di Dario B. Caruso
La sensazione che il tempo voli via non è fondata.
Del resto lo canta anche il Rockcoccodrillo di Bennato: il tempo a volte è strano ma il tempo è galantuomo.
Vedrete che da qui a poco salterà fuori un nuovo Einstein che ci condurrà oltre la relatività – che di per sé è stata già una bella rivoluzione – per portarci chissà dove chissà quando.
In questo il cinema ci aiuta a pensare.
Non parlo del genere fantascienza che ha quale compito predefinito di ipotizzare mondi e futuri possibili (evidentemente nella quantità qualcuno ci azzecca, è statistica).
Mi riferisco ad una commedia drammatica, rivista pochi giorni fa per la quarta, forse quinta volta: “Concorrenza sleale” di Ettore Scola (2001).
Il film è lieve, colori filtrati in pastello, facile da leggere ma difficile da sedimentare.
A Roma, all’alba delle leggi razziali di Mussolini, due commercianti di stoffe (Abatantuono e Castellitto) si fanno concorrenza nella stessa via; il primo, milanese trapiantato nella Capitale, fa abiti su misura, il secondo, ebreo romano, vende abiti confezionati.
Aldilà delle diverse strategie di vendita, dovute a differenti cultura ed estrazione, dopo una serie di pesanti alterchi divengono lentamente, inevitabilmente e quasi inconsapevolmente amici.
Si ritrovano a ridere delle stesse cose, a bere lo stesso vino, a sperare nelle stesse prospettive per i rispettivi figli. Eppure altrettanto inevitabilmente uno di loro è costretto a vendere la bottega e trasferirsi nel ghetto della città.
Il film non ha una conclusione.
L’ultima scena girata vede una famiglia, ferma al centro della strada, che osserva un carro che trasporta l’altra famiglia e si allontana.
Titoli di coda.
Sono pochi i film che ti lasciano un senso di sospensione, di irrisolto, di incompiuto. A volte sono film non riusciti. Altre volte sono documenti che ciascuno completa secondo sensibilità e tempo e voglia.
Esauriti i titoli di coda mi preparo velocemente ed esco per un impegno di lavoro.
Scendo in strada.
I palazzi e le auto sono filtrati in pastello.
È certamente il caldo afoso di queste giornate che attenua le forme ed i colori.
È il tempo che – come dice il titolo – non passa.