Billie Jean King ha battuto anche Borg e McEnroe [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

 

 

“Il momento di maggiore notorietà non le venne dalle splendide vittorie a Wimbledon, ma da una colossale pagliacciata messa su con l’aiuto di Bobby Riggs, il campione del mondo 1939, uno dei più dritti scommettitori che si conoscano.
A 55 anni suonati, Riggs lavorò come un castoro per costruirsi la parte del “maschio sciovinista”, attrasse sul campo la povera Margaret Court, che, tutta casa e chiesa, di femminismo non ne aveva mai voluto sapere.
La dileggiò, la batté, e, subito, lanciò la sfida a Billie Jean, che non aspettava di meglio.

L’incontro tra la suffragetta e il vecchio maschietto imbolsito si svolse all’astronome di Houston, di fronte a quarantamila uomini massa, felicemente rimbambiti dai clamori pubblicitari.
Billie giocò bene come sempre, terminò il match con il suo abituale, irresistibile entusiasmo, si impossessò di un microfono e non lo mollò finché… no, non pensò nessuno a colpirla, non ci fu nessun maschio sciovinista in agguato con un fucile di precisione a cannocchiale. Farei torto ora a questa bravissima tennista se non sottolineassi certi suoi meriti, non soltanto tecnici.

Billie Jean è arrivata a rappresentare il suo personaggio non soltanto per ragioni di utilitarismo scenico. Gli stimoli contro l’establishment son sempre stati autentici, sin dal tempo del sodalizio con la compagna di doppio Rosie Casals, delle lezioni gratuite offerte ai bambini dei ghetti, insieme al marito Larry King, un avvocato conosciuto ai tempi dell’università.”

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Così racconta ‘La battaglia dei sessi’, pochi mesi dopo lo svolgimento del 1973, il più grande scrittore del tennis italiano, l’estroso Gianni Clerici nel suo “seminale” ‘500 anni di tennis’ che chi scrive ha la fortuna di possedere nella prima edizione del settembre 1974. In poche righe spiega esattamente come andò.
Una pagliacciata. Uno dei più dritti scommettitori. La suffragetta. Rimbambiti dai clamori pubblicitari.

Eppure su una pagliacciata hanno fatto un ottimo film, intitolato appunto ‘La battaglia dei sessi’ che racconta molto bene il contesto di quella partita, che Billie Jean King volle fortissimamente vincere, nella sua battaglia (questa molto seria invece) per i diritti e per la parità. Un film che credo possa piacere a prescindere dalla passione per il tennis, o dall’interesse per quell’incontro, che invece sono fondamentali per apprezzare il meno riuscito (a mio parere) contemporaneo ‘Borg McEnroe’, peraltro di maggior successo al botteghino, come si dice.

Oltretutto con una prova d’attori molto superiore, perché né lo svedese Gudnason, pur strabiliante per la verosimiglianza del suo Borg, né il pittoresco Shia LaBeouf, che non riesce a non essere LaBeouf che fa McEnroe sembrando LaBeouf, arrivano a sfiorare la stupefacente bravura di Emma Stone nel rendere indimenticabile il personaggio della campionessa degli anni settanta; e anche il cast di contorno non è da meno, primi Steve Carell nel ritrarre il buffonesco Riggs e Andrea Riseborough che dà vita a una tenerissima Marilyn, la storia d’amore della King durante gli anni settanta.

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Billie Jean King, oltre che una delle più forti tenniste (e “un manager di quelli duri” come scrive Clerici) è stata quella che ha cambiato il destino delle giocatrici venute dopo di lei, insieme all’ex giocatrice e poi organizzatrice Gladys Heldman (“è colta, è ebrea, dirige un mensile di tennis e, infine, è la moglie di un manager della Shell” la ritrae di nuovo Clerici).

Di certo senza la sua feroce battaglia per essere pagate allo stesso modo dei maschi, non ci sarebbero stati i grandi guadagli odierni delle varie Williams eccetera.
E senza il suo coming out anche la vita della più grande di tutte, perché per me Martina resta la più grande di tutte, sarebbe stata meno compiuta, probabilmente (e probabilmente avrebbe anche vinto di meno).

