Miss Marx, la figlia del Capitale. Biografia pop di Barbara Minniti [ALlibri]

di Angelo Marenzana

 

All’appuntamento domenicale con ALlibri è presente oggi Barbara Minniti, giornalista professionista, per anni cronista in un quotidiano romano, passata poi alla comunicazione pubblica e al giornalismo storico-scientifico, finché non si è scoperta anche scrittrice. E in questa veste, Barbara Minniti ci propone Miss Marx, la figlia del Capitale (volue pubblicato da Oltre Edizioni), ovvero la Biografia Pop di Eleanor Marx, detta Tussy, donna dal cognome che oggi sarebbe pesante da portare.

Questa sua biografia (da cui è stato tratto l’ominimo film presentato in anteprima il 5 settembre 2020 alla 77sima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia) ci riporta nel mondo della Londra della seconda rivoluzione industriale, ripercorrendo le fasi della breve ma intensa vita di una donna che ha saputo conquistare un ruolo di rilievo nella società del tempo.

Il racconto, dallo stile quasi discorsivo, è arricchito da approfondimenti sul caso del presunto figlio illegittimo di Marx e da riferimenti continui alla nostra attualità. Non manca un’appendice di curiosità, fatti e personaggi, nonché una bibliografia con pubblicazioni recenti per chi volesse saperne di più. Alla sua nascita nel 1855 a Londra, Eleanor era solo l’ultima figlia di un esule politico tedesco che viveva con la sua famiglia in due misere stanze a Soho, trascorrendo le giornate nella biblioteca del British Museum senza una sterlina in tasca e una sfilza di creditori al portone di casa.

Al momento della nascita di Eleanor il marxismo era soltanto agli albori, ma Tussy crescerà con le due sorelle, nell’ambiente del nascente socialismo internazionale, influenzata dalle elaborazioni paterne e dello “zio” Engels, che faranno di lei la naturale erede del pensiero dei due grandi leader del comunismo. Un fardello che condizionerà tutta la sua vita di donna, innamorata del padre e della sua elefantiaca e stimolante intelligenza, ma anche intimamente decisa a costruire la propria autonomia con l’impegno politico, sindacale e culturale nell’Inghilterra vittoriana. L’incontro e la lunga relazione con un compagno di lotte e di apparenti affinità elettive le sarà fatale e la sua convinzione di saper reggere la pressione di un rapporto, volontariamente non vincolante, la porterà al suicidio all’età di 43 anni.

Buona lettura con un estratto di Miss Marx, la figlia del Capitale. Una biografia Pop.

 

 

Non sappiamo se Gertrude Gentry, tornata a casa dopo aver riconsegnato il libro dei veleni al farmacista, cacciò il classico grido di orrore hitchcockiano.

La sua padrona era stesa sul letto semivestita, la bava alla bocca, il volto bluastro, il rantolo del moribondo.

Possiamo però immaginare Gertrude, una sciatta servetta,  scarmigliata e pallida, forse di origini fiamminghe, mentre, una mano sulla bocca, decide cosa fare. Il padrone non c’è, in casa solo lei e la povera signora che, evidentemente, ha deciso di farla finita tracannando l’acido prussico che le era stato  consegnato solo una mezzora prima, insieme col cloroformio.

Era andata lei dal farmacista, con un biglietto in cui si chiedeva di affidarle il veleno per i cani e il libro da firmare per la consegna. Sapeva che l’acido non era destinato ad alcun cane, ma questo non era affar suo. Le era passato per la testa il pensiero che, nel caso di una morte prematura, le sarebbe toccato trovarsi un altro posto, e aveva fatto spallucce. I suoi padroni non le erano particolarmente simpatici, lei troppo nervosa ultimamente, lui malato e bisognoso di assistenza. E poi non erano sposati, una situazione alquanto disdicevole per lei, che  aspirava a diventare una cameriera con buone referenze. Ma non è detto che la ragazza fosse cinica come tutti i domestici dell’epoca, e non è escluso che invece volesse bene ai suoi datori di lavoro, con i quali del resto conviveva ormai da parecchi anni.

