Dove eravamo rimasti? Grigi in B, ma…..disamina di due anni non proprio impeccabili

Grigi: dal libro Cuore alla tragedia del Poseidon CorriereAldi Jimmy Barco

 

 

Chi meglio di Jimmy Barco, dopo la straordinaria (e per certi versi inaspettata) promozione in B dell’Alessandria Calcio, può aiutarci a ‘rileggere’ quanto successo, in campo e a livello societario, negli ultimi due anni? Con grande amore per la maglia grigia, ma anche senza sconti e retorica, come solo Jimmy sa fare. Gli diamo carta bianca, come sempre, e un sincero bentornato. Sperando che questa sua articolata analisi sia da stimolo ad altri interventi, con opinioni anche differenti. I Grigi in B meritano che si crei un ampio movimento non solo di tifo, ma anche di opinioni, e di idee sul futuro. E. G.

Per aspera ad astra, ma non dite niente alla Dea Eupalla

Due anni or sono, di questi tempi, Di Masi assumeva come Direttore Sportivo dei Grigi Fabio Artico, professione bomber e per questo suo passato (almeno spero…) idolo della tifoseria mandrogna.

Al nostro Fabio la Società affidava un compito improbo: liberarsi di una pattuglia di giocatori deludenti sia come calciatori e sia come uomini, individuare un bravo allenatore e uno staff all’altezza e, soprattutto, cambiare l’inerzia di un Club aduso a spendere tanto senza mai cogliere gli obiettivi.

Una Società, quella alessandrina, spesso identificata nel micro mondo del calcio nostrano come paradiso del bengodi per giocatori e procuratori annessi. Compito improbo quello di Artico dicevamo, il quale, grazie anche ai buoni rapporti che l’ex bomber ha abilmente coltivato negli anni con la parte più intransigente della tifoseria, poteva lavorare in pace e magari far rientrare la contestazione strisciante (e spesso di maniera) di una larga parte del tifo organizzato nei confronti di questa gestione.

Avevo paragonato Artico neo DS a Mister Wolf, personaggio che nel film Le Iene di Tarantino si presentava come quello “che risolve i problemi”. Scommessa azzardata quella di Di Masi, perché
l’ ex bomber non aveva fino ad allora dato grandi prove di sé dietro una scrivania.

Ma il ragazzo è sveglio, sa muoversi anche nella palude del calcio e conosce decentemente i meccanismi che governano questo mondo a volte alieno. Disperata missione la sua, e missione sostanzialmente mancata.

Da allora, in due stagioni sportive, si sono avvicendati tre allenatori, cinque finestre di mercato e l’ingaggio di tanti calciatori, di cui alcuni autentici top della categoria, ma senza mai far cassa con le uscite.

Per tante delle facce nuove arrivate qua, visti i loro curricula e certi stipendi, le aspettative erano tante quasi tutte poi disattese sul campo, per una ragione o per l’altra.
L’intervento di Mister Wolf poi sulle dinamiche interne alla struttura, sulle modalità di lavoro, sulla cultura del sacrificio e l’istinto della vittoria strappata con le unghie e con i denti, in questi due anni è stato impalpabile (eufemismo).

Venti giocatori sotto contratto aveva il DS si è quando si è insediato altrettanti ne ha oggi, quasi tutti giocatori diversi rispetto a prima ma la sostanza non cambia perché fra i contrattizzati odierni non vedo un solo elemento appetibile per altre società disponibili a pagarne il cartellino.
Solo Longo negli ultimi sei mesi è riuscito a rivoltare la squadra e le sue modalità di lavoro come il calzino della Befana, lavorando duro per far ridiventare calciatori a tutti gli effetti sedicenti professionisti che si rivelavano tali solo quando c’era da concordare l’ingaggio a inizio stagione, adagiati su temi, ritmi di lavoro e gestione della propria vita fuori dal campo senza slanci di autentica professionalità e amor proprio.

Personaggi insomma che, strappato un lauto e magari duraturo contratto, vivevano la loro esperienza in Mandrognia al pari di una vacanza-premio. Tema questo che anche Braglia in passato aveva evidenziato ma, non appena ha tentato di cambiare registro a metà di una stagione cominciata in modo trionfale, si è trovato solo davanti ad un muro apparecchiato da alcuni “senatori” e dall’allora DS Magalini.

