Alessandro Benvenuti in Falstaff a Windsor giovedì all’Alessandrino

Falstaff a Windsor interpretato da Alessandro Benvenuti, adattamento e regia di Ugo Chiti, prodotto da Arca Azzurra, è il prossimo appuntamento della Stagione di Prosa 23-24 del Comune di Alessandria e Piemonte dal Vivo con la partecipazione di Asm Costruire Insieme, in scena al Teatro Alessandrino, di Via Verdi 12, giovedì 29 febbraio alle ore 21.

TRAMA E NOTE SULLO SPETTACOLO
Dopo i successi di Nero Cardinale e L’avaro, si rinnova la collaborazione tra Ugo Chiti, Alessandro Benvenuti e gli attori di Arca Azzurra per un lavoro dedicato a uno dei grandi personaggi shakespeariani, Falstaff.
Il Dramaturg tratteggia un profilo perfetto per il grande attore, attingendo tanto ai drammi storici Enrico IV e Enrico V quanto alla figura farsesca che emerge da Le allegre comari di Windsor.
In questo adattamento l’eroe e antieroe “resuscita” a Windsor esprimendo, gigione e irridente, la natura del suo personaggio: un’arroganza aristocratica, con un sangue plebeo, popolaresco, che muta dalla rabbia al sarcasmo ma rimane disarmante, quasi patetico, perché non conosce, o non sa, darsi le regole e la consapevolezza dell’età che “indossa”.
Questo Falstaff, per molti aspetti, resta fedele al testo originale delle Comari di Windsor, ne rispetta gli appuntamenti farseschi; si lascia beffare, esce avvilito e percosso dai travestimenti, sembra quasi masochisticamente rimpicciolito, anche se dietro queste mutazioni ribolle la rabbia del personaggio che sembra ancora pretendere il rispetto dovuto all’antico ruolo del cavaliere.
Solo l’ultima beffa, l’ennesimo inganno di un’attesa punitiva nel parco, cambia struttura e andamento narrativo. Il mutamento arriva grazie all’intervento di Semola, un personaggio che fin dall’inizio ha fiancheggiato Falstaff facendosi assumere come paggio: servizievole, irridente, mutevole, inquietante, occupa allusivamente la funzione di un fool che solo alla fine (allucinazione o sogno?) assume le vesti e le sembianze del principe Enrico, tornato a bandire Falstaff dal consorzio umano.
Niente fate, folletti, fastidi e pizzicotti, ma l’asprezza di una condanna che ribadisce come nell’ordine prestabilito del potere non si trovi posto dove collocare un corpo tanto grande quanto irrazionale e magico.

