Marco Baliani: “il teatro non è morto, né mai morirà!”

Baliani 5di Debora Pessot

Quella che ha portato in scena, qualche sera fa al Teatro San Francesco di Alessandria, era la milletrentacinquesima (difficile anche da pronunciare) replica di Kohlhaas, tratto dal romanzo di Heinrich von Kleist.
Da molti ritenuto l’erede di Dario Fo, Marco Baliani ha catturato l’attenzione del pubblico con il monologo che lui stesso scrisse, insieme a Remo Rostagno, nell’ormai lontano 1990. Questo testo, che è considerato l’emblema, se non addirittura il capostipite, del ‘teatro di narrazione’, affronta tematiche più che mai attuali.
Solo sulla scena, Baliani conduce magistralmente gli spettatori fino al paesino alle porte di Dresda, dove vive Michele Kohlhaas, un uomo mite e leale la cui sete di giustizia per un furto subito scatena una violenta ribellione, trasformandolo da vittima a carnefice.

Con estrema gentilezza prima dello spettacolo ha accettato di fare una chiacchierata. Mentre si concede una piccola merenda nel suo camerino, pensa preoccupato alla sedia, l’unico oggetto di scenografia, che occupa il palco: ‘non voglio che sovrasti il pubblico, deve essere inclinata e ben visibile, ma non deve incombere su di loro … ’ – un grande non ha bisogno di orpelli.

 

Marco, come vedi il panorama italiano contemporaneo nel mondo del teatro?Baliani 2
La crisi c’è stata e purtroppo si è abbattuta anche sul teatro. Da noi (n.d.r. in Italia), la cultura è considerata un’ancella di secondo grado, se non di terzo, e questa crisi non ha fatto che peggiorare ulteriormente il rapporto tra istituzioni e teatro. I nostri parlamentari sono molto ignoranti al riguardo. Sono decisamente pochi quelli che vanno a teatro, in realtà è un problema che riguarda l’arte in genere. In Francia, o negli altri paesi, è un vanto avere degli artisti! Sono considerati la dignità del paese, qui da noi no. Poi è arrivata la crisi: molti teatri hanno chiuso, molte rassegne non hanno più i finanziamenti, senza contare che la nuova legge sul teatro, che ragiona tutta in termini economicisti ed economici (come sta accadendo per la scuola, per la sanità) e tende a trasformare tutto in una sorta di azienda. Lo aveva già detto Berlusconi che voleva fare l’azienda Italia. Questa è una terribile deriva economicistica … siamo tutti alla mercé di questi ‘crediti’ a scuola, come se il sapere si potesse trasformare in cedole o in cambiali. Quindi la situazione è molto pesante. I teatranti continuano a lavorare, ci sono tanti gruppi giovani che stanno nascendo, che combattono. Il teatro non è mai morto, ne mai morirà! Proprio perché è così povero che non dipende dalle ricchezze dei finanziamenti pubblici, in fondo non ne ha mai dipeso interamente.
Deflorian TagliariniTra i giovani c’è qualcuno che ti ha particolarmente colpito?
Ce ne sono molti. Ci sono gruppi legati proprio al teatro come il teatro sotterraneo, ad esempio I sacchi di sabbia. Poi c’è quello più sperimentale Fanny & Alexander, I motus (certo non sono giovanissimi), quelli che hanno vinto il premio Scenario, un bel gruppo … ce ne sono in giro. Daria De Florian e Antonio Tagliarini (nella foto) che hanno vinto il premio Ubu. Ci sono esperimenti belli, che mescolano danza, video, video arte e teatro, molto sul versante della performance …

A seguito della crisi di cui parlavamo prima, la tua vita artistica quanto è cambiata, quanto incide sul tuo lavoro?
No, guarda io incredibilmente da quando c’è la crisi sto lavorando di più. Penso sia un caso. Come se fosse arrivata a maturazione tutta la mia esperienza e quindi mi fanno tante proposte interessanti. Ho fatto ‘Camerini’ per Sky arte: una bella serie di trasmissioni in cui vado ad intervistare/dialogare con gli attori dentro i camerini. Ho fatto dieci puntate per Rai Arte sulla storia dell’arte. Il lavoro c’è e posso dire di essere contento.
La diffusione dell’arte attraverso la televisione può essere un buon strumento formativo.…
Percettivamente siamo ancora molto indietro, siamo un popolo ancora addormentato sulla televisione degli anni Ottanta/Novanta, una delle televisioni più brutte al mondo, che è stata micidiale per le generazioni di allora che si sono formate penalizzate dal punto di vista immaginativo. Adesso i giovani non guardano nemmeno più la televisione, ma si concentrano sui social network … Chi può dire dove ci porterà tutta questa frenesia degli Iphone, di Twitter, di Facebook, che però hanno un lato positivo: permettono di fare più esperimenti. Oggi puoi girare un film o buon video amatoriale con delle macchine che non sono più le cineprese o le grandi camere di una volta, c’è più possibilità di fare cose di qualità.
La crisi colpisce anche l’ispirazione artistica oppure ti stimola?
Ma no, su quella non incide. La poetica nasce dalla crisi perenne che è quella dell’essere umano, ma non dalla crisi economica. Quella è un incidente di percorso.