Se poi ci si aspettava un piccolo contributo da parte del Settore Giovanile, almeno per ricoprire in rosa ruoli di rincalzo o per lanciare qualche giovane virgulto “a costo zero”, tipo il terzo portiere (si fa così per dire…), dobbiamo chiamare in causa Godot, cioè lo aspettavamo ma non è mai arrivato.

Nel dicembre scorso, in piena pandemia, la situazione era tragica: la squadra navigava a vista e la stagione in corso pareva compromessa. I giocatori sempre poco reattivi e, per l’ennesima volta qui in riva al Tanaro, una proprietà che spende cifre pazzesche rischiava di vincere zero. Inoltre spesso paga i giocatori per giocare qui, e poi li paga pure per fare in modo che se ne vadano via.

Ma, soprattutto, siamo di nuovo davanti al solito caravanserraglio messo in piedi a casaccio, senza costruire una base solida sulla quale impostare un piano di lavoro decente anche per le stagioni a venire.

Nel gennaio scorso però arriva l’unica, autentica, importante buona novella di queste due ultime stagioni: il nuovo mister Moreno Longo. Una scelta figlia unica della caparbietà e della volontà sognatrice di Di Masi, il quale ha accarezzato un sogno impossibile: portare in una piazza come la nostra una figura di mister giovane ma all’attenzione della Serie A.

Longo allenatore infatti in carriera ha sempre centrato gli obiettivi fissati e qualche volta è andato pure oltre. Sul fatto che un personaggio di tale spessore e consistenza abbia accettato una simile scommessa ha pesato anche un po’ la fortuna, è vero. Ma il Presidente non si è fermato davanti a niente, neppure davanti a un contratto triennale a cifre che, in C, sono fuori da qualunque logica aziendale.

Quindi l’ingaggio di Longo è stato pensato, voluto e realizzato da Di Masi e, ad onor del vero, nessun Direttore Sportivo sano di mente avrebbe proposto, in questa città e in quella situazione, un colpo di teatro del genere.

A cose viste quella scelta, apparentemente fatta contro il buon senso, si è rivelata vincente e ora mi pare l’unico caposaldo irrinunciabile per il futuro.

Dispiace che né i media alessandrini né la piazza abbiano colto fino in fondo le potenzialità che Longo poteva rappresentare per la disincantata realtà sportiva mandrogna, impegnati gli uni a parlare e scrivere spesso di cose irrilevanti, oppure l’altra scatenata a costruire polemiche sterili e capziose contro il Presidente.  Guarda caso senza nessun riferimento negativo per il DS, curioso eh?

Ammalati come sempre di autoreferenzialità i tifosi, o almeno la parte ululante e compulsiva di essi, hanno sempre avuto come obiettivo dei loro strali Di Masi e i dirigenti a lui direttamente riferibili.

I tifosi invece fanno finta di dimenticare che negli ultimi quarant’anni di storia sportiva grigia loro, più o meno, c’erano, ma questa dirigenza no, e che in 46 stagioni, qui ad Alessandria spesso neppure l’iscrizione al campionato era cosa certa, visti i ‘bandoni’ che si sono fregiati del titolo di Presidente dell’Alessandria.

Sia chiaro, non sono certo preoccupato della situazione economica personale del nostro Presidente ma sarei felice che ogni suo euro speso per i Grigi lo si vedesse brillare poi nelle prestazioni della squadra e dei nostri giocatori.

Dopo di che se a Longo possiamo assegnare un bel 9 (e sarebbe stato 9 anche in caso di onorevole sconfitta in finale), altrettanto non mi sento poter fare con il DS, perchè le campagne di rafforzamento da lui condotte non sono state certo da riferimento.

I suoi mercati acquisti mi sono sembrati a volte un bignamino dell’Almanacco del Calcio, e i costi complessivi degni di una crociera intorno al mondo a bordo di una portaerei della Marina Militare USA.  Della serie: datemi un Panini e tanti soldi che fare il DS dei Grigi in questo modo lo faccio anch’io.

Con certi nostri budget annuali a piè di lista onestamente ci sono club in C che di stagioni ne fanno tre o quattro e, a volte, arrivando pure davanti a noi a fine campionato.

Per Artico quindi un bel 5 tondo.
Sistemato il giudizio, ammetto magari un po’ tirato via ma non credo fazioso, riguardo il settore tecnico e sulla direzione sportiva alessandrina passiamo per un attimo ai massimi sistemi del calcio.

La pandemia credo ci abbia aiutato a prendere atto di cose che magari si potevano intuire ma ribadite proprio grazie alla crisi sistemica provocata dal Covid.

