Expo esiste! [Il Flessibile]

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di Dario B. Caruso.

Domenica mattina
Ore 9,15 giungo al parcheggio, recupero il ticket e posteggio immediatamente
Ore 10,19 raggiungo a piedi il punto di ingresso, mucchio selvaggio di persone (a occhio 10-12mila, in arrivo una marea di altre migliaia)
Ore 10,49 vedo la luce, il metal detector è a un tiro di schioppo
Ore 11,12 entro, mi trovo di fronte il Padiglione Zero

Il Decumano (il corso centrale) è un mare di gente.
I padiglioni più gettonati, date le lunghe code, richiedono un’attesa che va da un’ora e mezza (Nepal) a quattro ore (Emirati Arabi Uniti).
Visito i padiglioni con meno coda, un po’ perché non ho tempo un po’ perché non ho voglia (solo un insano di mente decide di venire qui la terzultima domenica di apertura e per giunta in un giorno di sole primaverile, ma si sa: o sei flessibile o non lo sei!).

Ore 11,59 entro in Sudan, prodotti di artigianato locale e sorrisi bianchi come l’avorio su un letto nero di liquirizia
Ore 12,40 dopo un breve volo atterro in Brasile, profumo di caffè, curaçao e vino di una famiglia veneta emigrata un secolo fa nel sud del Paese
Ore 13,40 il Bangladesh mi accoglie, un piatto di riso alle verdure e curry, pane non lievitato al sesamo. Ritempro la carne oltre che lo spirito
Ore 14,20 ritorno in Africa per un caffè keniano, non male, lungo e forte come quattro italiani

expo_flexIl centro dell’Esposizione è ancora lontano. Non posso fare a meno di affrettarmi per raggiungerlo.
Non appena giungo sotto l’Albero della Vita, in piazza Italia, parte uno spettacolo di luci, colori e getti d’acqua al ritmo de “L’ombelico del mondo” del Jova Nazionale.
Volgendomi a sinistra il Padiglione Italia è bianco e commovente. Non chiedo le ore di attesa; a occhio potrebbe trattarsi di un paio di giorni.
Decido di rimandare la visita in Italia in un altro periodo della mia vita.

Ore 15,30 mi fa gola “il latte onesto”; gli allevatori della Pianura Padana promuovono il nostro latte, defraudato da leggi comunitarie stolte e maldestre. €1 al litro. Buono
Ore 16,01 mi tuffo nel cluster del Ministero delle Politiche Agricole; trovo l’esaltazione delle eccellenze italiane: pasta, formaggi e latticini, olio. Tutto presentato con raffinatezze tecnologiche e design avanguardistico.
Ore 17,00 una birra con brezel allo stand del Sud Tirolo. Giusto per non perdere (s)malto…
Ore 17 in rapida successione visito i padiglioni delle Isole Vatuanu e delle Pacific Island, piccole come la mia camera da letto ma grandi come le bellezze della natura che noi europei abbiamo ormai dimenticato
Ore 17,32 ultima visita dedicata alla Moldova, dove un ritmo di danze folcloristiche mi avvolge (assieme ad un bicchiere di rosso locale… non potevo rinunciare, in Moldova risulta poco educato…)
Ore 18,05 mi avvio verso l’uscita

Sono stato a lungo indeciso se andare o non andare, le polemiche sulle spese folli e le speculazioni mi hanno frenato.
Invece mi rendo conto di aver perso tempo.
E il tempo perduto non si recupera.
Avrei potuto esserne fiero prima e goderne per più giorni.
Non entro nel merito dei problemi che ci sono stati e di quelli riguardanti la gestione degli spazi post-esposizione.
Mi soffermo unicamente sulla possibilità che questo evento lascia a ciascuno dei visitatori di spostarsi nei cinque continenti in un batter di ciglia; non in maniera virtuale bensì entrando dentro ai colori, agli odori e ai sapori propri di tanti popoli che mai avremmo avuto l’opportunità di conoscere tutti insieme alle proprie latitudini.

Expo esiste!
E anche l’Italia.
È retorico ma sincero.