L’arbanela [U Gnacapiöğ]

Bona Giorgiodi Giorgio Bona

 

A drob l’arbanēla, l’albanella in italiano, che non è piena di leccornie sott’olio, ma, come diceva il grandissimo Gianni Fozzi, cantore di un’Alessandria che, ahimè, ha smesso di esistere, è un contenitore di ricordi.

Chi non conserva un’arbanēla e ogni tanto, nei momenti un po’ così, più riservati, più nostalgici, la va ad aprire e narisa andrenta. Il profumo che emana a volte è rancido e un po’ fastidioso, ma il più delle volte ha quel profumo intenso e suggestivo da far venire le lacrime agli occhi.

Am viš cantava invece un altro grande come Giorgio Celerino, altro cantore di quell’Alessandria in cui aleggiava lo spirito della gogliardìa e del bel vivere.
Questo spirito negli anni 70 ci aveva contagiato tutti.

Voglio raccontare un aneddoto dei trascorsi con due amici che ho già avuto modo di ricordare su questo blog: Pino Mantelli e Fabrizio Gavazza e che fa capire lo spirito di quegli anni meravigliosi.

Era il 1976 ed eravamo in vena di scorribande e di nottate fuori dal comune. Eravamo soliti frequentare un locale “I Pierini” gestito dai mitici fratelli Pierino e Giuseppe.

In quel locale, con la gogliardia di quegli anni mi guadagnai lo stradinom del Maestro per via dei miei studi umanistici dove gli amici avevano prospettato per me una fulgida carriera da insegnante dopo la laurea.
Una sera, intorno alle due, io non era ancora rientrato e i miei ricevettero una telefonata che li svegliò nel cuore della notte facendoli sobbalzare.
“C’è il maestro? L’è lè cà ad cul’artista?”
Mia madre staccò il telefono con un colpo secco facendolo risuonare per tutta la casa. Per fortuna io rientrai poco dopo perché non vedendomi a letto si era cominciata a mettere in agitazione.

Il nostro appartamento era al piano terra e d’estate si dormiva con le finestre aperte e le persiane abbassate. Mi ero appena addormentato quando un rumore assordante sventrò le mie persiane e, dopo aver acceso la luce, trovai uno stivale sul pavimento. Erano Pino e Fabrizio che mi avevano dato la sveglia e Pino stava per tirare il secondo stivale accompagnando la sua performance con delle urla che misero in allarme tutta Piazza Mentana.

In pochi minuti mi feci trovare pronto. Mia mamma non fece in tempo a fermarmi che io ero già in macchina con i miei amici. Destinazione: i Pierini.
I fratelli stavano chiudendo e quando ci videro arrivare si misero le mani nei capelli.
“Adesso vi faccio fare una copia delle chiavi così chiudete voi il locale,” disse con aria rassegnata Pierino.

Intanto Pino versione Ercolino sempre in piedi non riusciva più a orientarsi per aver alzato il gomito oltre il dovuto e aveva un impellente bisogno fisiologico. Senza rendersene conto aveva inaugurato un nuovo vespasiano dietro il bancone della pasticceria.
Pierino e Giuseppe volevano fulminarlo. Portammo via Pino a stento e andammo a casa sua.

E lì il resto della storia continua. Alla prossima.