Intendo la crisi in generale, non solo quella economica…
La crisi dell’occidente nasce con l’Olocausto in Germania, anzi con la Prima Guerra mondiale. È una crisi lunghissima quella che stiamo attraversando e da cui non siamo ancora usciti, dentro ci sono così tanti conflitti che il teatro vive di rendita. L’arte si occupa sempre di andare a toccare quelli che sono i conflitti più insanabili, nascosti, misteriosi di un popolo, di una società e non cerca di dare delle risposte, ma di mostrarli alla luce del sole, questo è il nostro compito. Quindi direi di no, anzi i motivi per creare sono ancora tanti. Quando arriveremo ad una società veramente bella, egualitaria, democratica ci saranno meno argomenti, non c’è dubbio – ironizza.
Che cosa rappresenta per te il teatro?
È difficile rispondere. Non è che rappresenta qualcosa è proprio l’essenza del mio vivere. NonBaliani 3 è una rappresentazione di qualcosa. Io vivo facendo teatro, quindi non riesco più a vederlo come una cosa che sta lì … è una cosa che fa parte di tutti i teatranti, quelli che lo fanno davvero, non giudicano il loro rapporto con il teatro, ci vivono dentro e ne sono inguaiati.

 

Se ti dicessero che domani non puoi più andare in scena?
Dovrebbe essere perché sono morto.

 

Hai la stessa passione di quando hai iniziato?
Sì, sì. Anzi per certi versi anche di più, perché sono diventato molto più curioso e, grazie all’esperienza che ho fatto, posso creare opere con linguaggi a cui prima non potevo accedere, per problemi economici o perché ancora non ero capace di usarli. Invece adesso ho a disposizione molti più strumenti: sono diventato un bravo scrittore, so come si gira un video, so come lavorare ad un opera lirica con la musica … insomma è un bel periodo, finché dura!
L’ansia da prestazione o da palco ce l’hai ancora?
Ci sarà sempre. Se così non fosse significherebbe che non ti interessa più quello che stai facendo. Entrare in scena vuol dire avere quell’adrenalina che è la droga nostra.

 

 

È possibile che ti venga a noia uno spettacolo che hai rappresentato già tante volte?
Beh sì, se è sbagliato sì. È capitato di sbagliare degli spettacoli, ma quando te ne rendi conto, e ormai non riesci più a rimetterlo a posto, allora diventa faticoso andare in scena, per questo motivo lo devi finire prima possibile. Siccome lo spettacolo rivive tutte le sere, se quel rivivere è fondato sull’errore non è affatto bello per chi lo fa e per chi lo guarda.

 

L’ultimo libro che hai letto che reputi bello e l’ultimo che hai trovato ‘penoso’?
L’ultimo che ho letto bello è ‘Biglietto scaduto’ di Romain Gary o anche ‘La vita davanti a sé’, lui ha scritto delle cose meravigliose, un grande scrittore morto suicida un po’ di anni fa. Quelli penosi non li leggo, insomma li evito …
LimonovTi sarà capitato che ti regalassero un libro che hai trovato scadente. Lo leggi fino in fondo? Lo abbandoni prima?
Io leggo sempre tutto, perché ho rispetto per l’autore che si è fatto il ‘mazzo’ per scriverlo. A volte ci sono delle delusioni, ma del disgusto mai. Ovviamente evito di leggere ‘porcherie’ che non mi attirano da subito. Ad esempio Moccia o le Sfumature di grigio non li leggo, quel genere non mi interessa … non è per snobismo, ma sono scritte proprio male. Preferisco leggere De Sade che trovo molto più interessante. Uno che mi ha deluso è stato ‘Limonov’ di Emmanuel Carrère, mi aspettavo di più. Tutti ne parlavano come di un grande libro, un grande romanzo, però mi è sembrato un battage, ma l’ho finito comunque.

 
Il libro, le letture o l’autore che ti piacciono di più?
Tutti quelli in cui non ti accorgi che c’è l’autore. È una cosa molto rara. Cormac McCarthy, per esempio, è uno così. Lo leggi e sei dentro al libro, sei dentro alla storia, non c’è mai l’autore che fa il suo commento o che mette in bocca ai personaggi pensieri improbabili. Mi piace sempre che ci sia una verità di fondo nella situazione che viene descritta, che ti fa vivere e che ti porta là, vivo quel viaggio, mi identifico, soffro con il personaggio … allora si!

 
Un testo teatrale che ti piacerebbe mettere in scena e che non sei ancora riuscito a fare?
Ma sai, io non lavoro sui testi teatrali. I testi teatrali, quelli scritti per il teatro, faccio molta fatica a farli. Mi piacerebbe portare in scena le novelle, i racconti di Pirandello. I fratelli Taviani avevano fatto Caos tanti anni fa, un bellissimo film a episodi e mi piacerebbe affrontare questa sfida in teatro. Quest’anno ho fatto il Decamerone di Boccaccio con Stefano Accorsi e mi piacerebbe portare le Novelle di Pirandello, ma prima o poi lo faccio – sorride.

L’attore o l’attrice con cui ti sei trovato meglio?Scommegna Arianna
Gli attori che scelgo per me sono tutti eccezionali, anche se spesso sconosciuti perché non vanno sui rotocalchi o non sono intervistati dalle televisioni, ma sono grandi attori. Non vado alla ricerca dei nomi. Cerco la bravura o la sintonia su un progetto, oppure perché per un periodo mi va di fare un’avventura di quel tipo e di sperimentare, mettendo insieme quell’attore con quell’idea … Arianna Scommegna (nella foto) e Maria Paiato, ad esempio, sono due attrici eccezionali.

Con loro cos’hai fatto?
Eh! Ancora niente, per quello mi piacerebbe …