La ricreazione è finita

Soro Bruno 2di Bruno Soro

“In conclusione la bontà del sistema democratico è basata sulla assunzione che l’insieme dei cittadini sia più intelligente di quanto lo possa essere un sovrano con l’insieme dei consiglieri da lui scelti. E’ ragionevole pensare che l’insieme statistico dei cittadini abbia questa virtù?”

Luigi Sertorio, La Natura e le macchine. La piramide economica del consumismo ha la base nella miseria. Edizioni SEB 27, Torino 2009.

In uno dei primi commenti sulla elezione di Papa Francesco e riferendosi alla lotta politica in atto all’interno della curia romana, uno dei personaggi intervistati nel corso delle dirette televisive ha così commentato: “La ricreazione è finita”. Con l’apertura del Parlamento e l’avvio delle procedure per l’elezione dei Presidenti delle due Camere, è stata sancita la fine della ricreazione anche per la politica italiana e, soprattutto, è stata decretata la fine di una campagna elettorale che ha prodotto l’esito più infausto che la legge elettorale vigente potesse produrre: la paralisi della governabilità del paese.

In “Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria” (Donzelli editore, Roma 2010), Antonio Gibelli, docente di Storia contemporanea nell’Università degli Studi di Genova, dava conto di come “l’imprenditore spregiudicato e di successo nel settore dell’edilizia residenziale e della tv commerciale, nonché proprietario di una delle squadre di calcio più importanti e idolatrate dai tifosi non solo italiani”, con due mosse vincenti  avesse costruito la sua fortuna politica: la costruzione in pochi mesi dell’«Azienda Italia» e l’essersi presentato “come uomo nuovo e campione dell’antipolitica”. Il tutto favorito da quel contesto “nel quale il suo intervento (avrebbe potuto) avere successo, incontrare consenso, dare risposte a problemi”, e nel quale prevaleva “la grande stanchezza verso il ceto politico tradizionale, verso i suoi leader, i suoi riti, che apparivano logori e inconcludenti; verso lo stato, la sua inefficienza, la sua corruzione, il suo fiscalismo, il suo centralismo, la sua pesantezza burocratica; infine verso il sistema dei partiti”.
Qualcosa di simile parrebbe essersi ripetuto a distanza di quasi vent’anni con l’avvento del Movimento 5 Stelle, all’ascesa del quale lo stesso Gibelli ha dedicato un interessante articolo apparso qualche giorno fa su Il Secolo XIX con l’inquietante titolo: “Se Grillo fa solo il Messia l’effetto sarà distruttivo”. Con la sensibilità dello storico, anche in questo caso Gibelli è riuscito a cogliere l’aspetto più significativo della questione: “Come spesso avviene quando si affaccia sulla scena politica una forza nuova dirompente, interamente fuori dagli schemi precedenti, essa contiene all’inizio diverse potenzialità e vocazioni, che possono svilupparsi o inaridirsi a seconda dell’evoluzione generale della situazione”.

Molte sono le similitudini che si possono cogliere tra l’affermazione del «berlusconismo» egrillo-a-nuoto l’ascesa del «grillismo» (per restare in armonia con gli “ismi” evocati da Gibelli nel suo pamphlet). In primo luogo la capacità di Grillo di costruire in breve tempo la sua fortuna. Ciò, grazie al sapiente sfruttamento della rete che gli ha consentito di apparire quotidianamente sui mezzi di comunicazione altrui (giornali e televisioni) più di quanto non gli sarebbe riuscito se avesse cercato di farlo (ricordate la geniale scena del film “Ecce bombo” nella quale Nanni Moretti si interroga sul fatto che “ci si nota di più andando alla festa oppure non andandoci?”). Inoltre è riuscito ad accreditarsi “come uomo nuovo e campione dell’antipolitica”, accentrando su di sé l’interesse di una quota impressionante della generazione dei più giovani (ma non solo), giocando abilmente sul collante della protesta e del rifiuto da parte degli elettori del “sistema dei partiti”. Di quel sistema cioè che si è dimostrato incapace di cambiare quella legge elettorale che aveva già dato pessima prova di sé nelle elezioni del 2006 (raggiungendo peraltro lo scopo di compromettere la (seconda) vittoria elettorale del centrosinistra guidato da Romano Prodi). Ora, dal momento che, come profeticamente scriveva Gibelli, l’epilogo del «berlusconismo» parrebbe legato al “declino biologico del leader”, varrebbe la pena di interrogarsi sul possibile epilogo del  fenomeno del «grillismo».

