Noi liberi professionisti, lavoratori di serie C

La nostra società e di conseguenza il mondo del lavoro sono profondamente mutati, richiedono, infatti, una rivisitazione da parte del CentroSinistra Italiano del concetto di “Giustizia Sociale”, che sia consono e rispondente riguardo ai problemi reali dei lavoratori del XXI° secolo.

Tale rivisitazione del concetto implica innanzitutto un approccio più inclusivo e meno corporativo che comprenda anche l’universo dei lavoratori che svolgono lavori non subordinati quali, artigiani, artisti, liberi professionisti, ecc…
Ci sono tante ipocrisie, cioè argomenti psicologicamente persuasivi ma falsi e addirittura pericolosi, che si aggirano attorno alla tipologia di lavoratori a cui appartengo che è quella dei Liberi Professionisti.

La prima grande ipocrisia è quella di mettere nello stesso insieme i Liberi Professionisti e le intere generazioni di Lavoratori Precari, costretti ormai a una perpetua incertezza, non connessa a una loro libera scelta o alla natura autonoma del proprio lavoro; e troppo spesso strumentalizzati in modo irresponsabile dai politici, che hanno contribuito a scrivere una pagina
nera della storia del lavoro in Italia consolidata nell’ultimo decennio, in cui i Lavoratori Precari sono stati assunti con svariate tipologie contrattuali per svolgere funzioni di ordinaria amministrazione presso gli Enti pubblici, premesso che tali funzioni dovrebbero essere competenza solo dei funzionari di ruolo.

La distinzione tra queste due categorie è sostanziale in quanto connessa a diverse tipologie di percorsi professionali, in cui noi Liberi Professionisti innanzitutto ci caratterizziamo per rivolgerci al mercato lavorando per più committenti, su progetti o servizi che hanno una tempistica precisa finalizzata al conseguimento di uno o più risultati concreti vincolati anche all’effettiva erogazione del compenso.

Il compenso, in alcuni casi come il mio, è determinato da unità di costo standard o massimali emanati dalle Regioni, dai Fondi Finanziatori, dalla Commissione Europea per ogni paese membro e le spese, appunto, vanno poi monitorate, certificate e rendicontate e approvate dai soggetti erogatori dei finanziamenti; altri Professionisti iscritti agli Albi Professionali hanno dei tariffari validi a livello nazionale; in questi due casi citati ci vuole l’impegno comune per fare
rispettare dai committenti i tariffari vigenti. Ma, una delle più grandi criticità, nella vasta galassia dei Lavoratori autonomi, è ancora quella di coloro che, non rientrando negli schemi descritti prima, rimangono abbandonati a loro stessi in un libero mercato in cui i rapporti di forza sono asimmetrici e vengono costretti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro pur di lavorare.

La seconda grande ipocrisia è quella di assimilare il lavoro autonomo all’attività imprenditoriale, quest’ultima segue logiche di capitale, produzione e lavoro che sono molto diverse di quelle dei lavori autonomi. Ma visto che il sistema fiscale Italiano ci continua a stratassare portandoci sino al collasso, credo a questo punto, che forse torni comodo non cogliere le nostre istanze che sono le richieste di un significativo pezzo del Paese.

Pensate che, addirittura, anche se ci assumiamo i rischi senza capitale societario, ci esigono acconti per le tasse su un fatturato presunto che si basa sui rediti precedenti e del tutto aleatori, di cui la stragrande maggioranza di noi non ha nessuna certezza di mantenere nel futuro.
Un’altra grandissima ingiustizia nei nostri confronti, collaudata negli ultimi anni, connessa agli aspetti finanziari, è quella dell’assenza di vincoli per i committenti riguardo ai tempi di pagamento e la carenza anche di procedure agili ed efficaci per il ricupero crediti: si tratta di una
criticità che noi in quanto non “capitalisti” ma “lavoratori” non possiamo più reggere.

E infine, ma non per ultimo, la mancanza clamorosa dei diritti fondamentali connessi alla copertura dei periodi di malattia e dei periodi di disoccupazione ci mette nell’effettiva condizione di lavoratori di serie “C” pur sostenendo in modo sostanziale, con i nostri contributi, il Welfare Italiano dal quale siamo lasciati ai margini.
Non dobbiamo più permettere che facciano finta di non vederci, non dobbiamo più isolarci nelle nostre individualità, dobbiamo fare sistema e alzare coralmente le nostre voci; è ora che si prenda atto della reale configurazione socio-economica dell’Italia complessiva anche dei Liberi Professionisti con la consapevolezza che si tratta di una realtà ormai destinata a crescere con un
trend positivo sia in Italia che in Europa e che includerà, quindi, future generazioni di lavoratori.

Le nostre istanze rappresentano la voce di una parte significativa dei lavoratori Italiani che ovviamente, in quanto operatori del c.d. terzo settore, siamo stati duramente colpiti dalla crisi economica – finanziaria frutto di un ventennio di mancanza di risposte adeguate ed efficaci.

Gloria Zenari – Alessandria