Vogliamo pensare che come allora sorridi… (Forever young): un ricordo di Paolo Monzali

Monzali 4Ciao Paolo!,

dapprincipio il vuoto, alcune ore per rendermi conto di ciò che era successo, quindi il dolore, acuto e lancinante, l’impossibile accettazione, il riunirsi con i nostri affetti più cari, poi l’incommensurabile disappunto, dovuto alle maldicenze sul tuo conto: il nostro Paolo. Il nostro “Capitano”.
E mi chiedevo… “Chi sono costoro?”.

Ma poi, reminiscente, mi sono reso conto che già fece dire di loro, da Virgilio, il “Sommo Poeta”, nell’antinferno, come meglio non avrebbe potuto fare alcuno:

“Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.”

Attoniti e sgomenti, quindi, un vuoto incolmabile hai lasciato nei nostri cuori. Quando, in giorni simili, anche il cielo sembra caderti addosso e tutto appare più buio, perché si è spenta una fulgida luce, ti stringi ai tuoi fratelli e alle tue sorelle, che sono, anzi siamo…pochi, sempre meno.

“Voglio però ricordarti com’eri, pensare che ancora vivi,
voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi…”

cantava il Maestro, e io strappo un amaro sorriso al mio dolore, pensando,Monzali 3 visto le nostre battaglie politiche verbali, in certi periodi giornaliere (tu profondamente e dignitosamente di destra, io visceralmente comunista), come te la spasseresti considerando che ti sto dedicando i versi di un cantautore di sinistra.

Anzi, spero che, ovunque tu sia, tu sorrida al pensiero, con quella tua allegria contagiosa, e continui ad avere la stessa pace, lo stesso aplomb, la stessa classe che ti ha contraddistinto per tutta la tua, per me breve, esistenza. Non so come mai, ma oggi mi frulla in testa Guccini; forse perché pone delle domande alle quali, pensando alla tua vita, posso finalmente dare delle risposte:

“Vorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire,
spendere tutti i tuoi giorni passati se così presto hai dovuto partire,
se presto hai dovuto partire…”

Ripensando alla tua figura e al tuo esempio, perché di questo si tratta, so che a qualcosa è servito. So quello che hai lasciato nel mio, nei nostri cuori, nei cuori dei tuoi cari. So quale eredità culturale vivente e vissuta, quale lezione tu ci hai donato: Non arrendersi mai!, affrontare le difficoltà e le gioie, i periodi bui e quelli luminosi, con la stessa ferma determinazione ed allegria. Non abbattersi mai!

Monzali 1Certo non eri perfetto, ma chi lo è, io in primis. A volte mi facevi adirare, e anche di brutto, e non sempre avevo ragione, infatti l’altro giorno dicevo, come lenimento al nostro mutuo dolore, a Francesco e ad Alice: “e adesso con chi mi arrabbio?”. Perdona questo mio cercare di sdrammatizzare il triste accadimento, perchè razionalizzare non è possibile, ma ti ho davanti agli occhi da giorni, sorridente come al solito, e non riesco ad accettare che quella stella sia spenta per sempre. Nessuno di noi, fratelli, riuscirà mai ad accettarlo.

Quindi, agli omuncoli, possiamo solo testimoniare la tua vita e difendere la tua memoria, raccontando chi eri veramente.

Possiamo dire soltanto a chi, neanche fra cent’anni, potrà pensare di avvicinarsi alla tua levatura, che se sul dizionario va a cercare la parola “Signore”, fra i vari lemmi troverà un nome proprio: “PAOLO MONZALI”. E BASTA!.

E’ quello che eri; ne parlavamo ieri, io e tutti i tuoi amici di sempre: eri un Signore, nella buona e cattiva sorte, una cosa che ho sempre ammirato, profondamente.

Ti ricordi, quest’estate, quando mi portasti a casa dei miei, perché ero senza macchina, ad Acqui?

Monzali 2Ti ricordi che tu, nonostante le tue idee politiche, parlasti con mio padre, vecchio uomo di sinistra, della tua amata Bologna e della federazione del PCI, alla quale non penso tu ti sia mai avvicinato in vita tua, senza, per delicatezza, accennare al fatto che la pensavi in maniera diametralmente opposta alla sua?
Allora io chiedo: “Chi era ed è un Signore?, chi?, chi?, chi?”…

E ricordi quando parlavamo per ore di tua figlia e tuo figlio, di mia figlia e di mio figlio?
Ci accomunava un amore incondizionato per la famiglia.
Gioivamo e ci addoloravamo per piccole e grandi cose, tenendo sempre la barra dritta, il timone puntato verso i nostri affetti più cari, che si riducevano poi ad una manciata di persone, come dice mio fratello, quelle con la “A” di Amico scritta in maiuscolo e grassetto.

Mentre ti scrivo, si accavallano i ricordi, vicini e lontani.
Uno per tutti: la tua vera e semplice gioia, quest’autunno, per un piatto di “Cocone”, testimonianza della tua capacità di godere anche delle piccole cose, tu che avevi avuto la possibilità di attraccare su lidi e vedere cose ai più precluse, senza che questo mutasse minimamente la tua umiltà e il tuo rispetto per gli altri.

Un chiaro indice della grandezza d’animo… tu che non hai mai dimenticato nessuno, in nessun frangente.

Adesso mi rimane ancora poco da dirti, ma ricordati che l’oblio non potrà prevalere, perché come dice Foscolo:

“Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi
[…]
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna”…

E tu di affetti ne hai lasciati tanti, inconsolabili, e accomunati tutti nel tuo immutabile ricordo.

Ti dirò una cosa scontata, ma io, Francesco, Alice, Giorgio, Luciano, Osvi, Dany, Dino, Lore e tutti gli altri amici ti porteremo nel cuore, per sempre.

Forever young, per sempre giovane, con quel tuo aspetto da eterno ragazzino… Cavalca libero nel verde fiorito dei Campi Elisi, Capitano, o Nostro Capitano!…

E, da tutti gli amici, una raccomandazione:

“non fare troppo casino in Paradiso con Alex, e salutacelo tanto.
Ciao Paolo!, un abbraccio”.
In morte del fratello Giovanni
(Ugo Foscolo)

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

Marco