L’economia dei «tre zeri»

Soro Bruno 1di Bruno Soro
www.cittafutura.al.it

 

“(…) Dicevo a me stessa:
se tutti noi , che non possediamo niente,
non ci facciamo più vivi dove sono in mostra le cose da mangiare,
si potrebbe pensare che non abbiamo bisogno di niente.
Ma se noi ci veniamo e non possiamo comprare niente
Si sa come stanno le cose”.
Bertolt Brecht, L’acquirente in Poesie, Einaudi, Torino 1992, pag. 119.

 

Con una felice intuizione, in una nota su Il Corriere della Sera di sabato 13 agosto [L’economia dei «tre zeri», pag. 3] Nicola Saldutti ha richiamato l’attenzione su un fatto invero assai curioso, “l’economia dei tre zeri (tassi, crescita e inflazione)”, fatto che all’autore appare come “un nuovo paradigma”. In effetti, se si rivolge lo sguardo all’indietro, è assai arduo trovare un periodo della storia economica del nostro paese nella quale i tre tassi, il tasso d’interesse, il tasso di crescita del PIL e il tasso d’inflazione, si siano trovati allineati, per di più tutti e tre uguali allo zero, così com’ è accaduto nel secondo trimestre del 2016.
A maggior ragione se si pensa che i tre tassi esprimono fenomeni tra di loro diversi e alquanto difficili da analizzare, per i quali non vi è una spiegazione univoca, né tanto meno un qualche nesso di causalità che li lega. Cerchiamo di capire.

Stando ad una definizione corrente, il tasso di interesse è il rapporto tra l’interesse (laBanche d'affari cifra che chi prende a prestito una certa liquidità si impegna a corrispondere a colui che gliela cede) e il capitale preso a prestito. Esso rappresenta una misura del rischio connesso alla solvibilità, ossia la maggiore o minore fiducia circa la restituzione del prestito stesso da parte del debitore alla scadenza: più alto è il rischio, più elevato è il tasso di interesse. In ogni momento esiste un certo ventaglio di tassi d’interesse, specie se si guarda al panorama degli impieghi finanziari del risparmio.

Solo per fare qualche esempio, quando le «banche di credito», vale a dire le istituzioni dedite al finanziamento all’«economia reale» – la raccolta del risparmio e all’impiego della liquidità raccolta in attività produttive -, affidavano il loro compenso esclusivamente alla concessione di prestiti alle persone e alle imprese, le loro aspettative di guadagno riposavano sulla differenza tra il tasso d’interesse attivo – quello concesso sui depositi a coloro che affidano i loro risparmi alle banche -, e quello passivo, ovvero il tasso d’interesse richiesto dalle banche stesse a chi necessita il prestito. Un tasso d’interesse un poco più elevato viene inoltre offerto dalle banche sui prestiti obbligazionari emessi dalle stesse (ad esempio per la raccolta del risparmio volto a finanziare la concessione di mutui sull’acquisto di abitazioni); infine, un tasso d’interesse ancora maggiore (perché più rischioso) viene poi offerto dalle banche a copertura delle operazioni legate ad attività di rifinanziamento (le cosiddette «obbligazioni subordinate»).

DadiLe «banche d’affari», invece, quelle che raccolgono il risparmio da impiegare in attività finanziarie e speculative, offrono un ventaglio di tassi d’interesse in relazione alla minore o maggiore rischiosità dell’investimento. Un tasso d’interesse zero (o quasi), infine, è quello attualmente fissato dalle Banche centrali – il cosiddetto «tasso di sconto ufficiale» -, applicato alle banche commerciali sulle loro operazioni di risconto, che agisce da parametro di riferimento per quello applicato dalle banche di credito sui conti correnti dei clienti.
Se, come sta accadendo da qualche tempo, anche il tasso di inflazione è prossimo allo zero, il tasso di interesse «monetario» (quello di cui sopra) viene a coincidere con il tasso d’interesse «reale», ossia il tasso di interesse al netto del tasso di inflazione.

Infine, allo scopo di incentivare le banche di credito ad impiegare la liquidità Draghi Mario 2posseduta nella concessione di prestiti alle imprese anziché lasciarla depositata presso la Banca centrale europea (BCE), è stato sperimentato anche un tasso d’interesse «negativo», ovvero una sorta di «tassa» sui depositi delle banche di credito giacenti presso la BCE, che rende in tal modo costoso il deposito di liquidità presso la banca Centrale.

