Il sapone di Aleppo [Il Superstite 256]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Mentre in questi giorni sarebbe in corso ad Aleppo la battaglia decisiva per le sorti di quell’immane mattatoio che è la guerra in Siria, capita che più volte nel quotidiano corso del mio lavoro (non quello dello scrittore, ma quello che mi fa mangiare almeno una volta al giorno) arrivi una persona a chiedermi, appunto, il sapone di Aleppo, magari quello con una certa e specifica percentuale di oli nella formulazione.

Mi può capitare, a seconda dell’umore, di non entrare in argomento dato che Aleppo, intesa come comunità civile in cui determinati laboratori producono cosmetici della tradizione locale, neppure più esiste, avendola la guerra trasformata in un ammasso di rovine. E rispondere quindi soltanto che al momento manca. A quel punto può succedere che il cliente vagamente corrucciato mi chieda quando sarà disponibile. E che, sempre a seconda dell’umore, io abbia da scegliere fra tre risposte: «Non lo so», «Guardi che il sapone non c’è perché in questo preciso istante non c’è Aleppo» e, se proprio mi stanno girando, «Ha presente dove si trova Aleppo?».Verificando qualche volta con triste stupore che per qualcuno “Aleppo” è una parola decontestualizzata dalla storia e dalla geografia.

Fare chiarezza in certi casi può risultare controproducente per chi vende. Sembra cheAleppo 1 tu voglia dare dell’ignorante a uno che non sa dove si trovi Aleppo e che, clamoroso paradosso, ne sta usando il sapone senza una nebulosa conoscenza del macello che lì sta avvenendo, 300.000 morti andando a spanne dall’inizio della mattanza. Ossimoro a dir poco
imbarazzante, un oggetto di notevole consumo e altrettanto valore che verrebbe prodotto in una città fantasma bagnata dal sangue dei suoi abitanti. E i miei scaffali ne sono pieni, mah… Meglio tacere.

Però il Superstite qualche cosina in più la deve scrivere. Intanto ad Aleppo sono quattro anni, più o meno, che il sapone non lo si fa più. Quei tipici laboratori con le torrette che permettevano il passaggio dell’aria per un processo di essiccazione di 10-12 mesi si sono trasferiti altrove, in zone ristrette di confine fuori dal controllo dell’ISIS (altrimenti compreremmo il sapone dallo stato
islamico), in Turchia o verso il Libano. Per un po’ all’inizio si è tentata la carta delle scorte armate che proteggevano i camioncini che trasportavano i prodotti fuori dalla nazione, ma costi e rischi diventavano enormi e insostenibili. E peraltro la guerra è talmente dilagata, con più soggetti in campo all’insegna del “tutti contro tutti”, da rendere impossibile anche la sfida più imprudente. E dunque?

Aleppo 2Mi pare evidente. Più che mai dobbiamo continuare a comperarlo. Anzi, urge incrementare gli acquisti. Per aiutare questa dolce, mite popolazione che non ha chiesto a nessuno di patire le indicibili sofferenze che le piovono addosso, Occidente non estraneo.

Intanto perché, mi si passi la banalità, non è certo la location che determina la bontà del prodotto. Per capirci, si sappia che a Marsiglia, nonostante le migliaia di saponi che circolano fregiandosi della provenienza, esiste un solo saponificio (Le Serail) ubicato in città. E quindi ce ne sono molti altri che lavorano con gli stessi standard di qualità e ingredienti, qualcuno anche in Italia.

Ma, nel caso della Siria, il problema è ovviamente etico. L’importante è capire che l’approvvigionamento di un prodotto che ci arriva in diretta dal cuore dell’Apocalisse può non essere sempre regolare.

Del sapone di Aleppo già ne “parlavano” le tavolette cuneiformi di argilla nel 2500 a. C. Una tradizione nobile e antica che dobbiamo, qui in Italia dove siamo tra i principali consumatori del prodotto, tenere in vita, restituendo dignità e fiducia a gente che sta perdendo tutto mentre l’Europa sonnecchia e sbadiglia. Eppur lavandosi.