Diario di un mattino di marzo

Un inizio di giornata indimenticabile, quello di giovedì 27 marzo 2014. La caparbietà di mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo e amico, era riuscita nell’impresa di una Messa mattutina dei parlamentari con Francesco a San Pietro, Altare della Cattedra.

Avendo conoscenza delle Messe di Santa Marta (anche grazie alla puntuale pubblicazione delle relative omelie da parte del sito vaticano) e del metodo di Francesco, non mi aspettavo null’altro che una Messa, accompagnata dalla sua predicazione, al tempo stesso dolce e sferzante.

Alcuni colleghi parlamentari, meno a conoscenza di questo metodo, rimangono un po’ spiazzati dalla nudità di una celebrazione eucaristica non preceduta né seguita da una parte, per dir così, di pubbliche relazioni, e finiscono per stupirsi di un Francesco da loro percepito come distante e freddo, lontano da quello stile comunicativo ed empatico che ne ha favorito la popolarità.

Uscendo da San Pietro, taluni di essi mi manifestano i loro sentimenti e non mi
nascondono la loro delusione e persino l’amarezza di chi si sente ingiustamente trattato con freddezza. Provo a dialogare, mettendo in evidenza che nella Messa c’è il massimo di comunione e di accoglienza, rese possibili dal mistero della presenza eucaristica che crea tra noi, riuniti nel suo nome, un vincolo più forte di ogni parola umana, di ogni gesto di amicizia e di benevolenza. Proprio la “nudità” delle sue forme permette alla Messa mattutina di Francesco di sprigionare il senso di un Oltre, di farne vivere l’esperienza.

Il dialogo si fa più serrato. Un collega mi obietta: “Già, ma che mi dici allora dell’omelia?”.
Qui veniamo all’altro tema della mattinata.
Favorita da qualche tweet poco meditato trasmesso in tempo reale e subito raccolto e amplificato dal sistema dei media, si diffonde tra molti colleghi la percezione di un’omelia ad personam, o ad personas, in cui il Vescovo di Roma avrebbe colto l’occasione del commento a Luca 11,14 (e a Geremia 7,23) per lanciare il suo j’accuse al ceto politico, qualificato come chiuso, lontano dal popolo, corrotto. Un ceto dal quale dunque si devono prendere le distanze: la percezione delle forme si intreccia qui con quella del contenuto omiletico.

Invito i miei interlocutori a leggere il testo dell’omelia di lì a qualche ora, appena reso disponibile sul sito vaticano, per verificare se da essa, in sintonia del resto con il registro della predicazione di Santa Marta, non sia ricavabile un ben diverso e mirato messaggio, che mi è sembrato di percepire all’ascolto, ma che anch’io vorrei verificare.
Il j’accuse, se così si può dire, è a quella classe dirigente sacerdotale, intellettuale e politica (dimensioni allora non distinguibili) la quale, “chiusa nelle sue idee, nella sua pastorale, nella sua ideologia”, non riesce ad ascoltare la chiamata del Signore e si giustifica attraverso la teologia del dovere che si sostituisce alla teologia della fede: un cuore indurito che non è in grado di ascoltare la voce del Signore.

Ci lasciamo con l’impegno di riprendere il dialogo dopo la lettura del testo trascritto. Con qualcuno sarà possibile, in una pausa dei lavori parlamentari. Ed è stato lì che ho percepito meglio dove stia, forse, la vera difficoltà di molti rispetto all’inizio di mattinata all’Altare della Cattedra. “Dici bene, ma questo Papa sembra muovere da una radicale distanza tra popolo ed élite, la sua scelta dei poveri e con i poveri non ti sembra troppo netta?”.
Mi infervoro. Non è di Francesco, questa radicalità, è del Vangelo. Un Vangelo sine glossa, certo (che non significa decontestualizzato o ridotto a una mera ed astorica letteralità, anzi!), rispetto al quale tutti ci sentiamo in qualche misura in difficoltà. Siamo noi il problema, sono le nostre false sicurezze, le nostre cattive abitudini, le nostre chiusure.

Francesco ci spiazza perché coniuga forma e sostanza, buone maniere e buone abitudini.
E perché ci restituisce il gusto originale ed autentico di un messaggio, di una notizia di cui abbiamo un po’ perduto il sapore. In ognuno di noi c’è un residuo di quegli scribi, quei farisei, quei sadducei. In questo senso siamo tutti peccatori, come Francesco ama ricordare e anche quel mattino ha ricordato ai parlamentari. Il punto è: non corrompersi, mantenere occhi e orecchi capaci di intendere la voce del Signore, che è anche la voce della nostra umanità più profonda.
La predicazione di Santa Marta è allora per noi un aiuto quotidiano, e quel mattino di marzo a San Pietro possiamo allora vederlo come un esempio, un regalo del quale essere grati.

Renato Balduzzi – Alessandria