a Lula: che invece ha avuto solo la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, e di beneficiare di una congiuntura favorevole. In ogni caso, i consumi interni in Brasile non sono decollati come si prevedeva, anche se quello è stato comunque un grande mercato per la produzione: poche tasse, basso costo della manodopera. Si produceva là, per esportare nel resto del mondo. Oggi non è più così: noi abbiamo venduto lo stabilimento da tempo, come del resto quello in Argentina: attenzione, venduti, non chiusi. C’è una bella differenza: erano e sono piccoli gioielli industriali.

La casa madre delle sue attività è sempre stata a Quattordio: poi cosa è auto-elettricasuccesso?
Anche lì, al momento opportuno abbiamo ceduto ad una società controllata dalla General Motors: che nel tempo ha poi dislocato la produzione in Polonia. Sono le dinamiche del mercato che determinano le scelte degli imprenditori: o le sai cavalcare, o ti travolgono. Da qualche anno ho scelto di investire sul mercato del trasporto elettrico: sono socio di una start up, con sede a Poggibonsi, che si chiama Etalica, e trasforma e commercializza mezzi di trasporto con motore che va ad elettricità, e non a scoppio.

Un mercato di nicchia?
Tutt’altro: nel giro di pochissimi anni questo sarà il futuro del mercato delle auto. Nel nord Europa le auto completamente elettriche (attenzione: completamente, non ibridi) è del 30%, ad Amsterdam siamo al 17.5%. Anche il sud Europa si muoverà, nonostante ‘resistenze’ di vario tipo, facilmente intuibili. Ma il motore elettrico costa meno, non inquina, consente un minor logorio anche di tutte le altre componenti dell’auto: basti pensare che i freni praticamente non si usano, se non in emergenza. E freni significa inquinamento, come noto. Insomma: l’auto elettrica sarà nel prossimo decennio quello che il telefonino è stato nel primo decennio di questo secolo. Un mercato destinato ad ‘esplodere’, e credo anche ad aprirsi ad operatori medi e piccoli, al contrario di quello dell’auto attuale, appannaggio solo dei grandi player internazionali. L’importante è arrivarci preparati.

Insomma, la parola chiave per reagire alla crisi si chiama innovazione?
Sempre, e comunque. Gli italiani, mi creda perché davvero ho girato il mondo, devono solo tornare a credere in se stessi, perché hanno una capacità inventiva e di sintesi che pochi altri popoli hanno, forse nessuno. Abbiamo anche difetti e limiti, sia chiaro. Però se riprendiamo a valorizzare le nostre competenze, ce la facciamo. Ovviamente però indietro non si torna, mai.

Fabbrica 1Cosa significa?
La vecchia azienda manifatturiera, ossatura della nostra economia dal dopoguerra fino a pochi anni fa, è alle spalle per sempre. Un ciclo finito. Le aziende del presente, e del futuro, sono 4.0, con un ciclo produttivo integrato, e ad alta specializzazione. O si accetta questa sfida, o si è fuori.

 

C’è però chi sostiene che questo modello produttivo organizzativo, fabbrica-4-0chiamiamolo 4.0, sia del tutto modellato e ‘schiacciato’ sulle esigenze dell’impresa, e che a farne le spese saranno i lavoratori, e i loro diritti….
Non lo nego, non mi nascondo. Il 4.0 è il modello che si sta imponendo in tutto il mondo, e chi si illude di boicottarlo finirà ai margini. Ma pone senz’altro enormi questioni, sul piano sociale, che sta a politica, sindacati dei lavoratori e rappresentanze dell’impresa affrontare subito, senza isterismi o barricate ma seriamente. Perché è vero che andiamo verso un modello di impresa in cui gli addetti o sono iper specializzati e qualificati, oltre che flessibili, o non servono più. E il ciclo della produzione necessita di sempre meno personale. Che ne facciamo di tutti gli altri? Come assicuriamo loro una vita dignitosa, che consenta tra l’altro a queste persone di restare anche nel circuito dei consumi? Sono temi enormi, che non so risolvere. So solo che tanti piccoli imprenditori, che hanno magari 20 o 30 dipendenti, sempre quelli da decenni, hanno costruito con loro un rapporto forte, umano e non solo lavorativo. Come fai a dire da un giorno all’altro ‘chiudo’, e a lasciarli per strada? Ma d’altro canto, se un’attività va in perdita strutturale non può che chiudere: i miracoli in economia non esistono.

Presidente Cozzo, cosa frena davvero la nostra economia? Il balletto attorno allo zero virgola di crescita del Pil, quando ci sono paesi come la Spagna o gli Stati Uniti che viaggiano sul 3 o 4 per cento, sa un po’ di fallimento…
Abbiamo enormi problemi, causati da scelte sciagurate non solo di oggi. Risorse private in Italia ce ne sono, eccome. Ma chi ha investito nel mattone oggi viene ‘bastonato’, oltre ogni limite. Le tasse sono a livelli assurdi per tutti, ma per chi fa impresa in modo particolare. Poi ci sono le banche: che hanno enormi risorse da allocare, ma vogliono farlo senza prendersi rischi: e d’altra parte oggi è la stessa impresa che spesso preferisce non ricorrere alle banche, per non infilarsi in un circuito infernale.

Siamo una macchina ‘in panne’, insomma: lei è di quelli che credono chereferendum il referendum alle porte potrebbe contribuire a farla ripartire?
(allarga le braccia, ndr) Non mi piace per niente il clima che si respira, da crociata politica pro o contro qualcuno. Si sta strumentalizzando un referendum che invece dovrebbe soltanto servire a mettere a punto regole condivise. Certamente, da imprenditore, dico che è necessario che ci sia uno snellimento della burocrazia, e che si creino condizioni di stabilità e fiducia: se mancano quelle, non si può chiedere alle imprese di continuare a compiere atti di eroismo.

Quindi lei voterà sì, ma senza risvolti politici?
Esattamente: credo che si possa dire così. Un sì tecnico.

Presidente Cozzo, chiudiamo con i Grigi: una passione conclusa?
Per niente, sono tifosissimo. E’ conclusa l’esperienza dirigenziale: sono stato nel team di imprenditori che, con la presidenza Bianchi, ha riportato i Grigi dai dilettanti a sfiorare la B, e non posso che gioire oggi per i successi di Di Masi. Ho anche avuto un’esperienza di gestione del settore giovanile quando c’era presidente Veltroni, e lì stendiamo un velo pietoso.

cento-grigiofu anche i promotori del Cento Grigio, struttura sportiva alessandrina di vera eccellenza: è ancora della partita?
Dice bene, il Cento Grigio è una realtà di vera eccellenza, non ce ne sono di simili in provincia, e forse neppure nel resto del Piemonte. Potrà essere un volàno importante per lo sport alessandrino, e in particolare per il calcio dilettantistico, e per le giovanili dei Grigi, che lì hanno trovato una casa di qualità. Sono stato tra i promotori del progetto, è vero: ma il merito della sua realizzazione è tutta del mio amico Gilberto Preda (importante orafo valenzano, ndr), e di suo figlio Alessandro. Sono certo che sapranno farlo diventare un punto di riferimento non solo locale.

Ettore Grassano