Economisti dissenzienti

Soro Bruno 1di Bruno Soro
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“Il dissenso all’interno della professione può provenire sia da un contesto radicale, sia da uno liberale o conservativo. Ciò che sembra accomunare coloro che dissentono è una insoddisfazione verso l’economia così come è praticata, su come essa spiega il mondo ed il tipo di problemi che l’economista tipico si pone”.
R.P.F Holt, S. Pressman (Eds.), Economics and its Discontents. Twentieth Century Dissenting Economist, Edward Elgar, Cheltenham UK, 1998.

 

 

Cosa possono avere in comune economisti come Milton Friedman (1912-2006), Hyman P. Minsky (1919-1996), Fausto Vicarelli (1936-1986), Nicholas Kaldor (1908-1986) e John Maynard Keynes (1883-1946), oltre al fatto che quest’anno ricorrono gli anniversari della loro scomparsa? Sicuramente che tutti, ad eccezione dell’economista italiano prematuramente scomparso vittima di un incidente stradale nel pieno della sua maturità scientifica (1), sono inclusi nel volume dedicato a diciassette tra gli «Economisti dissenzienti del ventesimo secolo». (2)

Il dissenso, scrivono i curatori del libro nella loro Introduzione, può assumereeconomia-escher-scale significati diversi e riguardare aspetti differenti sul modo di intendere la disciplina, come il metodo di analisi deduttivo o induttivo, la diversa attenzione su ciò che spiega il comportamento degli individui, l’insoddisfazione verso i punti focali di una teoria o, infine, circa l’opportunità e/o sul merito delle varie forme di intervento sul sistema economico. Tutto ciò, avvertono, essendo convinti che “il disaccordo tra gli economisti arricchisce la conoscenza”. Questo modo di intendere il dissenso consente ai curatori del libro di accomunare l’insoddisfazione di economisti liberisti come il Premio Nobel Milton Friedman, a quella degli altri economisti citati più sopra, il cui pensiero si rifà però a quello di John Maynard Keynes, indiscutibilmente uno tra i più controversi all’interno della schiera degli economisti inclusi nella raccolta. (3)

Al solo scopo di porre un discrimine sulla natura del dissenso sul quale vorremmo porre l’accento, si potrebbe fare riferimento all’ormai famosa «domanda» rivolta dalla Regina Elisabetta, in visita, nel novembre del 2008, agli economisti del “tempio economico dell’ortodossia britannica” (la London School of Economics and Political Sciences) sul “perché nessuno avesse previsto la crisi economica in arrivo”. Il silenzio seguito a quella domanda è significativo delle ragioni per le quali nessuno dei presenti, al di là del timore reverenziale, abbia avuto il coraggio di rispondere: semplicemente perché la teoria ortodossa non contempla le crisi di lunga durata. (4)

Economia 3Ora, dal momento che non è assolutamente vero che gli economisti non abbiano previsto la crisi, va detto subito che altri economisti (dissenzienti, anche se non inclusi nel volume citato), l’avevano ampiamente prevista. Ad esempio, Alessandro Roncaglia, che dedica un intero capitolo del suo libro agli «economisti che sbagliano» (5), cita l’economista statunitense Nouriel Roubini, il quale, già dal 2005, insisteva sui rischi derivanti dall’esplosione della bolla immobiliare. (6) Egli rammenta inoltre che in un famoso articolo del 2003 l’economista italiano Paolo Sylos Labini, avesse già espresso “gravi preoccupazioni sulle prospettive dell’economia americana, che condiziona fortemente le economie degli altri paesi e, in particolare, quelle europee”. (7)

Dunque, se allo stato attuale delle conoscenze scientifiche non vi è modo di prevedere il momento in cui avverrà la scossa disastrosa di un terremoto, è tuttavia possibile individuare le condizioni che lasciano intendere l’arrivo di una crisi e mettere in atto le misure per limitarne i danni. Tornando alla domanda iniziale su “che cosa possono avere in comune economisti come il Premio Nobel Milton Friedman, Hyman P. Minsky, Nicholas Kaldor, Fausto Vicarelli e John Maynard Keynes”, tutto sta a concordare su cosa si intende per «dissenzienti». Quanto al primo, non si può certamente dire che egli non sia stato, a suo modo, un «contestatore», non fosse altro che per l’accanimento (mi si conceda il termine) nei confronti delle teorie e delle politiche keynesiane.