Col cuore in gola corse verso la casa della vicina, la buona signora Kell, per chiedere aiuto. I minuti passavano e Gertrude non sapeva cosa avrebbe trovato tornando al capezzale della padrona. Con la vicina salì nella stanza da letto che odorava di mandorle amare, dove trovarono la donna ormai quasi fredda.

Era morta? Se aveva preso il veleno, c’era ben poco da fare per lei. La signora Kell la mandò di fretta a chiamare il medico. E i minuti passavano.

Il vecchio dottor Shackleton (in realtà all’epoca aveva 51 anni) conosceva la suicida, così come conosceva un po’ tutti gli abitanti del quartiere Sydenham a sud di Londra, noto per ospitare il Crystal Palace, lì trasferito da Hyde Park dopo la Grande Esposizione del 1851.

Non gli ci volle molto per stabilire che la donna era morta da circa due ore, dopo aver ingerito acido prussico, cioè acido cianidrico, dal quale il pesticida poi utilizzato col nome di Zyklon B  come agente tossico nelle camere a gas di alcuni campi di sterminio nazisti, e che in pochi secondi e in minima quantità manda all’altro mondo, e non in modo idilliaco. E chissà come aveva deciso per il cianuro, invece dell’arsenico che conosceva bene, almeno virtualmente, visto che aveva tradotto dal francese per il pubblico britannico Madame Bovary. O forse, lo considerava poco affidabile, visto che il padre, anni prima lo aveva utilizzato, su consiglio di Engels,  per curare le crisi  acute di mal di fegato con conseguenti ascessi purulenti, poi da lui marzialmente aggrediti e temporaneamente sconfitti a colpi di rasoio (rasoio ricevuto in eredità da un suo compagno di lotte). Può anche darsi che, per un assurdo sentimentalismo familiare, l’avesse scelto perché aveva a che fare con la Prussia. Del resto, anche sua sorella e suo cognato, parecchi anni più tardi, decideranno di fare la stessa identica fine.

Come la sua eroina, comunque, aveva deciso di togliersi la vita, benché nessuno nel suo caso avrebbe potuto decretare una diagnosi di bovarismo. Se c’era una donna in tutta Londra più lontana dalle illusioni nevrotiche e dai sogni estranianti di Emma, quella sembrava lei. Sembrava.

I minuti e le ore successive alla venuta del medico che stila una diagnosi di morte, sono sempre gli stessi: arrivo degli amici stravolti, donne piangenti, poliziotti costretti loro malgrado allo spiacevole compito di stilare un verbale, via vai di becchini, gli unici felici di poter fare un affare.

Se poi il morto è persona nota, è probabile che anche all’epoca, almeno in Inghilterra patria del giornalismo di cronaca,  i cronisti non rinunciassero a porre sotto assedio amici, vicini e poliziotti, per tornare in fretta in redazione con lo scoop della giornata e una serie di testimonianze più o meno attendibili.

E la notizia era abbastanza succulenta: Eleanor, detta Tussy, la figlia minore di Karl Marx, filosofo tedesco, si era uccisa col veleno nella sua casa di Jew’s Walk a Sydenham, Londra, all’età di 43 anni. Era il 31 marzo 1898.

Era o non era un suicidio? Chi aveva richiesto il veleno e firmato il libro del farmacista? Chi era a casa con Tussy quando lei aveva bevuto l’acido prussico? La morta aveva effettivamente seri motivi per farla finita o qualcuno l’aveva indotta al gesto estremo?

Tutte questi interrogativi ruotavano intorno ad una precisa persona: Edward Aveling, l’uomo con il quale Tussy conviveva ormai da una quindicina d’anni e che quella mattina era uscito da casa, malgrado fosse gravemente malato e quasi non si reggesse in piedi, poco prima che Gertrude rientrasse dopo la sua seconda commissione dal farmacista.

La reputazione di quest’uomo non era delle migliori e anche sfrondata dai pettegolezzi e dai giudizi molto soggettivi di chi poteva avercela con lui per un motivo o per un altro, restava nell’ambiente frequentato dai due, il dubbio che se anche materialmente Aveling non avesse costretto Tussy ad avvelenarsi, lui era comunque il responsabile morale di quella scelta disperata.