D come Dolcetto [Abbecedario del gusto]

Lettera Ddi Pietro Mercogliano

 

Dolcetto è sia il nome di un vitigno sia il nome dei diversi vini che se ne ricavano. Il vitigno è coltivato in Piemonte (in particolare nelle Langhe, e ci sono testimonianze di trecento anni fa che già ne riportano la presenza nell’Alessandrino) ma anche in Regioni confinanti (Liguria, Lombardia, Val d’Aosta).

Si tratta di un’uva a bacca nera, con un grappolo allungato ed acini mediamente rotondi; solitamente, porta a termine la maturazione appena dopo la metà di settembre. Al di là del nome ufficiale di “Dolcetto”, ne prende in aggiunta di diversi a seconda delle zone (compreso un facilmente fraintendibile “Nibiò”).

In Lombardia, il vitigno è coltivato con ottimi esiti soprattutto nell’Oltrepò; in Liguria, la zona di Imperia – che contende al Piemonte il primato storico del primo impianto di questa varietà – produce a partire da quest’uva il celebre Ormeasco (“Ormeasco” è peraltro il nome tradizionale del Dolcetto in questa zona).

In Piemonte, sono almeno sei le Denominazioni d’Origine Controllata a Dolcetto le-vignebase Dolcetto: Dolcetto d’Acqui (e d’Acqui Superiore), D. d’Alba (e d’Alba Superiore e di Diano d’Alba Superiore), d’Asti, Dogliani (e Dogliani Superiore, e questa è una D.O.C.G.), delle Langhe Monregalesi (e delle Langhe Monregalesi Superiore), Pinerolese. In realtà, è abbastanza complicato tenere il conto; solo per fare un esempio: il disciplinare ufficiale ha unificato le tre denominazioni “Dogliani” e “Dolcetto di Dogliani” e “Dolcetto delle Langhe Monregalesi”, ma almeno quest’ultima continua ad esser percepita dal mercato come cosa differente dal binomio di Dogliani.

Ad ogni modo, ognuna delle diverse zone ha caratteristiche proprie: e proprio a Dogliani va riconosciuto un particolare interesse. In comune, naturalmente, c’è l’uva: che un tempo era abbastanza diffusa nel territorio anche come uva da tavola, ed ha una buccia non troppo croccante ed un succo molto dolce.

Dolcetto Bottiglie_di_rossoMutatis mutandis, questi vini hanno generali caratteristiche comuni simili a quelle citate per i frutti; consiglio di effettuare il servizio attorno ai 14°C in calici di media ampiezza e non alti. Il vino sarà color rubino con eventuale sfumatura purpurea; al naso, saranno ben in evidenza croccanti piccoli frutti rossi con un sottofondo di radice di liquirizia e ricordi di rosa; in bocca, il tannino evidente (pur se non troppo abbondante) farà buon equilibrio con la notevole morbidezza di questo vino dal corpo non affatto ingombrante e dal finale di bocca spesso ammandorlato.

Per gli abbinamenti, non c’è troppo da faticare: per i Langaroli si tratta del tipico vino da pasto, e come tale svolge con dignità e simpatia la sua funzione; si beve in età anagrafica giovane.

La mia proposta è provarlo in abbinamento ad una zuppa di fagioli Fagiolipreparata col Fagiolo Cuneo I.G.P., ottimo prodotto tipico della Regione. Si tratta di tipologie di fagiolo rampicante appartenenti ad ecotipi (Bianco di Bagnasco, Vedetta) e varietà (Barbarossa, Billò, Bingo, Corona, Millenium, Rossano, Solista, Stregonta) selezionati, allevate sulle tipiche canne nell’ambiente pedemontano che caratterizza la zona; il risultato è un legume la cui pelle finissima tiene una polpa assai ricca e dal gusto sorprendentemente delicato. A questo gusto cureremo nella nostra zuppa di dare il giusto incentivo con un Olio Extravergine d’Oliva ben piccante, mentre staremo invece attenti a non usarne uno amaro ed a non aggiungere elementi che apportino ulteriore grassezza al piatto: l’amarognolo della liquirizia e della mandorla del vino abbracciano la tendenza dolce del legume, il tannino ne sposa la forte succulenza, l’acidità ne incontra la tendenza dolce mitigata alla percezione dall’olio. Cogliamo l’occasione prima che l’estate ci tolga la voglia di piatti cosí.