Balza sul polo chimico: “Osservatorio Ambientale subito, per predisporre la bonifica”

Balza Lino 2E’ di pochi giorni fa il commosso ricordo di Francesco Delfieri,  una delle parti civili rappresentate da Medicina Democratica al processo Solvay-polo chimico, che non potrà sapere come andrà a finire. E’ mancato nelle scorse settimane, “e non è il primo, e non sarà l’ultimo”, commenta amaro Lino Balza. Con lui, che da tanti anni si batte per il riconoscimento della pericolosità di molte produzioni dello stabilimento spinettese, proviamo a fare il punto non tanto sugli aspetti giudiziari, quanto sul percorso che sarebbe opportuno percorrere (“ma subito, e non alla fine del processo: anzi, è già tardi”) per affrontare e per quanto possibile risolvere una situazione estremamente complessa, il cui impatto sulla vita quotidiana e sulla salute di tutti gli alessandrini viene probabilmente trascurato.  Ma parliamo anche di ambiente in termini più ampi, dagli altri stabilimenti industriali ‘a rischio’ al Terzo Valico.

Lino Balza, durante tutte le udienze del processo al polo chimico la sua in aula è stata finora una presenza costante. Pronto a ricominciare?
Assolutamente sì, e anche ad essere ascoltato, quando la magistratura lo riterrà opportuno.

Cosa si aspetta dal processo, e in che tempi?
I tempi della giustizia li conosciamo, inutile tornarci sopra. Spero che comunque, nel corsoTribunale_alessandria del 2014, si arrivi ad una sentenza di primo grado, che riconosca la fondatezza delle accuse. Stiamo parlando, lo ricordo di ipotesi di reato gravissime, come avvelenamento doloso e omessa bonifica. Ma, vorrei sottolinearlo, il vero snodo della vicenda è la bonifica: chi deve farla, e come? Chi sosterrà i costi, assolutamente ingenti? Per questo è indispensabile che da un lato si arrivi alla sentenza, e dall’altro si costituisca e renda operativo, ma sul serio, l’Osservatorio Ambientale della Fraschetta.

Organismo di cui si parla da tanto: ma concretamente come arrivarci?
Pensi che se ne parla dai tempi dei consigli di fabbrica della Montedison degli anni Settanta, che per molti versi avevano una percezione del problema, e della sua gravità, assai avanzata: in termini di tutela dell’ambiente, del territorio, della salute di tutti i cittadini e non solo di chi lavorava là dentro. E peraltro io c’ero, e le posso dire che gli elementi per capire c’erano già tutti allora, per chi non voleva negare l’evidenza. Comunque: l’Osservatorio Ambientale della Fraschetta fu definito così per la prima volta, mi pare, da Paolo Zoccola, all’epoca direttore del Piccolo, in un suo articolo sul tema. Parliamo degli anni Ottanta. A quel tempo, peraltro, ad Alessandria esistevano ancora le associazioni ambientaliste: un’altra epoca….

Cattaneo Mauro 3Medicina Democratica c’è ancora…
Noi sì, e cerchiamo di fare la nostra parte. Ma gli altri, da Legambiente al WWF, nel frattempo sono di fatto scomparsi dal territorio. E figure alessandrine come Mauro Cattaneo (nella foto), Pierluigi Cavalchini, Marcello Libener e altri oggi su questi temi mi sembrano decisamente meno appassionati di allora. Comunque: l’Osservatorio non può essere un semplice sportello informativo, magari con un’addetta che non sa neppure su cosa deve informare. Come successe, ricordo, durante in mandato del sindaco Scagni: aprirono un ufficio a Spinetta, ci misero dentro un’impiegata che neanche sapeva cosa doveva fare,  e finita lì. L’Osservatorio deve essere invece un organismo, con un proprio statuto, una serie di soggetti pubblici coinvolti (dalla Regione alla Provincia, ai comuni: attenzione, non solo quello di Alessandria), ma anche appunto le associazioni, per garantire la massima trasparenza e il controllo democratico.

Obiezione, signor Balza: lei sa bene che fine hanno sempre fatto iniziative di questo tipo. Al più, in epoche di vacche grasse, si trovavano le risorse per pagare gli amministratori, e qualche dipendente. Oggi peraltro, a guardare la situazione finanziaria dei soggetti che ha citato, sarebbe difficile realizzare anche questo aspetto….
Eppure mi creda: senza un soggetto che abbia il compito istituzionale di dedicarsi alla bonifica, di stabilire quali sono gli interventi concreti da fare e di reperire i fondi, non si andrà da nessuna parte. E ci si deve muovere ora: non aspettare che si arrivi alla sentenza definitiva. Consideri che, se un Osservatorio fosse stato costituito già quando lo chiedevamo noi, negli anni Ottanta, e avesse promosso serie indagini idrogeologiche ed epidemiologiche, la situazione che sta ufficialmente emergendo ora dal processo, nel finto stupore generale, sarebbe stata chiara già allora.

