Quant’è bella giovinezza…[Calcio a colori]

Spiderdi Spider Jerusalem

Dopo il post della scorsa settimana, nel quale accennavo al voler parlare di irregolarità anagrafiche nei tesseramenti degli atleti extracomunitari, ci sono state persone che nonostante fossero consapevoli della mia adesione al CICAP hanno pensato fossi in possesso di facoltà paranormali quando la Gazzetta dello Sport poco dopo ha pubblicato la storia di Joseph Minala, anomalo diciassettenne tesserato dalla primavera della Lazio e di cui potete vedere una foto a corredo dell’articolo.

Nel caso specifico, l’esistenza del giocatore in questione nell’ambiente era già nota e la partecipazione ad una gara del torneo di Viareggio ha soltanto amplificato al grande pubblico il dubbio che un po’ tutti gli addetti ai lavori si sono posti trovandosi davanti a questo ragazzone con il volto un po’ troppo segnato da quella che il suo avvocato sostiene essere stata «una infanzia molto dura». Stupisce che nonostante le buone qualità calcistiche sia l’Udinese che l’Inter non abbiano voluto tesserarlo proprio perchè perplessi di fronte ai certificatiMinala anagrafici forniti dal Camerun a corredo del cartellino del giocatore mentre la Lazio si sia fatta meno scrupoli al punto di convocarlo nel derby di due domeniche fa senza poi presentarlo in panchina ma rinunciando poi a riproporlo nella trasferta di Catania relegandolo alla squadra Primavera. In un mondo dove Luciano è riuscito per anni a giocare con i documenti di un ragazzo tre anni più giovane di lui come Eriberto, dove per garantire a Cafù un passaporto italiano non ci si fece scrupoli ad inventargli una nonna italiana, dove grazie alla complicità di un agente ufficiale FIFA ricevettero falsi passaporti portoghesi e spagnoli la bellezza di quattordici giocatori sudamericani fra cui Dida, Recoba e Veron (che per amore di precisione alla fine fu l’unico assolto già dal primo grado), il ritorno economico di certe operazioni fornisce un movente moralmente discutibile ma certamente stimolante.

Riesce più difficile comprendere perchè, con toni e mezzi infinitamente minori, si cerchi di fare lo stesso anche nei campionati giovanili dilettantistici: ho visto troppe volte giocatori in possesso di «doppi tesserini» che consentivano di giocare con più leve a seconda della necessità o ragazzini – solitamente residenti in piccoli paesi in mezzo ai boschi o incastrati in qualche vallata solitaria – che magicamente partecipavano al medesimo torneo con più leve ringiovanendo alla bisogna. Salendo di livello, poi, non si contano i «fenomeni» giovanissimi provenienti da località esotiche ai quali tutti assicurano un radioso avvenire basandosi sulle prestazioni attuali e che poi spariscono una volta usciti dalla culla del calcio giovanile.

Rimane emblematico in questo senso il caso della «generazione d’oro» del Ghana: la prima volta che si fecero notare fu nel 1991 ai mondiali Under 17 in Italia. Sbaragliarono la concorrenza lanciando fenomeni dalla fisicità di molto superiore ai coetanei del resto del mondo: emersero Gargo, Duah, Addo, Kuffour e soprattutto Nii Odartey Lampey, per il quale venne scomodato persino il nome di Pelé. Da lì in avanti seguiranno in serie titoli giovanili da far fregare le mani a un popolo per la Nazionale A. E invece? Delusioni in Serie. Eh sì che i giocatori non mancavano – per fare due nomi Abedì Pelé e Anthony Yeboah – ma non ci fu niente da fare e vennero eliminati durante le qualificazioni ai Mondiali del 1994, 1998 e 2002 dove quelli che venivano indicati come baldi diciassettenni erano maturati in… tristi quarantenni.

I successi arrivarono quando quella generazione scomparve quasi completamente dal radar internazionale e il Ghana ottenne la qualificazione ai mondiali 2006 (eliminato agli ottavi dal Brasile, con l’ultima beffa dell’errore marchiano di Kuffour che permise a Iaquinta di segnare il raddoppio nella gara contro l’Italia) e 2010 (quarti di finale persi ai rigori con l’Uruguay sbagliando un rigore al 120′), nonchè al prossimo del 2014. Dove si spera gli uffici anagrafe abbiano fatto un lavoro migliore.