Azzardo in proposito un’ipotesi suggeritami dall’intuizione dello stesso Gibelli quando, nell’articolo citato, egli fa riferimento alle “potenzialità” del Movimento “che possono svilupparsi o inaridirsi” a seconda dell’evoluzione generale del contesto.
Il modo di come possa svilupparsi o inaridirsi il successo del M5S nel contesto dell’evoluzione del sistema politico italiano richiama alla mente il meccanismo con il quale un grande economista americano, Moses Abramovitz (1912-2000), ha descritto il processo che provoca l’avvicendamento delle economie nelle graduatorie in base al reddito pro capite (processo che ben si attaglia a descrivere l’ascesa e il declino della Liguria e del Piemonte nelle graduatorie dell’ultimo mezzo secolo). La maggiore o minore rapidità con la quale un’economia prima cresce, poi rallenta e infine decresce, dipende, secondo questo autore, dall’azione congiunta di due distinte forze: quella che esprime il potenziale della crescita e quella che sintetizza la capacità di realizzare il potenziale di cui essa dispone. Quando le due forze agiscono nella stessa direzione la crescita avviene rapidamente. Qualora, invece, operassero in direzione opposta prevarrà la forza la cui intensità è maggiore e, quand’anche permanesse la potenzialità, nel caso in cui dovesse prevalere la forza che esprime l’incapacità di realizzare il potenziale, ciò provocherebbe  il rallentamento della crescita e/o il suo declino.

Consapevole dei limiti che l’esercizio comporta, alle ultime elezioni il Movimento 5 Stelle si è affermato perché entrambe le forze agivano nelle stessa direzione. Al potenziale della crescita, rappresentato dal bacino elettorale attratto dalla protesta, si è aggiunta infatti una notevole capacità di realizzare il potenziale stesso. Da un lato, attraverso la rapidità della diffusione della protesta dovuta all’uso della rete; poi, grazie agli spettacoli offerti gratuitamente da Beppe Grillo nelle piazze, unitamente alla risonanza che il suo comportamento ha avuto sui tradizionali mezzi di comunicazione della TV e della stampa. Chiediamoci come possa questa forza politica che rifiuta di essere considerata un partito “svilupparsi o inaridirsi”. A mio avviso il “potenziale” del Movimento sta già in parte contraendosi: in seguito all’esito del voto, all’atteggiamento di Grillo e a quello dei parlamentari eletti, diverse persone che lo hanno votato non lo rivoterebbero. Quanto poi alla “capacità di realizzare il potenziale” di cui il Movimento dispone, molto dipenderà dal comportamento degli eletti in Parlamento, dalla maggiore o minore capacità di tenuta dei gruppi parlamentari, nonché dalla diversa attitudine ad adeguarsi alle regole che sottendono lo svolgimento delle attività parlamentari. Infine, se il M5S ritenesse anch’esso di tesaurizzare il risultato ottenuto puntando a nuove elezioni con l’attuale legge elettorale (anziché battersi per modificarla), allora non si può escludere che, anziché svilupparsi, la capacità di realizzare il potenziale possa affievolirsi fino ad invertire la sua direzione, alimentando così la disaffezione di una parte cospicua di quanti nel febbraio scorso ne hanno decretato la vittoria.

In altre parole, la ricreazione politica è finita. D’ora in poi, nelle aule parlamentari, ciascun eletto, al pari dell’on. Scilipoti, darà il meglio o il peggio di sé. Staremo a vedere.