Da pochi mesi è il direttore della Confederazione Italiana Agricoltori di Alessandria, dopo esserne stato presidente per sette anni (oggi la carica è ricoperta da Gian Piero Ameglio). Ma è anche contitolare di un’azienda vitivinicola di qualità, (“con due sedi produttive, una a Cremolino e l’altra a Serralunga d’Alba: ossia Monferrato più Langhe”), e rappresenta la categoria degli agricoltori nella giunta della Camera di Commercio: insomma, Carlo Ricagni ha le carte in regola per aiutarci a ‘tastare il polso’ all’economia agricola del territorio, per capire qual è lo stato di salute del settore, che viene spesso indicato, ultimamente, come quello probabilmente più ‘impermeabile’ alla crisi, o comunque che meglio ha saputo reagire e affrontare le difficoltà degli ultimi anni. Puntando su un mix di tradizione e di capacità di innovare, e sulla riorganizzazione della filiera produttiva e distributiva.
Direttore, partiamo dal mondo del vino, che la vede tra l’altro anche protagonista attivo: supereremo mai, dalle nostre parti, il ‘complesso delle Langhe’?
(sorride, ndr) Proprio perché con l’azienda di cui sono socio opero sia nel nostro Monferrato, che nelle Langhe, le posso confermare che sono entrambe realtà meravigliose. Là hanno saputo partire per tempo, venti e più anni fa, affermando un brand a cui corrisponde un’effettiva qualità del prodotto vino, e anche una grande capacità di fare sistema. Ma a casa nostra stiamo facendo passi da gigante, e dobbiamo avere forse solo più fiducia in noi stessi, e nei nostri mezzi. La provincia di Alessandria, lo sappiamo, è assolutamente policentrica, e tuttavia credo che il brand Monferrato sia sufficientemente noto, fuori dai nostri confini, da consentirci di sfruttarlo di più e meglio. Ben sapendo che il tortonese o il gaviese, per dire, non sono Monferrato: e parliamo per entrambe le zone di aree con una produzione vitivinicola di grande qualità. Il Gavi, in particolare, è un vino apprezzato in tutto il mondo, e quello è un distretto che ha già messo in atto percorsi di forte valorizzazione.
Però sempre più appunto il vino è accostato alla bottiglia di pregio, che ‘racconta’ un territorio. Questo significa che il mercato per le cantine sociali e la produzione di vino sfuso, o comunque a basso costo, andrà ad esaurirsi?
Intanto partiamo da un dato oggettivo: nel giro di qualche decennio, la qualità complessiva della produzione vinicola di casa nostra è enormemente migliorata, e oggi è in gran parte produzione ‘certificata’ da disciplinari che attestano denominazione e caratteristiche del prodotto. E le cantine sociali, in particolare, hanno fatto e stanno facendo un percorso evolutivo importante: hanno capito che produrre ottimi vini è il primo passo essenziale, ma non basta. Bisogna poi attrezzarsi, in maniera diretta o anche indiretta, perché quei vini siano conosciuti e apprezzati, anche al di là dei confini locali: guardando al mondo, e non solo all’Italia, come mercato. Cito allora, pur senza voler fare torti ad altri, il percorso eccellente che sta compiendo da questo punto di vista la Cantina Tre Secoli (quella di Ricaldone-Mombaruzzo, ndr), oppure il ruolo di una cooperativa di secondo grado, partecipata da molte realtà alessandrine, come Terre da Vino. E poi in provincia abbiamo anche, non dimentichiamocelo, realtà eccellenti come Enosis Meraviglia di Donato Lanati, che è enologo di fama mondiale.
Però, dottor Ricagni, agricoltura a casa nostra significa anche e forse soprattutto cereali: siamo pur sempre uno dei grandi granai d’Italia….
Assolutamente: di anno in anno ce la giochiamo, sul fronte della produzione di frumento tenero (l’ingrediente base del pane, per intenderci) con la provincia di Bologna. Ma siamo certamente sempre tra il primo e il secondo posto. Poi ci sono tutte le colture specializzate: la chiusura dello zuccherificio di Casei Gerola, fu, ne rimango convinto, un grave errore, e il fatto che la barbabietola da zucchero stia tornando ad avere un ottimo mercato lo dimostra. Ma le nostre aziende hanno anche saputo fare conversioni importanti, e oggi primeggiano sul fronte della produzione di pomodori da industria (e a Pozzolo Formigaro abbiamo anche un’importante industria di trasformazione del prodotto, la Tomato Farm), ma anche, in varie zona della provincia, di patate, ortaggi, frutta e verdura in genere. Con tante realtà ad elevata specializzazione, e un forte legame, naturalmente, con l’industria agro-alimentare. Che è un tassello contiguo all’agricoltura, sul fronte della filiera economica del territorio.
