Il Comitato Stop Solvay replica al Direttore dello stabilimento di Spinetta: “Dimostrate concretamente la volontà di tutelare la salute delle persone e del territorio!”

Abbiamo letto attentamente la lettera aperta del Sig. Diotto, direttore dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.

A differenza di Diotto, la stragrande maggioranza dei partecipanti al Comitato Stop Solvay sono spinettesi, nati e cresciuti a Spinetta Marengo, con figli o genitori che vi abitano. Proprio per questo, ci interessa molto sapere cosa ha da dire l’azienda responsabile di avvelenamento, inquinamento e malattie nel nostro territorio.

Alla luce di fatti, dati scientifici e precedenti comunicazioni di Solvay, la lettera – che in prima battuta potrebbe apparire quasi commovente – non può che risultare ipocrita e stucchevole.

Diotto è la stessa persona che davanti ai dati degli studi epidemiologici di Arpa e ASL AL ha insinuato che il netto aumento di certe patologie e tumori nei pressi del polo Solvay potesse essere causato dagli stili di vita degli spinettesi.

Solvay è la stessa azienda che ha minimizzato il ritrovamento del velenoso e tossico cC6O4 nel pozzo che riforniva l’acquedotto di Montecastello – con conseguente chiusura dello stesso – e che non ha intrapreso alcuna azione di salvaguardia o controllo.

Solvay e Diotto sono gli stessi che nella Conferenza dei Servizi convocata per discutere dell’ampliamento della produzione di cC6O4, hanno presentato un documento contenente ben 56 omissis.

L’attenzione all’ambiente che Diotto e Solvay predicano nella lettera, scompare quando arriva il momento di assumersi le proprie responsabilità e l’azienda continua a fare ciò che ha sempre fatto: girarsi dall’altra parte e continuare a mostrare insensibilità e disprezzo per il territorio su cui si trova.

Nella lettera di Diotto, non manca il consueto ricatto “Perché tutti vogliono che ce ne andiamo?”, scrive citando un fantomatico lavoratore, a ricordare quanto già esplicitato in un recente comunicato: l’ampliamento della produzione di cC6O4 è “necessaria per la continuità industriale del sito”.

Ma noi del Comitato Stop Solvay diciamo semplicemente che dallo stabilimento non deve fuoriuscire nemmeno un atomo di sostanze inquinante e che fino a quel momento si debba sospendere la produzione e l’utilizzo delle sostanze ritrovate nel nostro territorio (come nel caso del cC6O4).
La retorica di Diotto dimostra semplicemente quello che noi pensiamo da tempo: Solvay non riesce a garantire la sicurezza del proprio stabilimento e i suoi lauti profitti derivano anche da questa situazione opaca e insicura, che vogliono mantenere a tutti i costi. Un atteggiamento lontano dalla facciata empatica che la lettera sembra voler ottenere.

A corollario di tutto ciò Diotto vanta il fatto che Solvay abbia abbandonato i PFAS che lui definisce “cattivi”, sostituendoli con altri prodotti. Solvay ha semplicemente utilizzato prodotti come il PFOA finché ha potuto, ovvero finché non sono stati messi fuori legge per gli enormi danni all’ambiente, per le malattie e le morti che hanno provocato. Diotto vorrebbe affibbiare l’etichetta di “PFAS buoni” agli altri prodotti che Solvay produce o utilizza, come il cC6o4 o l’ADV 7800.
Abbiamo già approfondito la pericolosità di entrambe le sostanze e ricordiamo che il cC6O4 semplicemente è ancora oggetto di una grave lacuna legislativa, come il PFOA prima di essere bandito.

Definire i PFAS “cattivi” è fuorviante. 
I PFAS sono sostanze tossiche e velenose, cause di malattie e inquinamento e non devono in alcun modo essere presenti nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nel cibo che mangiamo.
Di “cattivo” c’è, quindi, la produzione e la gestione che ne fanno le industrie.
Se, per esempio, questi veleni vengono dispersi nell’ambiente durante la produzione e ritrovati nei pozzi che riforniscono di acqua i paesi del nostro territorio, allora, ad essere “cattiva” e pericolosa è la gestione dell’azienda utilizzatrice.
I PFAS sono veleni e Solvay ne ha fatto e ne sta facendo un uso cattivo, irresponsabile e pericoloso, a grave discapito degli abitanti e del territorio. E non è con una lettera aperta che si distorce questa realtà.

Solvay sta cercando di riabilitare la propria immagine provando a far dimenticare le proprie responsabilità e i precedenti atteggiamenti rancorosi e arroganti, ma c’è qualcosa che non torna nella nuova strategia comunicativa: i fatti.

Se davvero per Solvay (finalmente) i profitti non contano più della tutela ambientale e della salute delle persone, ha tutto il potere per dimostrarlo: sospenda immediatamente la produzione del cC6O4 e ADV 7800, capisca e dica pubblicamente da dove deriva la fuoriuscita di cC6O4 che ha avvelenato il pozzo dell’acquedotto di Montecastello, tolga gli omissis dal documento della Conferenza dei Servizi, accetti di aspettare i risultati di uno screening sulla popolazione coinvolta e soprattutto adotti tecnologie tali da non far fuoriuscire dallo stabilimento neanche un atomo di sostanze nocive e da garantire la totale sicurezza per i lavoratori prima di riprendere la produzione.

Se non sarà così, le parole di Diotto saranno solo l’ennesimo esempio di retorica spicciola e ipocrita. Un’operazione “Empatia” malriuscita.

Noi del Comitato Stop Solvay chiediamo e continueremo a chiedere ciò che rappresenta il minimo per capire la gravità della situazione attuale a causa del Polo chimico e per tutelare la salute pubblica:

  • sospensione della produzione del cC6o4, ADV 7800 ed ogni altra sostanza nociva che rischia di fuoriuscire dallo stabilimento;
  • analisi approfondita della situazione dei pozzi e degli acquedotti;
  • screening medico per la popolazione coinvolta;
  • pubblicazione dei risultati delle analisi ematologiche che sistematicamente conduce sui lavoratori del Polo Chimico.

Comitato Stop Solvay