di Beppe Giuliano
– È caduto Stenmark.
– Di che classe è?
Quando sono arrivato allo scientifico, ahimè molti anni fa, raccontavano questa storiella sul preside, risalente agli metà degli anni settanta.
Un periodo, tra l’altro, in cui sport non voleva dire solo calcio (vivaddio!) anche sui giornali, alla tivù, anche nella passione dei ragazzi.
Seguitissimo era lo sci. Per la prima volta vincevamo tanto con lo squadrone costruito da Jean Vuarnet, un olimpionico diventato imprenditore di successo (creò Avoriaz e lanciò una linea di occhiali da sole che tra l’altro stanno tornando di moda), la cui vita sarà poi segnata da una tragica e oscura vicenda personale, e poi in mano a Mario Cotelli, un valtellinese brillante, astuto e simpatico.
Una squadra composta da ragazzi almeno esuberanti (basta citare Pierino Gros). Vuarnet sognava un campionissimo che li guidasse. Ed ebbe la fortuna di trovare un giovane uomo serissimo, riservato, taciturno anche perché l’italiano non era la sua prima lingua: Gustav Thöni.
Veniva da Trafoi, in Alta Val Venosta. Nella prima metà degli anni settanta vinse Coppe del Mondo, oro olimpico, titoli mondiali. Tutto, insomma. Di lui scriveva Alfredo Pigna: “Molti lo considerano un tipo piuttosto arido come uomo. Ma io lo ammiro proprio per questo suo modo di essere essenziale e serio. Io penso che il segreto della sua forza, sugli sci, stia proprio nel fatto che lui vive per lo sci e basta”.
Infatti lo imitava benissimo il comico torinese Felice Andreasi: poche frasi di pochissime parole, sempre a commentare i problemi con la “sciolina”.
Era il numero uno al mondo anche se molto raramente sfidava gli “uomini jet” della discesa libera (in quelle rare occasioni ottenendo comunque ottimi risultati). Intanto era spuntato all’orizzonte l’atleta che l’avrebbe spodestato. Slalomista (all’epoca si gareggiava nel gigante e in speciale) ancora più specializzato di Gustav, lo svedese Stenmark era lui pure serio e taciturno. Aveva cinque anni meno del nostro campione, ed era già pronto a succedergli.
Lo sci era seguitissimo, dicevo, e diventava un grande affare. Per la Coppa del Mondo dell’inverno del 1975 era arrivata la mega-sponsorizzazione di Parmalat, ditta allora conosciuta solo in Emilia e dintorni, che poi avrebbe fatto (e disfatto) quello che ben sappiamo. S’inventarono un’ultima gara decisiva, inedita, lo slalom parallelo della Val Gardena, un qualcosa come un Super Bowl sulla neve, più spettacolo che pura competizione, in grado di attrarre le grandi masse all’evento.
Avrebbe assegnato la coppa a uno tra Thöni e Stenmark (il terzo che aveva possibilità di vincere, il fenomenale discesista austriaco Klammer, era di fatto tagliato fuori perché tra i paletti si muoveva con l’agilità di un pilone del rugby).
I turni eliminatori non riservarono sorprese, o quasi. Stenmark arrivò vicinissimo all’eliminazione infatti, ma si salvò per la benevolenza della giuria e del suo avversario di quel turno, il “generoso” (ehm) polacco Bachleda.
Iniziò così la voluta e attesissima sfida finale tra i due. Thöni partì meglio, lo svedese recuperò e stava per superarlo quando, a tre porte dall’arrivo…
Qualche studente dello scientifico si era portato a scuola la radiolina a transistor, come si faceva allora per sapere subito le notizie sportive fondamentali. Così, quando a tre porte dall’arrivo cadde Stenmark, lo disse al compagno di banco, la voce incominciò a girare, all’intervallo ne parlavano tutti, ci fu un vero boato per i corridoi.
Perfino il preside si accorse di qualcosa, uscì dal suo ufficio (evento!), chiese cosa fosse successo.
– È caduto Stenmark, gli rispose qualcuno.
E lui, senza perdere l’aplomb che tutti gli conoscevano:
– Di che classe è?