E tra le peculiarità degli ultimi anni ci sono certamente i noccioleti: qualche anno fa ci fu una campagna ‘promozionale’ piuttosto importante su questo versante. Ha dato i frutti sperati?
Direi di sì, anche se naturalmente parliamo di una coltura che ha tempi lunghi di implementazione. Però i noccioleti si stanno diffondendo ‘a macchia di leopardo’ un po’ ovunque nella provincia, con punte rilevanti nell’acquese, e nel casalese. E, anche qui, stiamo parlando di una produzione di alta qualità, e con un legame molto forte con l’industria agroalimentare, in particolare il distretto dolciario del novese.
Quanti sono gli addetti del comparto agricolo, in provincia?
E’un computo non facile da fare. Certamente le aziende del comparto iscritte alla Camera di Commercio sono circa 10 mila, e di queste circa 6 mila sono quelle professionali, ossia in cui l’attività agricola è svolta come attività esclusiva, o principale. E un altro dato rilevante è che ormai la media dimensionale delle aziende agricole del nostro territorio tende a crescere costantemente, ossia c’è in corso una riorganizzazione importante: è un comparto che guarda al futuro, e che investe costantemente: e questo oggi è un aspetto assai rilevante.
L’agricoltura, dopo anni un po’ di ‘appannamento’, da un po’ è anche tornata ‘di moda’: nel senso che, forse anche per la crisi di diversi altri settori, sempre più si sente parlare di giovani (sempre almeno diplomati, ma non raramente laureati) che vogliono fare gli agricoltori: magari iperspecializzati. Lei che consiglio darebbe?
Certamente quello di acquisire competenze, prima di ‘buttarsi’. Indubbiamente poi il nostro è un settore che ha forti barriere all’ingresso: nel senso che comprarsi un’azienda agricola richiede investimenti rilevanti. Oltretutto, la mobilità delle proprietà è scarsa: chi ha un’azienda tende a tenersela, perché oggi è anche un valore economicamente stabile, ma soprattutto perché rappresenta anche una dimensione affettiva, e spesso una storia di famiglia. Detto questo, è vero: per fortuna da un po’ di anni constatiamo un’inversione di tendenza, e un sempre maggior numero di giovani (magari figli, o comunque parenti di chi è già nel settore) che scelgono di investire in agricoltura. E fanno bene, perché il nostro è un settore, soprattutto qui da noi, dalle grandi potenzialità, ancora tutte da cogliere e sviluppare.
Expo 2015 sarà un’opportunità importante per il nostro territorio, anche sul fronte agricolo-ricettivo, o piuttosto un treno ad alta velocità che vedremo sfrecciare, senza fermate in zona?
Ne discutiamo spesso, soprattutto in Camera di Commercio, dove con la nuova presidenza Coscia (il primo presidente di matrice agricola, e ne siamo fieri!) si sono messi in moto nei mesi scorsi percorsi e progetti che puntano ad essere davvero da stimolo e lievito per l’economia del territorio. Io credo che Expo sia un appuntamemto importantissimo, e che debba rappresentare l’occasione per fare un ‘balzo in avanti’ sul fronte della riorganizzazione dell’offerta e dell’immagine turistica (che è anche e in buona parte enogastronomica e legata ad aziende agricole, agriturismo, bad and breakfast, prodotti tipici) del nostro territorio. Però Expo non può essere il fine: semmai il mezzo, lo strumento attraverso il quale guardare anche oltre: al 2016, 2017 e, complessivamente, al futuro.
Direttore, questione sempre delicata, in agricoltura, è quella che riguarda i lavoratori stagionali, molto spesso stranieri. Ogni tanto, come sa, emergono vicende anche gravi, come quella dei braccianti di Castelnuovo Scrivia di due anni. Qual è la situazione complessiva?
Senza entrare appunto in casi specifici, posso dirle che certamente in agricoltura la manodopera stagionale, straniera in gran parte, rappresenta una risorsa essenziale, imprescindibile. E ogni buon imprenditore agricolo sa bene che, per fidelizzare lavoratori che di anno in anno acquisiscono competenze specifiche importanti, occorre offrire loro formule lavorative che siano non solo rispettose delle leggi (quello è scontato), ma anche rappresentino uno stimolo e una sicurezza, in termini di continuità e crescita. Certo, spesso assumere a tempo indeterminato è impossibile, sul fronte del conto economico. Però tutto sommato la contrattualistica in agricoltura ha una certa flessibilità, che consente di studiare formule e raggiungere accordi che risultino soddisfacenti per i lavoratori, e al tempo stesso sostenibili per l’imprenditore.
Ettore Grassano