Il carisma dei leader [Il Superstite 160]

arona-2di Danilo Arona

Che cosa è l’oscuro carisma? E perché viene di solito associato ai perdenti, a coloro che, citando lo slogan di un noto giornale, trascorrono coscientemente la loro vita dalla parte del torto? A quali e quanti personaggi possiamo attribuire, anche in prospettiva, una tanto potente carica energetica in grado di contagiare folle, gruppi e audience, per quanto sia riconoscibile la sua Ombra un po’ sinistra?

Sono le domande, non da poco, che affollano la mente dopo la lettura di Sangue di tutti noi di Giorgio Bona, uscito per Scritturapura. Non c’è da nascondersi, Giorgio, come Angelo Marenzana, è un amico e, come tale, non ha bisogno dei miei auspici in forma scritta. Però il romanzo è importante quanto godibile: vi si racconta della triste odissea, umana e politica, di Mario Acquaviva, militante durante il periodo della Resistenza nel Partito Comunista Internazionalista e per questo portatore di una tesi scomoda e non allineata all’interno del PCI di allora. Tesi che si può riassumere, citando Bona a pag. 44 (che cita a sua volta Acquaviva), nell’assunto: «riconosciamo nei centristi i collaboratori delle forze borghesi; i centristi, innalzando i valori della lotta al nazifascismo, salvaguardano la democrazia progressiva, ignorando la democrazia antiborghese e anticapitalista.»

In altre parole, Acquaviva considerava una trappola subdola l’alleanza di tutte le forzeSangue di tutti noi disponibili contro i nazifascisti. Per lui le forze autenticamente rivoluzionarie dovevano essere in grado, anche nel pieno della Resistenza, di gestirsi autonomamente senza condividere alcun tipo di alleanza, quantunque strategica, con la borghesia. Il tutto a discapito di una strategia unitaria, in quel momento universalmente giudicata doverosa e necessaria per riuscire a sconfiggere i nemici.
Questa sua posizione eretica gli costò sino alla Liberazione isolamento, ostracismo e denigrazione. Poi l’11 luglio del ’45 cinque colpi di pistola lo fermarono per sempre in quel di Casale Monferrato.

Non fu una vendetta fascista. Rubando le parole al morente Acquaviva: «Sono stati i centristi a sparare. Dopo tutto mi avevano avvertito che me l’avrebbero fatta pagare.»
Il libro di Giorgio è un secco ed emozionante reportage sui giorni intensi di Acquaviva dal marzo 1943 sino al giorno della morte. E’ tagliente come un thriller, con i tempi narrativi distillati in crescendo, e profondamente commovente. Ma sopratutto coglie la contraddizione e la sofferenza emotiva del leader suo malgrado.

Come ha sostenuto Jay A. Conger, esperto di leadership carismatica, nel libro The Dark Side of the Leadership (Fall, 1990), esistono tre aree critiche  in grado di allontanare il leader dalla realtà. La prima è proprio la visione strategica che rischia di essere carente per l’ostinato rifiuto di considerare strade alternative più pratiche e percorribili. La seconda è la manipolazione delle tecniche di comunicazione, ovvero quando il leader, con forti ed efficaci doti comunicative, ne abusa ed è tentato a distorcere le informazioni facendo passare solo i messaggi a cui tiene. La terza si concretizza quando le pratiche gestionali e relazionali diventano passive, ovvero se il leader impegnato a gestire in modo passivo le relazioni con l’entourage, i colleghi e i collaboratori, «perde di vista lo sviluppo attivo di futuri leader che potranno dare un nuovo impulso a lui stesso e all’organizzazione di riferimento».

Come Giorgio mette bene in luce, Mario Acquaviva cadde in tutte e tre le trappole. Per ingenuità, purezza idealistica e mancanza di quel minimo di cinismo pragmatico che forse gli avrebbe salvato la vita e permesso di espandere la sua non grande sfera d’influenza. Le sue tesi non attecchirono, ma soprattutto Mario non fu in grado – e di certo non gli lasciarono né  tempo né spazio –  di clonare altri Acquaviva, leader altrettanto carismatici. Per trovare quanto meno nella dialettica democratica il senso di una lotta interna che qualche volta si fatica a comprendere. Assolutamente di attualità.