InflazioneIl tasso d’inflazione zero, invece, sta ad indicare che nel periodo di riferimento (solitamente il trimestre) l’indice dei prezzi al consumo, calcolato dall’ISTAT con riferimento ad un paniere di beni , non ha subito alcuna variazione. Attenzione, però, che essendo l’indice dei prezzi una media ponderata dei tassi di crescita delle categorie di beni considerate, può accadere che l’aumento dei prezzi di qualche categoria (nella quale si è manifestata inflazione) venga compensato dalla riduzione dei prezzi in qualche altra categoria (in cui si è avuta una riduzione dei prezzi). Ragion per cui, a seconda del diverso peso delle categorie di beni acquistate, alcuni consumatori potranno subire una decurtazione nella loro capacità d’acquisto, quand’anche l’indice generale dei prezzi risultasse uguale a zero. Si parla in questo caso di «inflazione subita», quel fenomeno che interessa quei consumatori che acquistassero esclusivamente la o le categorie di beni il cui prezzo fosse aumentato.

L’inflazione è uno dei capitoli più controversi dell’analisi economica. Il fenomeno inflazionistico, infatti, difficilmente può essere ricondotto ad un’unica causa: l’intreccio di fattori economici, politici e sociali che sono all’origine di un aumento generalizzato dei prezzi è tale da rendere vano il tentativo di trovare una teoria dell’inflazione in grado di fornire un’unica spiegazione soddisfacente di questo fenomeno. Tant’è vero che il tentativo di contrastare la deflazione da parte della Banca centrale europea (BCE) mediante un consistente «alleggerimento monetario» (il cosiddetto “quantitative easing”) non sembra aver ottenuto alcun apprezzabile risultato.
Il tasso di crescita dell’economia, infine, è misurato dal tasso di crescita del Prodotto interno lordo (PIL), un indicatore che si ottiene rapportando la «crescita economica» – ossia l’aumento del valore dei beni e servizi finali verificatosi in un dato intervallo di tempo (solitamente un trimestre) -, e il valore del PIL del periodo precedente. Si parla in questo caso di tasso di crescita «congiunturale». Se il confronto avviene invece con riguardo allo stesso periodo dell’anno precedente il tasso che si ottiene prende il nome di crescita «tendenziale». In base ai dati resi pubblici nei giorni scorsi dall’ISTAT, il tasso di crescita dell’economia italiana nel secondo trimestre rispetto al primo è stato dello 0,0% («crescita stazionaria»). Su base annua, invece – ossia facendo il confronto con il secondo trimestre del 2015 -, il tasso di crescita è stato dello 0,7%.

Economia 3Come per il fenomeno dell’inflazione, anche per quanto riguarda la spiegazione della crescita economica, il fatto di ricondurre questo fenomeno ad un’unica causa (o a una causa prevalente) riflette un particolare angolo visuale, a seconda che si faccia riferimento ad un «paradigma» piuttosto che ad un altro. Così, coloro che riconducono la spiegazione della crescita economica alla variazione (positiva) dei cosiddetti «fattori produttivi» , offrono una spiegazione del tutto differente rispetto a coloro che si rifanno ad altri filoni di pensiero. Ad esempio, dal momento che il tasso di crescita dell’economia si può esprimere sia come somma del contributo fornito dai singoli settori produttivi – ciascun contributo essendo dato dal prodotto tra il tasso di crescita di ciascun settore per il peso che lo stesso ricopre sulla produzione complessiva -, sia come somma del contributo fornito delle singole categorie di spesa (i consumi, gli investimenti, la spesa pubblica e le esportazioni nette, ciascuno con il proprio peso), la Contabilità Nazionale offre lo spunto per effettuare interpretazioni alternative rispetto a quella basata sull’apporto dei «fattori produttivi».

Va da sé che in ciascun filone interpretativo la causa (o meglio le cause) della crescita economica fa riferimento ad un qualche aspetto particolare del fenomeno, senza alcuna pretesa di fornire una interpretazione valida in misura esclusiva o maggiore delle altre.

In un contesto in cui, grazie al tasso di interesse prossimo allo zero, la politica monetaria perde gran parte della sua efficacia nello stimolare la crescita (ed è dubbio che possa avere efficacia sul fenomeno dell’inflazione), e la politica fiscale è stata lasciata dal Trattato di Maastricht alla competenza dei singoli Stati nazionali (con i noti vincoli di bilancio), un grazie a Nicola Saldutti per aver messo l’accento sull’Economia dei «tre zeri». Facendo attenzione tuttavia a coloro che, propugnando ad esempio “l’abbassamento delle tasse per aumentare la produttività”, ma dimenticando che una parte consistente dell’aumento della produttività è la conseguenza della crescita economica e non viceversa -, nascondono dietro la loro “ricetta per favorire la crescita economica” interessi particolari se non la propria ideologia.