In realtà ne dovette fare due di coming out la King, entrambi tra l’altro in qualche modo forzati: il primo nel 1972 quando suo marito rivelò un aborto (si dice avvenuto senza che lui lo sapesse) del 1971, e fece molto discutere la dura affermazione della campionessa che i figli non si conciliavano con la carriera. In realtà una mamma nel circuito c’era, proprio la timorata Margaret Court-Smith, con cui la King ancora adesso è in violento contrasto per le posizioni dell’australiana, spietatamente omofoba.

Il secondo nel 1981 quando Marilyn, lasciata un paio di anni prima, le intentò una causa per avere parte del suo patrimonio, e lei dovette ammettere la relazione prima che la ex divulgasse le lettere d’amore che Billie Jean le scriveva.

La King dovette fare coming out prima di tutto con i genitori, religiosi, tradizionalisti, che invece seppero stare al suo fianco così come il marito. Poi in una famosissima conferenza stampa (e ancora al suo fianco come sempre mister King) che le costò il ritiro di tutti gli sponsor, la fine di fatto della carriera (aveva 37 anni) ma la stima di tutti quelli che seppero capire e di certo, l’immortalità anche oltre il comunque eccezionale palmares: sei Wimbledon, più due finali perse e un paio di semifinali raggiunte all’inizio degli anni Ottanta, contro bambine terribili (Tracy Austin, Andrea Jaeger) che potevano essere sue figlie. Gli altri tre tornei dello Slam (lo US Open quattro volte). Dieci Wimbledon in doppio, cinque con Mini Rosie Casals, l’ultimo proprio con Martina, e per non farsi mancare niente anche tutti gli Slam in misto.

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Povera, i suoi genitori salvadoregni non riuscirono a crescere lei e la sorella che vennero lasciate ai pro-zii, alta poco più di un metro e cinquanta, ribelle, Rosie Casals, capace di presentarsi sul Sacro Centrale di Wimbledon con un abito che riproduceva lo stemma del circuito femminile (l’austero giudice arbitro inflessibile la fece cambiare), grande doppista, è stata sempre al fianco di Billie Jean King, sul campo e nella battaglia per i diritti delle donne.

Bobby Riggs scommetteva su tutto. Sempre. Vinse un bel po’ di soldi puntando sullo sbaragliare Wimbledon nel 1939 (suoi singolo, doppio e misto) ma dovette lasciarli in Inghilterra per lo scoppio della guerra. Giocava per scommessa, come mostrato nel film, tenendo animali al guinzaglio, una volta anche un cucciolo di leone, o con una padella. Batté a golf Bing Crosby usando un rastrello una zappa e una mazza da baseball. Come tutti gli scommettitori, riuscì sempre a perdere più di quanto guadagnava. Ciò detto, fu anche un ottimo tennista, che giocava alla pari dei migliori del suo tempo, e che avrebbe vinto di più non ci fosse stata di mezzo la guerra. Anche se quel Wimbledon del 1939 fu segnato dall’assenza del grandissimo barone von Cramm, il perfetto ariano che schifava Hitler, e che il Fuhrer fece incarcerare per la sua omosessualità (e gli ipocriti organizzatori del torneo inglese facendosi forza su questo anno di carcere lo esclusero), che lo aveva appena battuto, anzi stracciato lasciandogli un misero game, al Queen’s.

Quando Riggs si ammalò negli anni Novanta, gli stette vicino proprio Billie Jean King. Tra due persone così diverse era nato un rapporto molto affettuoso, infatti quando la campionessa chiamò Bobby il giorno prima che morisse, si dice lo salutò con “I love you”.

Invece il destino di Marilyn Barnett non è stato altrettanto fortunato. Durante la causa con la King si buttò giù da un balcone proprio di quella casa di Malibu che reclamava dalla ex compagna. Rimase paralizzata dalla vita in giù, sparì del tutto dalla vita della donna con cui aveva avuto questa grande storia d’amore. E la ragazza vivace, gioiosa, capace di stare nel cuore (e a fianco) della tennista morì a nemmeno cinquant’anni.