Spazio per dedica, la musica di Giorgio Penotti

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1© Danilo Arona 2020

 

 

Conosco il Penotti, Giorgio, da quel bel dì, il che sta a dire che non mi ricordo proprio da quando. Posso però affermare che la nostra amicizia è nata e si è pian piano consolidata (in puro stile mandrogno, con i suoi tempi) in un certo periodo storico di tanto tempo fa, quando la musica locale funzionava da collante tra le persone e da solido pretesto per eventi collettivi. Anni ’80, giù di lì, temo di non sbagliare.

Esistevano luoghi (i cortili, la SOMS di Valle, baracche sul Po) ed esistevano musicisti che mettevano in piedi, in quattro e quattr’otto -giusto il tempo per qualche telefonata e il tam di Radio Carcere – session tra amici, gruppi improvvisati progettati per lo spazio di una sera, robe quasi clandestine. Ovvio che le session erano aperte per definizione a chiunque volesse partecipare. Ecco, Giorgio non mancava mai. Tra l’altro, come i pistoleri dei western all’italiana, arrivava certo per tempo, però mai fra i primi. Di sicuro non era intenzionale, ma il popolo presente assisteva quasi come in un rito al suo ingresso sempre un po’ ieratico.

Giorgio è un sassofonista, sax tenore. Cioè, quando arriva, è armato. Le custodie degli strumenti, soprattutto quelli a fiato, appaiono come un prolungamento del tuo essere nella società. Sono la prova che sei un professionista. A volte per la forma serve più la custodia che non lo strumento.

Ci siamo incrociati non so quante volte io e il Penotti. Ma una ventina d’anni fa, più o meno, ecco una sorta di svolta che ha, ancora oggi, il suo peso. Una nostra carissima e comune amica, Lucia, se ne va per il solito morbo impronunciabile che sempre miete vittime precoci (e negli ultimi anni sempre di più alla faccia degli slogan ottimisti) e a qualcuno, non so chi, viene in mente che al funerale serve musica live. Sì, perché non saranno onoranze religiose, ma civili e “di sinistra”, come Lucia ha forse prospettato nelle sue ultime ore di vita. E Giorgio propone a me di fargli da spalla, duo strumentale con sax e chitarra acustica. Senza impianto perché suoneremo all’aperto al cimitero di Casalbagliano. A me sta ovviamente bene. A questi ingaggi non si dice di no per principio. E Lucia era proprio un’adorabile persona.

Suoneremo tre canzoni. Militanti, anche se quella di mezzo lo è a suo modo: Bella Ciao, Imagine e Hasta Siempre. In un cimitero davanti alla fossa vuota prima che venga calata la bara. Penotti solista e io accompagno con la chitarra. Beh, che faccia fate? Non siamo mica a New Orleans…

Facciamo le prove un paio d’ore prima del funerale. Niente di che, si tratta solo di mettersi d’accordo sulle tonalità. Quindi raggiungiamo il cimitero un po’ prima che arrivi il feretro. Tiriamo fuori gli strumenti dalle custodie e attendiamo. È un pomeriggio di sole, non ricordo più la stagione. Arrivano le macchine e tutto andrà come da copione. Molta commozione, laica e militante, e da parte mia un imbarazzo che non pensavo di provare. In ogni caso è un’esperienza. Che, in modalità silenziosa e non dichiarata (mandrogna), avvicina il Penotti e me sul piano esistenziale. Mentre torniamo in Alessandria, per forza un po’ incupiti, dico tra me e me che un giorno sarebbe bello calcare un vero palco, e non dentro una fila di lapidi, con Giorgio.

Beh, meglio tardi che mai, ma il giorno è finalmente giunto. Da qualche mese stiamo insieme con altri 6 desperados in una Tribute Band dedicata a Tina Turner, I’m Tina. Va da sé che non suoniamo tutte le settimane visto che numericamente siamo un esercito. Ma, quando capita, garantisco che le voci di Irina e Simona e gli interventi di Giorgio sono le punte di eccellenza di questo divertente gruppone. E, tra una prova e l’altra, arriva sulla mailing list della band l’invito di Giorgio a presenziare del suo CD Spazio per dedica, che avverrà una sera di novembre in una bella sala di via Trotti. Un paio di mesi fa.

Bene, si preannuncia una serata fantastica. Dopo un’abbuffata di farinata, ci presentiamo sul luogo del concerto, già zeppo di gente, e mi piazzo in prima fila. Il palco non esiste, ma scorgo una chitarra, un microfono e un piccolo impianto voce: essenziale e funzionale minimalismo, okay, ma dov’è il sax? Già, perché io, che sto sempre un po’ tra le nuvole e ho troppe cose cui pensare, ho percepito, sbagliando, che Giorgio andrà a presentare un album di strumentali. Mai stato più fuori strada. Giorgio sta per iniziare il suo live personale, chitarra a tracolla, voce e canzoni da lui composte. «Una così così vecchia e démodé fa risultare quasi nuova», per citare una sua frase catturata fra le scarne note della copertina del disco.

La musica inizia. E l’amico Danilo, che pretende di fare il recensore,  adesso fa il possibile per rendervi partecipi.

Si parte con Aspettami, canzone di viaggio, rivolta a una “lei” chissà se amore per lo spazio di una notte o altro; in ogni caso ci troviamo a Roma Termini, e gli accordi sono solari, degna intro.

Quindi Il Martini, in cui il protagonista si rivolge a un barman, una ballad ambientata in un bar deserto. Sostanzialmente la storia di una ciucca, giocata su una scala in minore, un po’ Paolo Conte – ma questi riferimenti ad artisti hanno senso solo per me, perché i pezzi di Giorgio non assomigliano a nessun altro anche se per la successiva Dicono di me ci potrebbe stare una reminiscenza, vaga, di Pino Daniele: trattasi della condivisibile lamentela di un vecchio artista alla ricerca della pastiglia della felicità, ma, si sa,  per tutti corre il tempo. Anche per i parolai.

In Canzone balzana, garbata protesta contro l’attuale musica moderna, si apre con divertenti e strani versi vocali. Poi arrivano pezzi, per capirci, divertenti, di quelli strutturati su scale mai banali e quasi rock (Diva, Dall’altra parte della strada, È notte – e in quest’ultima emerge con prepotenza tenerezza la “solitudine” notturna del musicista). Si chiude in modo inaspettato con una ninna nanna dedicata a tal Giacomino, La suora nel convento, che svela un aspetto inedito e dolcissimo del nostro amico.

Beh, queste le otto canzoni del concerto e del CD. Ma siamo stati lì seduti più di un’ora e mezza. E allora? La ragione è che Giorgio è un clamoroso intrattenitore e garantisco che tra un pezzo e l’altro i suoi buffi e spassosi monologhi – per la serie “chi l’avrebbe mai detto?”- hanno veramente colpito nel segno, quello della risata, alla stregua delle canzoni.

E alla fine, perché anche le cose belle finiscono, accatto il CD e nello “spazio per dedica” (che esiste) Giorgio mi scrive: A Danilo, sempre insieme sul palco.

Certo, Penotti, contaci!