Filiere famigliari [La coda dell’occhio]

Zoccola Paolodi Paolo Zoccola

Non ce la fanno, proprio non ce la fanno. Non solo i politici ma anche quelli che nelle loro professioni si collocano ai vertici e svolgono funzioni di grande risalto pubblico nel mondo dell’informazione e della cultura in genere. Non ce la fanno. L’insostenibile leggerezza dell’essere li travolge e ne oscura il senso della convenienza civile, e cioè quello delle cose che si possono fare e di quelle che forse è meglio evitare.

In una delle mie code, parlando della Rai, dicevo che sarebbe stato utile un’indagine approfondita sui cognomi di chi ci lavora, per diventare edotti sulle ragnatele parentelari che ne offuscano l’immagine. Potrò sbagliarmi, ma a senzazione, tra il personale della nostra televisione di stato, che ogni anno ci chiama a pagare un salato canone, tutti sembrano essere figli, nipoti, cugini parenti insomma di qualcuno (per non parlare di amanti e ‘compagne’). Sembra di essere tornati al medioevo quando il figlio del fabbro faceva il fabbro, il figlio del panettiere ereditava l’attività del padre e così via.

Oddio, si può anche comprendere che chi nasce in una famiglia di elevata cultura (esempio docenti universitari, direttori di giornale, di riviste, di case editrici) cresca assorbendo fin dalla culla codici e informazioni che ne faciliteranno la carriera nelle discipline professate dai genitori. La nascita stessa diventa qualificante e finisce spesso, o almeno nei casi migliori, di coincidere col merito. La filiera famigliare conta, eccome e chi è sprovvisto dei relativi quarti di nobiltà farà più fatica, dovrà compensarli con un maggior numero, come si dice oggi, di crediti educativi. E’ un dato di fatto oggettivo, ma quando il modello diventa ripetitivo e invadente facilmente sorge il sospetto di una qualche anomalia. Non dal punto di vista del codice, certo, ma da quello del decoro.

A chi mi riferisco? Presto detto: al programma ‘Masterpiece’ in onda, sembra senza grandeMieli Lorenzo successo, su Rai3. Si tratta di un talent show per scrittori che la nostra televisione di Stato ha affidato alla produzione di Freemantle Media Italia la cui sigla siamo stati abituati a riconoscere in calce a diversi programmi televisivi di intrattenimento e gameshow. Che male c’è? Nessuno, se non che amministratore delegato della società è, a partire dal 2010, Lorenzo Mieli (nella foto). Vi dice qualcosa il cognome? Ma certo, è il figlio di Paolo Mieli, il più celebre guru dell’informazione italiana (Repubblica poi Corriere della Sera, poi presidente, fino a qualche anno fa, del gruppo RCS editori), conduttore lui stesso di numerosi programmi televisivi storico- culturali.

Conclusioni? Nessuna. Solo un promemoria sulle filiere famigliari italiane.