Privilege [Il Superstite 282]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Il passato è come una tigre – recitava un vecchio film che si intitolava La bambola di cera – e prima o poi ti salta addosso. È verissimo e può farti male e graffiarti, ma in certi casi la tigre in realtà è un tenero gattino.

Il pistolotto per sottolineare che sono bastati alcuni post su Facebook su un gruppo musicale dei primi anni ’70 (di cui facevo parte) con tanto di MP3 da poter ascoltare in rete e ministoria della casa discografica che ci stampò il 45 giri che sono piovute in casella parecchi solleciti di approfondimenti. Questo perché i richiedenti erano quasi tutti convinti che i Privilege fossero un prodotto di fantasia a uso e consumo del romanzo Rock (Edizioni della Sera). In verità il gruppo del romanzo, i Privileges con la “esse” finale, sono una proiezione distorta di quelli veri formata da altri soggetti comunque tutti provenienti dal mio magazzino dei ricordi.

I Privilege reali nacquero nel magico anno, il 1968, e rubarono il nome a un film di Peter Watkins dell’anno prima, un’opera che mi aveva molto impressionato e molto ci azzeccava con la musica. Così lo racconta il sacro Morandini:

Un giovane divo della canzone pop, che manda in delirio il pubblico dei suoi coetaneiPrivilege-1 fans con esibizioni canore impregnate di violenza masochistica, viene sfruttato da un governo di destra come parafulmine della protesta giovanile e poi trasformato in un pentito profeta religioso, adatto a spingere la gioventù verso un rientro nei ranghi di una normalità dove fede religiosa e obbedienza ai poteri costituiti sono tutt’uno. Sensibilizzato da una pittrice che l’ama, cerca di ribellarsi, ma è stritolato. Film di anticipazione politica di un regista (1935) della BBC che aveva acquisito fama internazionale con Culloden (La battaglia di Culloden- L’ultimo degli Stuart, 1964) e The War Game (Il gioco della guerra, 1966), premio Oscar per il documentario e mai messo in onda alla TV britannica, è un apologo didascalico e piuttosto isterico che come mostrano gli allucinanti riti di massa palesemente ispirati nello stile alle adunate naziste sostiene l’opinabile teoria di una contiguità e continuità tra fanatismo musicale e misticismo religioso.

Di sicuro il rivederlo oggi offre ampia sponda al giudizio di Morandini, ma per me il vederlo a 17 anni – in una delle mitiche mattinate domenicali del Circolo del Cinema al Galleria – si era rivelata un’esperienza assoluta, una sintesi quasi perfetta tra forma (le straordinarie sequenze di massa dove la musica dimostrava tutta la sua potenza manipolatrice) e sostanza (il niente affatto banale messaggio politico che ben si sposava con l’aria che tirava per merito dell’incalzante ’68). Insomma, mentre lo guardavo, già mi convincevo che il prossimo gruppo che mi avrebbe ospitato avrebbe dovuto avere quel nome per comprensibili motivi. E così avvenne.

PrivilegeL’anno successivo, la prima e originale formazione dei Privilege (che non è quella che vedete sulla copertina del disco edito dalla Cobra) esordì al Pata Pata, localino sotterraneo e modaiolo situato in via Legnano, un luogo che poi divenne un night: io alla chitarra, l’immenso Vito Oliva alle tastiere, Enzone Bezzi al basso, Renato Panizza alla batteria e il vocione alla Joe Cocker di Franco Cuoco. Avevamo un nostro perché e soprattutto disponevamo di una plancia – così si chiamavano allora i manifesti dei gruppi – disegnata per l’occasione dal mitico e compianto Giorgio Simonetti, alias “Simone”, ancora alias Il Colonnello e Il Varano. Tanto soprannomi, autentica gloria.

Suonammo parecchio in giro dall’ottobre del 1968 sino a novembre dell’anno successivo finché il 14 dicembre non trovammo un TIR sul nostro cammino (per fortuna il TIR se ne andava di schiena, l’episodio l’ho rievocato qui, e per forza dovemmo interrompere di botto, è il caso di dirlo, l’attività.
Fu quella la prima fase. Vito e Cuoco, forse scioccati dall’incidente (io, a parte i lineamenti modificati in stile mostro di Frankenstein, non ero per niente traumatizzato), se ne andarono – Panizza ci aveva già lasciati per motivi universitari- e in soccorso arrivarono Rudi Bargioni, da allora uno degli amici più fraterni, e il batterista Gian Maria Bolognini. Da lì a poco si unì per un po’ il cantante-dee jay di Radio Montecarlo Max Onorari con il quale lavorammo parecchio sul confine tra Italia e Svizzera, un po’ di qua e un po’ di là, e parte di quelle esperienze le trovate trasfigurate e reinventate ancora in Rock, soprattutto nella prima parte intitolata Gli Anni del Serpente.

Infine, come tutte le storie pure belle, anche quella dei Privilege finì. Per la precisione, nel gennaio del ’73. Un po’ per stanca un po’ per una reale mancanza di prospettive. Avevamo inciso un disco, okay, ma la Cobra Record era una piccola etichetta “indie” la cui breve vicenda terrena così è riassunta nella scheda di Wikipedia:

La Cobra Record venne fondata dal barone Enrico Carrà nel 1970; la sede era a Parma. Oltre a Carrà, facevano parte dello staff dell’etichetta Giorgio Termignoni e Rita Gioia, responsabile dell’Ufficio Stampa e Pubblicità. La Cobra Record si affidava per la distribuzione alla Saint Martin Record. Per l’etichetta pubblicarono tra gli altri l’ex componente dell’ Equipe 84 Romano Morandi (con lo pseudonimo Romano VIII), i Tombstones, Vasso Ovale, l’attrice e cantante Giulia Shell, Don Miko e il gruppo di rock progressivo Rocky’s Filj (il cui 45 giri di debutto venne pubblicato con la denominazione Roky’s Fily). A metà del decennio la Cobra Record cessò l’attività.

Non prima di avere stampato dei bootleg, che oggi sarebbero rarissimi, di Jimi Hendrix – questo su Wikipedia non lo trovate – ma potete fidarvi perché li vidi con i miei occhi nel negozio di Monferrato in via Milano.

Questa è la storia, nuda e cruda e un po’ didascalica, dei Privilege. E per forza sintetizzata. In realtà vi furono mille straordinari episodi vissuti “ai confini della realtà”. In parte me ne sono servito durante la stesura di Rock, altri attendono il momento giusto per essere riesumati e tornare alla luce, altri ancora li ho raccontati qua e là nel corso di un ventennio oltre in varie rubriche, tra cartaceo e rete. Non sono poi alla fine così propenso a raccontare storie che alla fine sono private perché in primo luogo il peccato di presunzione ti attende dietro l’angolo.
Ma il pubblico le ha sempre reputate molto divertenti e il rispolvero condiviso di vecchie vicende spesso ti fa riscoprire amicizie ingiustamente dimenticate. Per conferma andatevi a leggere qui quello che scrivevo sei anni fa agli inizi dell’avventura del Superstite. Mario Tessuto e i Filati versus Privilege alla Pizzeria Roncaccio di Bizzarrone…