Comunque per la sentenza definitiva potrebbero volerci anni….Solvay Alessandria
Esatto, e nel frattempo la situazione potrebbe precipitare. Perché, come Medicina Democratica cerca di segnalare da sempre, non siamo assolutamente di fronte ad un problema del passato, ma ad uno stabilimento in piena attività, e ad una montagna di veleni sotterranei che non stanno fermi, ma si muovono. Mi risulta poi che ci sia addirittura un reparto la cui struttura sta lentamente sprofondando, in maniera strutturale. Sa qual è il rischio vero? Che Solvay, dati i tempi lunghi per arrivare a sentenza definitiva, continui indisturbata la sua attività, e ad un certo punto decida poi di delocalizzare altrove le produzioni di Spinetta, dismettendo quello stabilimento. Vogliamo ritrovarci con un’altra Ecolibarna, o un’Acna di Cengio? Pensiamoci per tempo.

Quindi anche per lei, nemico pubblico numero uno del polo chimico, la produzione lì non deve fermarsi: lo stabilimento aperto e funzionante diventa prima garanzia che la bonifica si faccia…
Credo che alcune produzioni, e qualche reparto, verranno chiusi, nel tempo: è sempre stato così, anche altrove: ma certamente la priorità non è fare chiudere la Solvay, ma invece obbligarla a bonificare, e davvero. Se penso a certe proposte costose e inutili, come il lavaggio delle acque proposto da Amag gestione Repetto, mi viene ancora più da pensare che la vigilanza dell’Osservatorio sarà indispensabile, per evitare che la bonifica, intesa come eliminazione di tutti i veleni sotterranei, sia solo l’ennesimo business di pochi, sulle spalle della collettività.

Quale ruolo dovrà avere la politica in tutto ciò, al di là delle sentenze dei giudici? Ed è vicenda che si può risolvere solo su scala locale?
Parto dalla fine della domanda: no, l’emergenza è tale che, sia sul fronte delle competenze tecnico-scientifiche che su quello delle risorse finanziarie, Alessandria non potrà fare da sola. Ancora una volta: l’Osservatorio Ambientale deve essere l’organismo capace di mettere a punto una strategia d’insieme, di individuare le competenze, e di stimolare il reperimento delle risorse necessarie per gestire il processo di bonifica. Che, ribadiamolo, sarà costosissima, e deve essere pagata dalla Solvay, e non certo dagli alessandrini.

Di Filippo DomenicoE i politici di casa nostra? Cosa possono fare?
In questa fase possono fare tanto, e ho colto in questi ultimi mesi due segnali importanti. Il primo è la mozione del consigliere Di Filippo, del movimento 5 Stelle, che pone l’accento su una questione essenziale: il piano di sicurezza e di emergenza della Fraschetta. Quello di Spinetta è un sito industriale a rischio di incidente rilevante, sul fronte ambientale, e questo significa che occorre predisporre un vero piano di sicurezza, meno blando e generico di quello esistente. Con punti qualificanti come: un sistema di allarme per la popolazione, cosa fare e con quali mezzi affrontare la situazione, come comportarsi in caso di evacuazione. Nessuno lo sa. E gli ospedali, saprebbero gestire un’emergenza di questo tipo? Insomma, credo che i 5 Stelle abbiano se non altro il merito di porre la questione: ora naturalmente vedremo cosa dirà il sindaco, che in questi 15 mesi, alle prese con altre emergenze, sul tema non ha trovato il modo di pronunciarsi.

E il secondo elemento di novità?
Nei mesi scorsi è diventato assessore all’Ambiente in comune ad Alessandria l’ingegner Claudio Lombardi di Sel, che oltre a vivere a Spinetta è certamente persona competente su questo fronte. Confesso che il primo sospetto che abbiamo avuto è stato di trovarci di fronte ad un promoveatur ut amoveatur, come dicevano i latini. Tanto più che quasi subito fu divulgata ai media una curiosa lettera del direttore di stabilimento Solvay di Spinetta, piuttosto irrituale e chiaramente concordata con Bruxelles,  in cui in sostanza si lanciavano segnali di distensione, di dialogo con le istituzioni locali.