Punto primo: il Sistema Calcio ha sostanzialmente retto l’urto contro un iceberg che si temeva affondasse baracca e burattini.

Magari sarà, come si sente dire, “un calcio malato” ma si è comunque rivelato un mondo dotato di formidabili anticorpi e quindi gestito da dirigenti che sanno fare il proprio mestiere.

Il calcio europeo ha tenuto botta, dal punto di vista sportivo, seppur faticosamente, a una crisi inaspettata e drammatica senza paracadute.

I campionati sono stati portati a termine con una qualche parvenza di regolarità e ci si prepara a nuova vita, magari cambiando certi atteggiamenti.

Secondo punto: il discorso legato al pubblico negli stadi e del tifo in particolare. Benchè dirigenti, giornalisti e addetti ai lavori ce l’abbiano spesso ‘raccontata’, la gente che corre allo stadio a sostenere i propri beniamini è praticamente ininfluente circa i risultati e le professionalità che operano nel calcio.

In soldoni: chi vince merita, a prescindere dalla qualità e quantità di popolo che trascina con sè. E il popolo invece non trascina nessuno, altrimenti il Napoli sarebbe finalista Champions un anno sì e l’altro pure e il Cittadella o il Chievo marcirebbero in Serie D. Che poi a ognuno di noi piacerebbe essere coprotagonista dei trionfi della nostra squadra del cuore è umano e comprensibile, ma è verità lontana anni luce dalla realtà. Facciamo pure finta di crederci ma senza esagerare, perché chi pensa davvero che la favoletta sia autentica o è un minchione o è qualcuno abituato a raccontarsi balle e crederci pure.

Il tutto senza mettere in dubbio l’autenticità delle passioni, le emozioni, le gioie e le delusioni che ognuno di noi prova e ha provato per il proprio oggetto del desiderio.

Certo, dirigenti, giornalisti e addetti ai lavori del calcio spesso ci lisciano il pelo, tanto certe dolci parole che ci piace sentire a loro non costano niente e anzi qualcosina questi ci guadagnano pure. Clamoroso il caso, per dirne una, del tentativo abortito di Juve e Real di mettere in piedi una superlega per scalzare l’Uefa e i suoi dirigenti. Quei dirigenti Uefa, anziché prendere atto dei problemi e del malfunzionamento della struttura da loro gestita e cercare di porre un qualche rimedio, hanno sventolato il pensiero comune di appassionati e tifosi ovviamente contrario al progetto degli ammutinati per affossare l’iniziativa.

Così, ancora una volta, gli appassionati di calcio sono stati brutalmente strumentalizzati. Tutto ciò giusto per difendere innanzi tutto esosi privilegi e poteri immensi da parte di quei pochi dirigenti Uefa, terrorizzati dalla prospettiva di perdere il loro posticino, conquistato con mille congiure di palazzo e auto gratificati da stipendi inimmaginabili.

Oppure, in tema di fusioni fra società (ultimo caso Matelica-Anconitana, ma ce ne sono altre decine in cantiere): forse che prima di affrontare il tema quei dirigenti coinvolti hanno chiesto il parere allo zoccolo duro della loro tifoseria? Macchè. Se ci sono volontà ed interessi collimanti si porta in fondo l’operazione, se qualche dirigente invece pensa di perderci qualcosa la fusione non si fa e i tifosi possono strillare o applaudire quanto vogliono, tanto le decisioni sono prese nelle segrete stanze impermeabili ai desiderata dei tifosi.

Altro che difendere le volontà degli sportivi, evocando parole grosse come “emozioni”, “passioni” o “storia sportiva”…. ve le immaginate queste parole al miele pronunciate da un personaggio come Blatter, giusto per citarne uno: una blasfemia!

Quindi mi sento di dire ai tifosi: ogni volta che qualcuno ci cita e ci mette nel cono di luce, diffidate. Potete star certi che chi lo fa persegue solo propri biechi interessi di bottega e non certo l’onestà intellettuale.

Sindacalisti che difendono i diritti dei tifosi non ne ho mai conosciuti, e se qualcuno lo fa i suoi scopi sono certamente ben diversi.

Ma ritornando al gennaio scorso e al momento topico della stagione, quando cioè Moreno Longo accetta la panchina grigia, la situazione è nebulosa (eufemismo…).

