Davvero non resta che emigrare?

Ettoredi Ettore Grassano

C’è lucidità, e anche un po’ di spirito visionario, nell’analisi che emerge dall’intervista a Giuseppe Garlando, presidente dell’Associazione piccole e medie imprese della Provincia di Alessandria. Dice in sostanza l’imprenditore (che con la sua azienda di Pozzolo ha conquistato nei decenni un importante posizionamento internazionale nella produzione e commercializzazione di articoli per l’intrattenimento, il gioco e lo sport): “guardate che noi (Italia,  e non solo Alessandria) non siamo l’ombelico del mondo, ma una piccola, marginale periferia di un mondo vasto, e in trasformazione”.

Questo significa forse che possiamo tranquillamente sederci, e aspettare di vedere come andrà a finire, perché comunque non siamo in grado di incidere in alcun modo sul nostro futuro? No, al contrario. Basta guardare, appunto, al percorso delle imprese alessandrine che hanno saputo innovare, specializzarsi, e guardare a mercati più ampi dell’orto locale, o nazionale, per rendersi conto che quella è la strada. Non per forza emigrare insomma (anche se la tentazione, nelle persone più giovani, preparate e  dinamiche rimane. Lo stesso Garlando, in un’intervista precedente, ci disse: “se avessi 25 anni, e fossi neolaureato, andrei a cercar fortuna altrove”), ma neppure ostinarsi a percorrere vicoli ciechi, che non portano da nessuna parte, se non ad un “avvitamento” deprimente e improduttivo.

Un amico piccolo imprenditore, proprio pochi giorni fa, mi ha confidato: “qui non si tratta più di resistere senza guadagnare, ma di rimanere aperti in perdita, considerati i costi fissi che ci vengono imposti dallo Stato”. E in effetti, se per un disoccupato o sotto occupato non lavorare significa oggi drammaticamente non guadagnare, per un lavoratore autonomo/commerciante/piccolo imprenditore lo scenario ormai è quello, ancor più pesante, di rischiare di rimetterci del proprio, magari cifre non proprio minime, e soprattutto con una prospettiva per nulla definita. Con alle porte Imu, Tares (nuova tassa sulla spazzatura, assai più onerosa soprattutto per le attività commerciali e industriali) e tanti altri balzelli da parte di uno Stato che non fa sconti, e al tempo stesso non sembra in grado di costruire le condizioni della ripresa.

EmigrantiE allora, in attesa di scoprire nei prossimi anni se davvero il “matrimonio” tra Unione Europea e Federazione Russa ci riporterà un po’ più vicino al nuovo “ombelico del mondo”, in provincia che possiamo fare? Il dibattito locale rimane tutto “inchiodato” sui disagi degli enti locali, dal Comune di Alessandria alla Provincia. Ma oltre a Palazzo Ghilini e a Palazzo Rosso sul territorio c’è un tessuto di imprese (grandi, medie e piccole) sul quale forse sarebbe il caso di concentrarsi maggiormente, alla ricerca di soluzioni “concertate” che da un lato difendano l’occupazione sempre più precaria (e precaria davvero, altro che la querelle sui buoni pasto o sulle competenze accessorie e il premio di “produttività”), dall’altra soprattutto creino condizioni per un nuovo sviluppo, per investimenti privati veri e pesanti. Solo così può innescarsi un circuito virtuoso che consenta anche il mantenimento (adeguatamente riorganizzato e reso minimamente più efficiente, magari) dell’impiego pubblico locale. Diversamente, non ci si potrà che rassegnare, e consigliare davvero ai nostri figli di emigrare, per costruirsi un futuro altrove. Vogliamo questo?