Rocchetti (Microbiologia): “Siamo cacciatori di batteri, per salvare vite umane”

Rocchetti AndreaLa maggior parte di noi non sa neppure cosa sia la Sepsi, eppure si tratta di una delle malattie più diffuse e mortali: assai più dell’infarto, addirittura. Non solo: ogni volta che sentiamo parlare di infezioni ‘contratte’ in ospedale ci stupiamo, e partiamo all’attacco della malasanità: senza sapere che magari siamo stati noi stessi, per diseducazione sanitaria di base, ad essere stati veicoli inconsapevoli di infezioni o batteri. “Sicuramente su questo fronte c’è molto lavoro da fare – sorride il dottor Andrea Rocchetti, responsabile della Microbiologia dell’Ospedale Santi Antonio e Biagio -, ma con orgoglio qui ad Alessandria possiamo dire di essere davvero in prima linea e all’avanguardia, su questo fronte. Con investimenti e progetti importanti, in fase avanzata di realizzazione: nonostante il periodo di crisi generale di risorse, i vertici della nostra Azienda Ospedaliera stanno mostrando forte sensibilità, e per noi che lavoriamo ‘in trincea’ questo è motivo di grande soddisfazione”. Cerchiamo allora di farci spiegare dal dottor Andrea Rocchetti, con semplicità, a cosa serve la microbiologia, e perché svolge un compito così essenziale in maniera ‘trasversale’ rispetto a tutti i reparti di una struttura ospedaliera, a partire dal Pronto Soccorso.

Dottor Rocchetti, a cosa serve la Microbiologia, all’interno di un ospedale?
Come reparto autonomo la Microbiologia si è sviluppata una ventina di anni fa: prima ha sempre fatto parte del laboratorio di analisi. E’ diventata via via sempre più importante e autonoma, quando ci si è resi conto del ‘peso’ crescente delle infezioni (di origine virale, batterica, parassitaria, da funghi), e quindi della necessità di identificarle in maniera rapida ed efficace, per combatterla. Il che oggi è consentito grazie a tecnologie sempre più raffinate, che consentono di ridurre moltissimo la tempistica in fase di diagnostica: e naturalmente in molti casi il fattore tempo è essenziale per salvare vite umane.

E’ per questo che al Santi Antonio e Biagio avete sviluppato un progetto congiunto tra Microbiologia e Dea?
Certo: sin dal 2012 il Dottor Corsia ospedaleCasagranda (responsabile del Pronto Soccorso) ed io abbiamo ritenuto, a fronte di dati ufficiali sempre più preoccupanti sulla diffusione della Sepsi, lavorato su un progetto congiunto di diagnostica tempestiva. Naturalmente nulla di nuovo sotto il sole, se è vero che già Machiavelli, ai suoi tempi, amava dire “la setticemia in una prima fase è difficile da individuare, ma facile da curare. Quando invece individuarla diventa facile, curarla è molto più complicato”. Era, ed è, verissimo. Anche se oggi, per fortuna, esistono gli strumenti necessari per effettuare diagnosi precoci, anche in poche ore: il che consente di consegnare ai clinici un quadro preciso della situazione, perché possano intervenire.

Rocchetti strumentazioneConcretamente, in cosa consiste la vostra collaborazione con il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Alessandria?
Abbiamo posizionato al Pronto Soccorso (tra i primissimi non solo in Italia, ma in Europa: credo che un progetto simile sia in corso di realizzazione anche a Bologna) un analizzatore per emocoltura simile a quello che abbiamo qui da no in reparto (ce lo mostra, ndr), collegato in remoto con il nostro laboratorio. Questo perché, da dati in nostro possesso, relativi al 2012, è emerso che, su circa.1.200 pazienti affetti da Sepsi in tutto il nostro Ospedale, ben 362 erano stati riscontrati al Pronto Soccorso. Per cui ci è sembrato assolutamente necessario installare nell’area di urgenza un modulo del sistema di incubazione/analisi dei flaconi per emocoltura, Naturalmente collegato in rete, in tempo reale, con il nostro laboratorio.

A questo punto però ci deve spiegare, con parole semplici, cos’è l’emocultura…
E’ l’esame fondamentale, grazie al quale viene effettuato un prelievo di sangue del paziente, immettendolo immediatamente in appositi flaconi, in cui il sangue viene ‘coltivato’, e i batteri possono crescere ed essere identificati. I flaconi vengono introdotti all’interno dell’analizzatore di cui abbiamo parlato, ad una temperatura stabile di 37 gradi, e la macchina ogni 10 minuti ‘legge’ il contenuto dei flaconi, e registra qualsiasi variazione. Ad un certo punto il sangue viene estratto dal flacone, e ‘seminato’su appositi terreni solidi, per identificare e conoscere i batteri. A quel punto i risultati vengono comunicati al clinico, che può decidere come intervenire.

Il tutto tenendo in grande considerazione il fattore tempo, più o menoSepsi come un team di Formula 1…
Il tempo è variabile essenziale, e basta dare un’occhiata ai dati per rendersi conto che, grazie all’installazione della nuova apparecchiatura in pronto soccorso, la tempistica di analisi si è notevolmente ridotta, rispetto ai prelievi effettuati negli altri reparti dell’Ospedale. Per questo abbiamo un progetto, in fase di realizzazione, che si chiama Sepsi@AL.t: ossia un laboratorio aperto 24 ore su 24, e un’interazione in tempo reale tra tutti i reparti della nostra Azienda Ospedaliera, per ottimizzare il processo e percorso di analisi.

Oggi quanti siete, nella struttura di Microbiologia del Santi Antonio e Biagio?
Siamo in tutto 14 persone, di cui 5 laureati in medicina o biologia, e 9 tecnici di laboratorio. E lavoriamo costantemente dalle 8 alle 18, con reperibilità del medico di turno anche la domenica e negli altri festivi.

Dottor Rocchetti, il tema infezioni ospedaliere periodicamente emerge nel dibattito pubblico, e poi si smette di parlarne. Ma quanto è importante, e come si può risolvere?
E’ una questione di enorme rilevanza, anche se spesso trascurata. Quando dico che noi siamo ‘cacciatori di batteri’, uso un’immagine magari ad effetto, ma che è rispondente al vero: i batteri comunicano tra loro, e hanno una enorme capacità non solo di riprodursi, ma anche di valutare quando e dove è più opportuno farlo. E sono, ribadiamolo, una delle principali cause di morte: anche oggi, e nella nostra civiltà occidentale. Il nostro problema, come Italia, è che manca completamente nelle persone una cultura di prevenzione su questo fronte,  che noi come Azienda Ospedaliera stiamo cercando di promuovere sia sul fronte diciamo interno, degli operatori, sia sensibilizzando i pazienti e i loro famigliari e visitatori: che spesso sono inconsapevolmente il principale veicolo di diffusione dei batteri anche all’interno delle strutture ospedaliere. Naturalmente però servirebbe una vera campagna di sensibilizzazione nazionale, indirizzata a tutta la popolazione: a partire dalle scuole, per far crescere ragazzi e ragazze più consapevoli del problema, e di come affrontarlo, rispetto agli adulti di oggi.

Ettore Grassano