I battitori della fisica [Il Superstite 500]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1

di Danilo Arona

Nel mitico Disiunari du dialet lisandren, il mai troppo compianto Antonio Silvani, alla voce bati la fisica (letteralmente “battere la fisica”), ci offre ben tre significati: compiere prodigi sovrannaturali, praticare le arti magiche e attaccare il malocchio. Da qui alcune riflessioni sul tema.

La “fisica” – è risaputo – è per definizione una branchia della scienza. Nel folclore piemontese la “fisica” sembra divenire per estensione il mondo stregonesco. Ma l’estrema elasticità della frase – una ambigua elasticità, è il caso di sottolinearlo – ne fa quasi una sorta di rompicapo linguistico che getta ombre e luci, tutte da percorrere, su una zona borderline tra scienza, cronaca e folclore.

In Storia degli alessandrini di Fausto Bima leggiamo infatti che in una casa nel pieno centro città, alle spalle dell’Istituto Magistrale Saluzzo, si “batteva nottetempo la fisica”, intendendo con questo la pratica della seduta spiritica classicamente effettuata con il tavolino a tre gambe. Il rumore della seduta, così inteso nelle ore notturne dagli abitanti dell’appartamento confinante, veniva decodificato come un “battito” più o meno regolare. Basterebbe questo per giustificare la frase? Ma non è il caso di sottilizzare: ancora oggi distratti giornalisti spesso usano frasi inappropriate, confondendo magia e spiritismo. Più d’una volta ho letto nel corso degli anni la frase: in quella casa si facevano “sedute di magia nera”, trasformando così un epifenomeno – che a seconda di chi lo pratica, varia dal gioco di salotto alla sperimentazione parascientifica –  in qualcosa di diverso, appartenente addirittura a un’altra sfera culturale.

Il Bima però offre anche altri spunti interessanti. Nella casa in questione, i “battiti” – evidentemente un poltergeist o una fenomenologia d’infestazione – continuarono anche dopo che quegli inquilini traslocarono. Continuarono addirittura a farsi udire a casa vuota. E l’autore scrive appunto che “in quella casa si continuò a battere la fisica, anche dopo la partenza degli inquilini”. Senza porsi troppi problemi su chi la battesse, “la fisica”… Il riferimento implicito – anche se non espresso, quasi autocensurato perché forse troppo grezzo e in odore di superstizione dato il periodo (siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale) – è ovvio: gli “spiriti”, di sicuro evocati ma non congedati, continuavano a farsi sentire. Loro stessi in prima persona “battevano la fisica”.

Ed eccoci a un ulteriore – quarto? – significato. Battere la fisica come sinonimo di pratica spiritica e d’infestazione fantasmatica.

I due termini chiamati in causa diventano, nell’applicazione del linguaggio parlato, i poli di una splendida e quasi inestricabile ambiguità. Andiamo a verificare la definizione del Palazzi, laddove si fa riferimento all’origine greca del termine “concernente la natura e i suoi fenomeni”. Il Palazzi la definisce come la scienza che studia le proprietà dei corpi e le leggi dei fenomeni che modificano  il loro stato e il loro movimento. Parrebbe quindi, a prima vista, che nel folclore il recupero sia pressoché corretto, almeno nel riferimento generale. È sul termine “battere” che le direzioni dimostrano il potere di variare a seconda delle circostanze di riferimento: perché la pratica delle arti magiche è anche “piegare la natura al proprio volere per provocare fenomeni non naturali”. Quindi “battere” nel senso di sconfiggere, ma “battere” anche nel senso di “percorrere”, “frequentare”, addirittura “frequentare da conoscitori”. Estremizzando, “battere la fisica” per deformarla o trasformarla in qualcosa d’altro.

Battere, inoltre, nel senso di picchiare. Nel caso di specie, picchiare la terra con il bastone del comando. La terra, che è il primario simbolismo della “fisica”.

Il “bastone” del comando, grossa bacchetta magica che è un segno di potere nel mondo della “fisica” piemontese (a Pragelato, per fare un solo esempio. le streghe prima di morire gettavano il bastone tra le vie, mentre nel Biellese, si credeva che la masca non potesse morire se qualcuno non collaborava con lei. Le masche sul punto di andarsene all’altro mondo, chissà quale, lasciavano un loro oggetto: chi il gomitolo, chi il mestolo, chi la scopa, chi il libro del comando, chi il bastone; ogni oggetto aveva la proprietà di trasformare in strega chi ne entrava in possesso).

Sul tema dell’eredità stregonesca, va ricordato che spesso era un prete a raccoglierla e sino a qualche decennio fa – garantisco da  certi vividi ricordi della mia infanzia – nelle campagne si sentiva qualche dire che certi preti battevano la fisica.

Il bastone – o grossa bacchetta magica – rappresentava lo scettro del comando, ovvero secondo gli alchimisti il “coagulo”, lo strumento che attira  (dalla terra, dal cielo dall’aria) o amplifica le influenze di pertinenza (benefiche o di segno diverso) e le ritrasmette sotto forma di pua energia vitalizzata. Il bastone tocca, “traccia”, batte. Una sua variante che si ricollega a uno dei tanti significati di “battere la fisica” è la bacchetta rabdomantica, generalmente in legno di nocciolo, in grado di amplificare le onde magnetiche le cui reazioni indirizzano il radiestesista.

Da citare anche la bacchetta di Hartmann (che ovviamente non c’entra più nulla con il folclore stregonesco) che viene utilizzata per captare presunti nodi geografici negativi al fine di evitare di soggiornare e dormire in corrispondenza di essi in quanto nocivi per la salute e l’equilibrio psicofisico: la mimica professionale è comunque sempre quella del “percuotere la terra”.

Dall’interno del mondo, mai del tutto finito, dei “praticanti”, la “fisica” è l’energia prodotta  della Masca per ammaliare – ammascare – qualcuno o per fare magie

Se Massimo Centini ci ricorda che la Masca, quando “opera”, “fa la fisica” (ma nella fisica ci stanno pure le visioni, i fantasmi, i morti che ritornano, inquietanti segni premonitori e segnali di morte…), Donato Bosca  ne Il Libro del Comando scrive che “la fisica in verità non ha niente a che fare coi libri (del Comando?) e appartiene a ciascuno di noi, se riusciamo a trovare la strada per esplorare e conoscere il nostro mondo interiore. “Qualcuno, nelle campagne, se n’era servito in modo stupido facendo apparire davanti agli occhi dei più creduloni cose che in realtà non sussistono, fuochi che bruciano senza consumare legna, ruscelli, burroni, strade e sentieri che poi svaniscono nel nulla, cavalli bianchi che sbarrano la strada, galli che si mettono a volare alto come se fossero aquile. Secondo mia nonna, però, il vero miracolo consiste nell’usare la “fisica” per vivere in pace con se stessi e con il prossimo, cercando l’armonia, la serenità e la magia del distacco dalle passioni.”

Un mondo affascinante e arcaico, appena occultato dall’illusione del reale, e sul quale torneremo presto e più volte.