L’Autoritratto [Il Superstite 278]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Siccome in questo momento non ho idee (o magari me ne arrivano troppe), soprattutto non ho la connessione e devo comunque provvedere alla puntata 278 del Superstite, provo a regalarvi qualche riga di assoluta presunzione.
Ovvero, il sottoscritto, analizzato con qualche umanistico argomento che possa risultare di pubblica utilità.

Allora, a maggio vado a compiere 66 anni. Sono più o meno sano, anche se negli ultimi mesi l’età mi presenta qualche conto da regolare e qualche terapia cui sottopormi, nulla che valga la vostra attenzione. Però non posso neppure fare l’ipocrita, perché nel corso della mia vita ho fumato, ho bevuto, ho vissuto. E se mi ritrovo a praticare un po’ di sana igiene alimentare, è perché sta arrivando il tempo di non sottovalutare i segnali che mi giungono dal fisico. Perciò tento di mangiare e bere con parsimonia. A volte non è mica facile.

In genere amo. Mia moglie Fabiana, i miei amici, mia madre, i miei animali, la musica, i libri che fanno paura (e che non necessariamente devono essere horror), le convivialità intelligenti. L’ironia (guai a farne passare un giorno senza…). Continuo ad amare il cinema nonostante l’aumento esponenziale delle ciofeche che escono.

Invece non amo più scrivere senza scopo, nel senso che sono divenuto incapace di produrre qualsiasi cosa ignorandone la destinazione e il destino – i 2 termini, per quanto simili, esprimono concetti un po’ diversi. Per me la scrittura non è (più) una missione; è un lavoro, perché scrivere è faticoso e, a suo modo, devastante. Peraltro credo di temperare questa mia posizione non condivisibile con il mio concetto di “scopo”: quest’ultimo può anche essere un amico simpatico che mi chiede un racconto per un’antologia minima che leggeranno solo gli autori (come vedete, alla fine il gatto si morde la coda – ma sono anche un Gemelli un po’ schizzato e in me convivono due personalità spesso in contrasto…). E se non è mission questa…

Peraltro mi tocca ricordare a me stesso che ho scritto più di 40 libri. Qualcuno per editrici importanti. Che so, Corbaccio, Mondadori, Gargoyle, Flaccovio, Tropea. Mi tocca precisare pure che non ho mai sfondato, il che non mi turba per nulla, e che dispongo di uno zoccolo duro di lettori e lettrici fedeli in sconcertante e graditissimo aumento negli ultimi tempi.

Credo che la realtà normalmente percepita sia una maschera con qualche piccola modifica di qualcos’altro. Anzi, Altro. Non per questo mi considero un visionario. Alla stessa cosa credeva Werner Heisenberg, il padre della fisica quantistica. È che ho conosciuto troppa gente che, nel riquadro di immagini elaborato dal rapporto occhi/ cervello, vede “cose” che io non vedo affatto. Di questa possibilità, di questo inganno del Reale (reale?), parlo quasi sempre nei miei lavori. E a questo proposito potrei vantarmi di avere scritto in anni non sospetti cose profetiche, dalla terroristica terza guerra mondiale a opera della gentaglia dell’ISIS (in Black Magic Woman uscito per i genovesi Frilli) all’interfaccia casuale con altre, invisibili dimensioni (L’estate di Montebuio, pubblicato dalla Gargoyle del compianto Paolo De Crescenzo, le cui implicazioni quantistiche mi ritrovo per puro caso in un libro americano di Chistopher Galt, Prima dell’apocalisse, edito dalla Nord… okay, è il genere di storia che capita spesso in editoria).

Mi piace vivere dove vivo attualmente. La sera in campagna, a pochi chilometri dalla città. In quest’ultima, a lavorare durante il giorno. Va da sé che, fino a quando ci riesco, ogni tanto mi piace vivere la notte in città. Non ci riesco per quel che vorrei, anzi ci riesco sempre di meno, ma con la sveglia che mi suona ogni giorno alle 6, 30 è durissima. Citando qualcun altro che non ricordo, una sveglia che suona a quell’ora è la dimostrazione della presenza del Male nel mondo. Il Male con la “emme” maiuscola, stile New England, roba pesante.