Per contro, Minsky, Kaldor e Vicarelli hanno in comune di essersi ispirati, Economia 2ancorché esserne stati strenui difensori, al pensiero del grande economista inglese, avendo in comune con lui il più radicale dissenso nei confronti del pensiero prevalente all’interno della «corrente» (stream) «principale» (main), da cui l’anglicismo mainstream, ormai entrato nell’uso corrente della lingua italiana. Tant’e vero che a settant’anni dalla morte del comune Maestro, v’è ancora chi, con forza, ribadisce la necessità di “Uscire dalla crisi con Keynes”. (8)

Minsky e Vicarelli hanno dedicato gran parte della loro produzione scientifica a mettere in guardia dai rischi della finanziarizzazione dell’economia. Il primo ha persino elaborato un concetto, il cosiddetto «Minsky moment», vale a dire quella situazione di instabilità che si verifica quando i tassi di interesse sono bassi. Ciò induce gli operatori ad indebitarsi per acquistare beni materiali e finanziari, dando vita ad una fase di espansione economica che fa aumentare i prezzi degli assets (case e titoli di credito). La fase di espansione farà sì che gli operatori siano indotti ad assumere posizioni speculative sempre più rischiose, difficilmente onorabili con la liquidità esistente, mentre gli operatori che già speculavano diventano iper-speculativi.

L’instabilità finanziaria che ne deriva dà luogo ad un processo che si autoalimenta, che si interromperà quando si manifesta una previsione di inversione di tendenza, a seguito della quale, temendo lo scoppio della bolla speculativa, il rapido diffondersi di tale previsione in realtà ne determina il verificarsi (tipico caso di aspettative che si autorealizzano).

EconomiaA seguito dello scoppio della bolla speculativa, e nel tentativo di sbarazzarsi degli assets, gli operatori saranno disposti a vendere a prezzi inferiori, dando vita ad una deflazione finanziaria.
Nell’impossibilità di onorare i propri debiti, le attività verranno liquidate sotto stress e la distruzione di ricchezza finanziaria che ne consegue si trasmetterà ai consumi delle famiglie. La diminuzione dei consumi indurrà le imprese a diminuire gli investimenti ed ecco che la crisi finanziaria si sarà trasmessa all’economia reale. Siccome le economie reali sono tra di loro strettamente interconnesse per via degli scambi commerciali la crisi economica (specie se ha avuto inizio in una economia grande) si trasmette infine alle altre economie.

Il 4 ottobre del 2007 (circa un anno prima del fallimento della Lehmas Brothers che ha dato l’avvio alla più massiccia crisi, per intensità e durata, del Secondo Dopoguerra) ho avuto modo di assistere all’illustrazione della teoria di Minsky da parte del professor Domenico Delli Gatti dell’Università di Bergamo – della quale conservo copia – in una sessione della Riunione Annuale della SIE, la Società Italiana degli economisti. Dunque la crisi finanziaria americana non solo era prevedibile, ma è stata prevista nei dettagli con tutta la sua coda di effetti dirompenti da un economista dissenziente (due se il professor Delli Gatti mi perdona la sua inclusione in questa categoria).

Non c’è bisogno di assicurare il lettore che le considerazioni di cui sopra, che si possono trovare in un buon testo di Macroeconomia, prendono la spunto dalle idee dissenzienti di John Maynard Keynes, disseminate nel mare magum dei suoi scritti e della sua corrispondenza, raccolti nei trenta volumi dei Collected Writings and Correspondence curati da Donald Moggridge, editi dalla Royal Economic Society.

Benché Lord Nicholas Kaldor, ungherese di nascita, naturalizzato inglese, laddove nel 1974 è stato insignito del titolo di rango baronale, avesse frequentato gli studi alla London School negli anni ‘30, nell’immediato dopoguerra ebbe ad impegnarsi, più di ogni altro, nel modo di concepire la professione dell’economista politicamente impegnato nello stile di John Maynard Keynes. Ha scritto di lui il suo principale biografo Anthony P. Thirlwall che il suo impegno a favore del welfare, già a partire dalle sue valutazioni sul famoso Rapporto Beveridge (del 1942), hanno fatto di Kaldor “il più influente economista nel preparare la strada per l’accettazione politica di una dei grandi avanzamenti sociali dell’età moderna”. (9)

Basterebbero queste semplici considerazioni a farne un economista dissenziente, un thatchergiudizio avvalorato dalla raccolta dei suoi discorsi alla camera dei Lord, nei quali egli ha costantemente manifestato un marcato dissenso verso la politica economica di Margaret Thatcher ed in particolare della sua politica monetaria di ispirazione friedmaniana. Al pari di Keynes, Lord Kaldor ha ricoperto importanti responsabilità in organismi nazionali e internazionali.

