Morire inermi e inconsapevoli sulla strada dell’Eden

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
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Ormai lo abbiamo visto capitare dappertutto e da molto tempo. La bambina dilaniata dal napalm nel Vietnam; il bambino colpito a morte da un cecchino a Serajevo; il piccolo siriano reclinato a faccia in giù sulla spiaggetta dell’Egeo. Per quanto tempo ancora dovremo sopportare tutto questo, per quanto tempo ancora dovremo rassegnarci alla triste contabilità dei morti? Dove c’è sempre posto per altri bambini. Sempre e sempre più vicini a noi.

Abbiamo cominciato dall’Estremo Oriente, poi la mattanza è continuata nell’Africa Nera, è proseguita nel Corno d’Africa, ha esteso i suoi tentacoli all’Africa Subsahariana e ora è arrivata sulle coste del Nord Africa, in un’interminabile scia di sangue e di terrore, all’inseguimento dell’Eden dell’Europa.

Dobbiamo compiangere tutti i migranti e piangere per tutte le vittime, Bimbo annegatoma ciò che ci strazia di più sono i bambini perché inermi e inconsapevoli. Cosa potete dire a un bambino di 3-4-5-6 anni? Crescono in fretta i bambini profughi, abbastanza per capire la meta, ma non abbastanza per comprendere cosa succede in quell’esodo biblico e in ciò che gli gira intorno. Si affidano ai fratelli più grandi, a mamma e a papà. D’altronde, cosa potrebbero fare altrimenti?

Persino noi, che siamo molto più adulti e smaliziati di loro, facciamo fatica a raccapezzarci in questo intrico di interessi contrapposti e di mire di potere. Sulla testa di quei bambini si stanno combattendo battaglie che non hanno l’obiettivo di proteggerli, di tenerli salvi, bensì quello di mantenere la vecchia influenza, di aggiungere peso politico nelle aree allo sbando, di far parlare la diplomazia dei cannoni. Vecchi sistemi da vecchio mondo, mentre la fiumana dei migranti va in cerca di un mondo nuovo.

Abbiamo imparato dai nostri errori? Oh, sì. Abbiamo imparato ad essere più sottili, più ambigui, più sfuggenti. Non mandiamo più i nostri a morire, arriviamo dal cielo, di notte, equipaggiati con le più moderne tecnologie. Una guerra impersonale, quasi anonima, dove “danni collaterali” è definizione che non usa più. Oggi si preferisce mentire, oppure gettare la colpa su qualcun altro. D’altronde, bombardano un po’ tutti. Chi può veramente dire che sei stato tu? Soltanto uno che sta facendo le stesse cose e per questo ha la stessa tua credibilità.

Non ci sono agenzie indipendenti nel caos siriano, non ci sono caschi blu in Libia, non ci sono reporters nei territori controllati dall’Isis. E’ l’Isis a farci da tv e a mostrarci cosa capita ai “Nuovi Crociati”. Un monito terribile, che ci mette addosso un brivido anche quando ci muoviamo nelle nostre città, tra gente che conosciamo bene.

E che dovrebbero dire i bambini migranti? Loro hanno visto da vicino concretizzarsi quelli che per noi, tutt’al più, sono incubi notturni. Hanno visto cadere le bombe, hanno sentito le raffiche delle mitragliatrici, hanno avuto parenti e amici dilaniati, la casa distrutta, l’angoscia del notte dopo notte, della marcia verso l’ignoto, incontro a un futuro migliore però tutto da reinventare.

Poi sono arrivati qui, dopo ore di sballottamenti in mare su improbabili carrette o gommoni stipati all’inverosimile, e al posto dell’Eden, della Terra Promessa, hanno trovato ancora marce, ancora stenti, tra confini presidiati da gente in armi, muri di filo spinato, trasbordi da carro bestiame, poliziotti con lo spray urticante, i caschi a visiera, gli scudi e gli sfollagente.

Questa sarebbe la civiltà europea? Questa sarebbe l’espressione della koinè greca, della civitas romana, della fraternitè francese, della magna charta in Inghilterra? Povera Europa! Datti una mossa, altrimenti hai finito di dire qualcosa al mondo e il mondo non avrà più niente da chiedere a te.