L’ex torinista arriva e ci mette un po’ per capire dove si era catapultato. Chiede un terzino centrale mancino affidabile (inspiegabile, per esempio, che una squadra con dichiarate ambizioni costruita per giocare “a tre” in difesa ne sia sprovvista dopo due sessioni di mercato e cinque mesi per accorgersi del vulnus, o che tutti e quattro gli attaccanti in organico, Eusepi, Corazza, Arrighini e Stanco, siano ‘prime punte’), un razionalizzatore in mezzo al campo (ingaggiato un centrocampista come Giorno, destinato per qualità tecniche e fisiche a militare in squadre di categoria senza soverchie ambizioni, e sono generoso).

Dal 3-5-2 Longo passa al 3-4-3 ma, soprattutto e a piccoli passi, il collettivo cresce e sul campo si cominciano a intravvedere rabbia agonistica, ordine e rispetto delle disposizioni impartite.

Inoltre il gruppo e lo staff cominciano a praticare scrupolosamente le norme studiate per ridurre al minimo i rischi di beccarsi il Covid, comportamento inimmaginabile prima della discesa in campo di Longo.

Giocatori e staff, da sempre abituati a comportarsi come meglio pareva loro, passano cinque mesi come autentici frati trappisti. Per loro solo lavoro al campo di allenamento e poi di corsa chiusi in casa, eliminando al massimo il rischio di essere contagiati.

La rimonta sul Como, aiutata da una flessione dei lariani, prende corpo e si arriva così alla penultima giornata di campionato in cui ci aspetta lo scontro diretto a casa dei lombardi. Se vinci scavalchi la capolista e il sogno della promozione diretta diventa quasi realtà. Inoltre tu sei la squadra in rimonta, in buona salute e dotata di un morale alle stelle, mentre gli avversari hanno la lingua lunga e sono ad un passo dalla resa tecnica e nervosa.

Ma proprio in quella settimana cruciale che precede il big macth accade il patatrac. Certe attenzioni sono per un attimo dimenticate da un gruppetto di giocatori che si incontrano all’insaputa di tutti in casa di uno di loro per una innocente colazione, e di lì parte il contagio.

Pensate che il giorno in cui è confermato quel contagio in provincia di Alessandria (400.000 anime) i dati parlano di ottanta nuovi contagiati dei quali quasi il 10% sono calciatori mandrogni. Sembrerebbe la fine del sogno perché sono rivoluzionate le modalità di lavoro, perdi almeno tre titolari e, soprattutto, perché nello spogliatoio potrebbe cominciare una guerra senza quartiere di tutti contro tutti.


Arriviamo così la domenica a Como per la partita dell’anno a pezzi, sia dal punto di vista dell’organico e da quello morale. Perdiamo lo scontro diretto e le prospettive per i playoff sono sinistre mentre, dietro l’angolo, potrebbe delinearsi una spaccatura verticale e insanabile del gruppo proprio in vista degli spareggi.

Inoltre nessun giornale ( ma va?) scrive la verità su quanto è successo quella mattinata incriminata. Se il silenzio della Società sull’episodio è comprensibile nel tentativo di salvare il salvabile, è invece colpevole che la stampa alessandrina non ne abbia fatto cenno. Ignavia, superficialità, o quant’altro? Se le notizie non si danno a che servono i giornali? FB basta e avanza.

Cosa aspettavano i Nostri critici (?) sportivi, forse che i tifosi sui social dessero loro il permesso di rendere pubblico l’episodio? E perché si teme che si sappia la verità? Forse che a pagarne le conseguenze, a parte i giocatori coinvolti, potrebbe esserci qualcuno che è ritenuto, chissà perché, intoccabile?

Sia come sia a Como si perde, e si perde pure anche l’ultima di campionato a Busto Arsizio. Arriviamo secondi nella regular season e ci sono i playoff per giocarsi l’ultimo posto disponibile per la B in una maratona che vede coinvolte una trentina di squadre, il meglio della terza serie.

Vincere questo piccolo campionato supplementare equivale a nuotare in un braccio di mare infestato da tribù di squali bianchi a digiuno da mesi e uscirne interi, un miracolo!

Che tipi di argomenti abbia usato Longo per rimettere in piedi la situazione non lo so, certo l’autorevolezza del Mister ha pesato come un macigno, un’autorevolezza sconosciuta a mister, dirigenti e DS del passato e del presente nell’ora pre Longo.