Mi piace ricordare, a solo titolo di attualità del pensiero di questo grande economista dissenziente post-keynesiano, e a mo’ di conclusione, la recentissima riscoperta da parte del pensiero dominante circa il fatto che la produttività del lavoro risente significativamente della crescita dell’economia (gli economisti non dissenzienti preferiscono usare l’espressione “crescita endogena della produttività”) (10): una relazione divenuta nota come Legge di Verdoorn-Kaldor, delineata la prima volta dall’economista olandese Petrus Johannes Verdoorn nel 1949 e successivamente ripresa nella Lectio Magistralis tenuta da Kaldor nel 1966, in occasione del conferimento della cattedra di economia a Cambridge. In questa cittadina Lord Kaldor ha trascorso gran parte della sua vita e lì si spegnerà il 30 settembre 1986.

 

(1) Consigliere della Banca d’Italia e discepolo, al pari di Mario Draghi e Vincenzo Visco, del grande economista Federico Caffè, la cui scomparsa resta avvolta nel mistero, Fausto Vicarelli, oltre ad avere insegnato nelle università di Ancona, di Firenze e alla Sapienza di Roma, ha contribuito, tra l’altro, a costruire il primo modello econometrico della Banca d’Italia.

(2) Richard P.F. Holt e Steven Pressman, Economics and its Discontents, Edward Elgar, Northampton (Massachussets) 1998.

(3) Tra i quali figurano, solo per fare alcuni nomi, i Premi Nobel James M. Buchanan, Friedrich A. von Hayek, Frank Knight, Thomas Schelling ed altri valenti economisti come Joan Robinson e Piero Sfraffa.

(4) Scrive Mauro Gallegati nel suo Acrescita. Per una nuova economia, Einaudi, Torino 2016 (p. 13): “Il problema reale non sta nell’accuratezza delle previsioni quanto nel fatto che la teoria dominante in economia non contempla una crisi di grandi dimensioni”. Coloro che avessero la curiosità di documentarsi sul perché la teoria dominante non preveda l’esistenza di crisi, se non come un momentaneo processo di aggiustamento attorno all’equilibrio, possono fare riferimento ai recenti libri di due fisici di professione: M. Buchanan, Previsioni. Cosa possono insegnarci la fisica, la meteorologia e le scienze naturali sull’economia, Malcor D’, Catania 2014 e F. Sylos Labini, Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi, Editori Laterza, Bari 2016.
(5) A. Roncaglia, “Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi”, (Laterza, Bari 2010), capitolo quarto, pagine 48-58.

(6) Trattasi, scrive Roncaglia a proposito di Nouriel Roubini a pagina 49 del suo libro, di un economista “tanto citato oggi quanto isolato ieri nell’establishment accademico statunitense”. In “Processo agli economisti” (Chiarelettere, Milano 2009), il giornalista di Repubblica Roberto Petrini rivolge un “duro atto d’accusa verso una categoria che sembra aver perso il contatto con la realtà e con i bisogni delle persone”. In esso, l’autore richiama un articolo di Roubini apparso su Repubblica il 28 febbraio del 2008, nel quale l’economista americano, diversi mesi prima del fallimento della Lehman Brothers, elencava le “Dodici tappe verso la crisi più grave”, ma a ben vedere, i sei “capi d’imputazione” analizzati nei rispettivi capitoli del libro, sono le critiche che spesso gli «economisti dissenzienti» rivolgono ai loro colleghi del pensiero mainstream.

(7) P. Sylos Labini, “Le prospettive dell’economia mondiale”, Moneta e Credito, n. 223, settembre 2003, pagine 267-295. Forse perché pubblicato in italiano su una rivista italiana, questo articolo è stato ignorato dagli economisti del mainstream. In esso, Sylos Labini lamentava la presenza nell’economia americana di “due bolle speculative, una in Borsa e l’altra nei mercati immobiliari”, individuando chiaramente i fattori che avrebbero fatto esplodere la crisi finanziaria dalla quale è scaturita la più grave crisi economica del secondo dopoguerra.

(8) Un testo divulgativo disponibile sul sito https://keynesblog.com/uscire-dalla-crisi-con-keynes/ ne sintetizza i principi fondamentali, affrontando alcune delle tematiche legate alla situazione attuale, in particolare riguardo la moneta unica europea. Il testo contiene inoltre alcune indicazioni di stampo keynesiano su come uscire dalla crisi economica.

(9) A.P. Thirlwall, “Nicholas Kaldor (1908-1986)”, in Moneta e Credito, 40, 4, 479-512, pag. 493. L’articolo è scaricabile da internet accedendo al sito della rivista.

(10) La riscoperta da parte di giovani economisti statunitensi circa il fatto che la crescita della produttività dipende anche dalla crescita economica (e non il contrario come ipotizza il pensiero dominante), è stata recentemente oggetto di attenzione da parte del Keynes Blog (“Il mainstream scopre la legge di Kaldor-Verdoorn”) rintracciabile all’indirizzo https://keynesblog.com/?s=Kaldor-Verdoorn&submit