Insomma, lei teme il classico ‘inciucio’, in salsa alessandrina?
Un po’ lo temevamo, ma francamente la suggestiva presa di posizione di Sel mi è parsa molto chiara e rigorosa, e assolutamente condivisibile nei suoi vari punti: dalla bonifica alla riduzione delle emissioni inquinanti, dal risarcimento alla comunità alessandrina alla necessità di muovere verso una chimica nuova, funzionale ai prodotti delle energie rinnovabili. Forse abbiamo pensato male troppo presto: speriamo quindi che si proceda su questa strada, orientando anche il resto della maggioranza di Palazzo Rosso, che sul tema polo chimico per ora è stata completamente silenziosa e assente.

Lei però, Balza, sostiene che la partita non si vince solo giocando sul fronte locale.Oreste ROSSI E Spinetta ha, addirittura, un europarlamentare, ossia Tino Rossi. Ad un certo punto è sembrato che tra voi ci fosse collaborazione. Poi cosa è successo?
La collaborazione, nell’informare e nel dare voce e rappresentanza alle parti civili al processo, c’è stata sicuramente. Poi però, onestamente, non ne abbiamo saputo più nulla: può essere che Rossi in Europa si sia mosso, che abbia stimolato Solvay a più alti livelli. Noi però non siamo stati avvertiti di nulla, se non attraverso le interviste del nostro europarlamentare ai giornali locali.

Balza LinoA proposito di sensibilizzazione e coinvolgimento della popolazione: non ha l’impressione che la maggioranza degli alessandrini sia in sostanza indifferente ai potenziali rischi, in termini di inquinamento, salute, emergenza ambientale e quant’altro? Si può dare sempre la colpa ai politici, e ai giornali, se una ‘spinta’ non arriva anche dalle persone, dalla società civile?
Ha ragione, e questo certamente si collega anche alla sostanziale scomparsa delle associazioni ambientaliste dal nostro territorio. I giornali locali, dopo un lungo periodo assolutamente indecente, direi che il processo lo stanno raccontando con equilibrio, anche se potrebbero sforzarsi magari di più sul fronte del dibattito, della riflessione sul tema inquinamento industriale a Spinetta (c’è anche la Michelin, con un processo alle porte. Ecco perché l’Osservatorio, con l’attività complessiva di monitoraggio, raccolta dati, analisi ambientale sarebbe essenziale). Quanto agli alessandrini, probabilmente ci sono sensibilità di vario tipo, e gli incoscienti che mettono la testa sotto la sabbia non sono una novità di oggi. Lo vuole un aneddoto? Assemblea pubblica in fabbrica all’allora Montedison, pieni anni Settanta: grande partecipazione degli operai, ma anche forte spaccatura. Da una parte la cellula del Pci (quando in Italia c’erano un partito, e un sindacato, che si occupavano anche della salute degli operai) che sosteneva l’assoluta nocività delle lavorazioni del reparto pigmenti, con carrelli che trasportavano queste sostanze nocive così, alla luce del sole, respirabili da tutti, e trasportabili con un po’ di vento. E chiedevano non la chiusura tout court del reparto, ma la sua trasformazione, con riconversione della produzione a ciclo chiuso. Dall’altra parte molti operai, spalleggiati dal consiglio di fabbrica, temevano la chiusura: il solito tema del ricatto occupazionale insomma. Ad un certo punto si alza dalle ultime file un omone, grande e grosso, operaio del reparto, spazientito da tante discussioni: apre il suo panino con la mortadella, prende un pugno di questi pigmenti (che, ripeto, stavano lì, sui carrelli, sparsi ovunque), li mette come condimento nel panino, e se lo mangia, sfidandoci: ‘visto? Mica sono morto!”. Questo per dirle il livello di incoscienza, e come una parte degli operai, anche all’epoca, esorcizzava la realtà negandola.

Terzo Valico scavi-ILino Balza, con lei si ‘sfora’ sempre, e non abbiamo neppure parlato di Terzo Valico…
In sintesi: vedo che su parecchi fronti la politica alessandrina sembra ripensarci, in queste settimane, e minaccia di non autorizzare l’arrivo dei camion con i materiali degli scavi destinati alle discariche di casa nostra. Per carità, esistono anche possibili alleanze e convergenze strumentali: io però dico attenzione, perché questa posizione, più che una conversione in direzione No Tav, a me fa pensare ad un mercanteggiamento. Del tipo: no, gratis non ci vieni. Ma se sei disposto a ricompensare il territorio, ossia il comune o la provincia, in maniera adeguata, ne riparliamo senz’altro. Spero di sbagliarmi, naturalmente.

Ettore Grassano