E magari pure la Dea Eupalla, nostra matrigna, si è distratta, impegnata com’era agli Europei….chissà.
Nell’occasione i giocatori e il Mister sono stati fortunati ma tanto, tanto bravi e generosi. Bravi e generosi a spendere tutte le risorse fisiche, tecniche, tattiche e nervose, quelle che avevano e pure quelle che non avevano. I giocatori hanno sfoderato carattere e risorse che penso neppure loro sapessero di avere, le loro gambe andavano da sole e i nostri limiti sono stati compensati da piccole debolezze altrui.

Ma al nostro arco abbiamo avuto una freccia come arma segreta: Moreno Longo, il quale tatticamente ha imbrigliato Mandorlini (e non solo lui…). Mandorlini si è rivelato nella circostanza una tigre di carta, incapace di reagire ai rifrulli tattici di Longo e inadeguato a guidare una macchina, vista così, superiore di una spanna a tutte le contendenti: un’autentica disfatta per lui e un’altra perla per il nostro mister ma, soprattutto, i Grigi in B dopo 47 anni e cinque playoff di fila perduti.

Ricordo benissimo quel campionato vinto una cinquantina d’anni orsono dalla squadra di Remo Sacco, come è stato vinto, i suoi protagonisti uno per uno e le partite che hanno segnato quel cammino trionfale.

Ma quella volta eravamo i più forti del nostro girone, adesso è stato più emozionante perché nei play off non eravamo certo i favoriti.

“Nel calcio non sempre vince la squadra più forte ma chi ha vinto è la squadra più forte”, così scriveva Gianni Brera e ancora una volta bisogna dargli ragione.
Adesso giocheremo in Serie B, per consolidarci e per riassaporare il calcio nazionale che, in un lontano passato, ci ha visto anche protagonisti.

E per farlo, secondo me, diventa indispensabile individuare un dirigente a tutto tondo, tanto per cominciare. Un tipo alla Bava, quello del Toro, per intenderci. Un personaggio insomma a cui dare le chiavi della Società, un frequentatore da protagonista di tutte le categorie professionistiche, capace di creare assieme a Longo un Club riconoscibile da tutti come luogo dove viene ripristinato un ambiente positivo e meritocratico in cui lavoro, sacrificio e professionalità si devono annusare già sulla Tangenziale che entra in città.

Chiunque firmerà il contratto per lavorare o giocare qui sarà motivato a far bene, predisposto a lavorare duramente e… pedalare! Lassismo e calcio rilassato non devono più albergare in sede e al campo di allenamento e tutto questo deve diventare, per gradi, la cifra e l’oggetto sociale dell’Alessandria di domani. E di un nuovo clima ne potranno trarre vantaggio tutti, Artico compreso.

Ultimo argomento, quello più interessante per i tifosi, ma pure quello che va affrontato per ultimo: i giocatori, quelli vecchi e quelli che potrebbero arrivare. Vi dico subito una mia impressione: Pisseri, ad esempio, è stato il giocatore più positivo di questa annata sportiva. Se però vi andate a vedere le caratteristiche fisiche medie dei portieri di serie B del campionato appena concluso vi accorgerete che sono tutti più alti e possenti di lui. La palla in B viaggia più forte e veloce e gli attaccanti sono mediamente meglio dotati fisicamente pure dei migliori di C. Già pagavamo centimetri e chili giocando contro il Padova, figuriamoci giocarci un campionato in categoria superiore.

Longo queste cose le sa certamente e non ha bisogno dei miei banali suggerimenti, ma mi aspetto novità radicali per l’organico e lo staff.

Che a Di Masi venga in mente, smaltita l’overdose di entusiasmo per la promozione, qualche altro colpo da maestro tipo l’ingaggio di Longo?

Di una cosa però sono convinto e so di affermare una cosa che farà storcere il naso a tanti in questa plaga: Di Masi, pur commettendo anche passi falsi in questi anni, è il miglior presidente possibile per l’Alessandria Calcio primi anni 2000 perché la sua passione feroce per i Grigi fa la differenza, Serie B ma anche se non avessimo chiusa in modo trionfale l’avventura dei playoff .

Mi meraviglia che sia proprio quella parte di sportivi sedicenti “con il grigio nel cuore” che non riconoscano e non abbiano riconosciuto Di Masi come tifoso senza se e senza ma, quindi come uno di loro.

Ma si sa: l’autoreferenzialità è una brutta bestia che può avere in qualche caso conseguenze e metastasi davvero imbarazzanti. Ritornerò a farmi sentire (disponibile ad essere contestato e spernacchiato) spero un po’ prima dei due anni…vi mancavo eh?