Ah, la musica, quella praticata. Tenendo conto che il primo palco l’ho calcato Arona chitarraall’età di 15 anni, in via Legnano a due passi dal mio negozio, in un posto che in quel momento si chiamava Pepes Club e poi divenne Pata Pata, ho attraversato un sacco di belle storie, conoscendo un mare di gente – qualcuno tra costoro sta nella list dei miei migliori amici. Superstiti come me: Rudi Bargioni, Vito Oliva, Bobo Vergagni che sta lottando contro la malasorte che vuole privare il mondo della mano sinistra sognata da ogni chitarrista, Enzone Bezzi con cui ho diviso lo schianto in autostrada che ha deragliato la mia vita in un’imprevista direzione, Sergio Vettori che non vedo da anni e non posso dimenticare per motivi che lui sa bene, Claudio Gigli (con vedete al mio fianco nella foto a commento di questo pezzo durante il concerto d’addio dei Western Comfort), e tanti altri, troppi, ancora. E purtroppo anche chi ha lasciato la scena prematuramente la scena, come Adriano Brocanello e Bruno Rangone.
Ho fatto, con gruppi diversi, da “base” a gente come i New Trolls (quelli veri di De Scalzi e Di Palo), Camaleonti, Patty Pravo, Patrick Samson, Equipe 84, Albano, Mario Tessuto e i Filati (credeteci, non è una battuta…), Sergio Leonardi e Donatello. Un bel rodaggio. Oggi, con deprecabile ritardo, ho conosciuto musicisti splendidi (Cavagnoli, Agnisetta, Clerici, Cina, Vercillo, Tinto, Tettoni, Oliva junior...), con i quali condivido una storia che si chiama con molto coraggio “Anni di Piombo”. Musica coi fiocchi, ma ne riparliamo. Tinto, però non posso non precisarlo, è Mara che è mia gemella astrale, perché siamo nati nello stesso giorno, con un po’ di anni di differenza. Mara è un’artista assoluta, una cantante meravigliosa – l’ho rimarcato in diverse occasioni – che in un mondo normale, in un’Italia normale, se ne starebbe sotto le luci della ribalta musicale accanto (e alla pari) di una Giorgia, per citarne una. Perché Mara, rubo la frase a Rudi Bargioni, quando si esibisce, è “fuori schema”. Chiaro, no?

Nonostante i molti errori commessi (e chi non li fa?), non cambierei una virgola della mia vita. Mi è piaciuta, tutta quanta trascorsa in questa città che oggi è troppo cambiata, e poi nel 1980 ho conosciuto Fabiana. Se gli errori mi hanno portato a lei, nella prossima vita di nuovo…

Cosa manca? Ah, sì, gli amici di penna, anche se si dovrebbe dire “di tastiera”. In Alessandria Angelo Marenzana e Giorgio Bona, con cui facciamo il Trio della Rotella Mancante. E fuori dalle mura, il più che fraterno Edo Rosati, e a ruota Sergione Altieri, Andrea Colombo, Stefano Di Marino, Daniela Catelli (che poco fa mi ha telefonato, dicendomi: Danì, sono qui a colazione con William Friedkin, perché non ci raggiungi? Volerei, tesoro, peccato che siete a Lucca e di domenica mattina sai com’è...), Larcher, Spasaro, Sandro Defilippi, Franco Pezzini, il Nero Nerozzi, Massimo Soumarè... E, accidenti, mi fermo perché elenchi del genere sono ingiusti a prescindere dato l’Alzheimer incombente.

Che altro dire? Si può chiudere qui, credo. Quel che conta l’ho messo giù. Se manca qualcosa, forse non è così importante. E poi ci sono sempre Freud e la psicopatologia della vita quotidiana che vengono in soccorso: se ho dimenticato qualcosa o qualcuno, forse è perché sono troppo importanti.