UGO CHITI : UNA NOTA SU FALSTAFF
Falstaff grandeggia nella prima parte del dramma storico Enrico IV, dove Shakespeare disegna, forse, il suo primo vero personaggio costituzionalmente e interamente comico, come sostiene Gabriele Baldini nel suo prezioso Manualetto shakespeariano.
Sir John Falstaff con le sue fattezze solenni, la pancia esagerata esibita con fierezza pagana, ha qualcosa di empio e mostruoso, ma non disturba o sdegna mai perché di fondo… «quel suo gran corpo, quella sua vecchia carne di peccatore, quella sua compitissima esperienza di bettole, lupanari, di mariuoli e mariuolerie complica, ma non abolisce l’anima sua di fanciullo» (B. Croce).
Falstaff si muove affiancando la selvaggia anarchia del giovane principe Enrico erede al trono, assieme condividono intemperanze e ribalderie che sovvertono codici e regole, allineandosi su una ambigua chiassosa linea d’ombra. In Falstaff, nel suo prescindere dalla morale e dall’onore, si possono riconoscere miti, astrazioni, categorie che hanno concorso alla sua creazione: dal miles glorosius alle figure allegoriche del vizio, della gola, della vanità, della dissipazione e altre ancora; ma tutte si fondono in una figura teatrale che Shakespeare rende eterna come empatica specchiatura umana.
Nella seconda parte del dramma storico, Falstaff supera le prodezze del primo. Shakespeare “consegna” al personaggio una piena libertà sulla scena e il grande vecchio cresce, si rimpolpa di battute fulminanti, monologhi esemplari, “carne teatrale” che genera risate e riflessioni, vita che si spezza quando l’irrequieto febbrile principe ereditario sale sul trono del padre e assume il potere di un re. Falstaff ora è ombra di un passato da ripudiare: il grande, glorioso antieroe viene allontanato, per lui non c’è posto nelle tortuose architetture del potere. Così nel seguente Enrico V non c’è più traccia fisica di Falstaff, la sua presenza aleggia attraverso le parole di altri personaggi, torna, inaspettata e straziante, nel racconto dell’ostessa che lo ha visto spirare tra le sue braccia, in un freddo stanzino della stessa locanda dove Falstaff ha celebrato tante volte il “cerimoniale” del suo esistere.
Falstaff a Windsor
Falstaff, malgrado la morte, torna in vita con Le allegre comari di Windsor, una rinascita espressamente richiesta dalla regina Elisabetta che gradiva vedere ancora sulla scena sir John Falstaff, magari nelle vesti di un canagliesco innamorato avanti con gli anni (così dice la leggenda, non si sa quanto attendibile; tuttavia nel 1602, quando la commedia uscì pubblicata in un in-quarto, il titolo precisava che era stata recitata più volte anche in presenza della Regina Elisabetta).
Le allegre comari di Windsor è testo indeciso tra la commedia nera e la farsa dove tutti tradiscono tutti, una trama affollata di storie e sottostorie con personaggi impegnati a moltiplicare beffe e travestimenti, che finiscono poi col confondere e intralciare quella che in ogni caso rimane la storia portante, ovvero come l’empio Falstaff diviene vittima di tre beffe ordite da due rispettabili signore che si ergono a emblema di tutta una comunità ostile.
Falstaff a Windsor elimina parte del frenetico sovrapporsi di episodi, scelta non solo in funzione di stringatezza e coerenza di ritmo, ma scelta drammaturgica per ritrovare echi più falstaffiani nelle vesti troppo strette della farsa. In questo adattamento Falstaff “resuscita” a Windsor “sparando” subito, gigione e irridente, la natura del suo personaggio: un’arroganza aristocratica, con un sangue plebeo, popolaresco, che muta dal rabbioso al sarcastico ma rimane disarmante, quasi patetico, perché non conosce, o non sa, darsi le regole e la consapevolezza dell’età che “indossa”.
Questo Falstaff, per molti aspetti, resta fedele al testo originale delle Comari di Windsor, ne rispetta gli appuntamenti farseschi; si lascia beffare dalla furia vendicativa delle due signore, esce avvilito e percosso dai travestimenti, sembra quasi masochisticamente rimpicciolito, anche se dietro queste mutazioni ribolle la rabbia del personaggio che sembra ancora pretendere il rispetto dovuto all’antico ruolo primario.
Solo la terza beffa, l’ennesimo inganno di un’attesa punitiva nel parco, cambia struttura e andamento narrativo. Il mutamento arriva attraverso Semolino, un personaggio che fin dall’inizio ha fiancheggiato Falstaff facendosi assumere come paggio: servizievole, irridente, mutevole, inquietante, occupa allusivamente la funzione di un fool che solo alla fine (allucinazione o sogno?) assume le vesti e le sembianze del principe Enrico, tornato a bandire Falstaff dal consorzio umano. Niente fate, folletti, fastidi e pizzicotti, ma l’asprezza di una condanna che ribadisce come nell’ordine prestabilito del potere non si trovi posto dove collocare un corpo tanto grande quanto irrazionale e magico.

PERSONAGGI E INTERPRETI
Falstaff a Windsor
Liberamente tratto da Le allegre comari di Windsor
di William Shakespeare
adattamento e regia di Ugo Chiti
con in ordine di apparizione:
Falstaff Alessandro Benvenuti
Raffo Dimitri Frosali
Pistola Paolo Ciotti
Semola Paolo Cioni
Caterina Page Giuliana Colzi
Mary Elisa Proietti
Alice Ford Lucia Socci
William Ford Andrea Costagli
S. Page, Giudice Supremo Massimo Salvianti
Scene Sergio Mariotti
Costumi Giuliana Colzi
Luci Samuele Batistoni
Musiche Vanni Cassori

Assistente alla regia Alessandra Panzone
Assistente ai costumi Susanna Fabbrini

Direzione tecnica Lorenzo Galletti
Ufficio Stampa Fabrizio Calabrese