Monaco, maggio ’67, Bandini [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

 

Sono passati cinquant’anni, accidenti, dal giorno di quel maledetto incidente che si è portato via Lorenzo Bandini, allora il più forte pilota italiano, che guidava la Ferrari, e dopo di lui saranno pochi i nostri piloti a cui il Commendator Enzo affiderà un volante, forse anche per quanto successo quel drammatico giorno nel circuito salotto del Principato di Monaco.

“Alla fine di gennaio di quell’anno, commentando la notizia della morte dei tre astronauti americani carbonizzati nella capsula spaziale, Lorenzo ebbe a dirmi: “Poveri ragazzi, é una fine spaventosa quella che han fatto. E pensare che li avevo conosciuti. Sono commosso come avessi perso degli amici. Spero solo che non abbiano fatto in tempo a capire, e siano morti senza soffrire.” E si dilungò a parlarmi del suo orrore per il fuoco. Quasi un triste presentimento per quella che solo tre mesi dopo sarebbe stata la sua fine atroce, sotto gli occhi disperati della moglie.”
Così scrive Giorgio Gregori, giornalista e amico del pilota, in Segreti di corridori, 1968.

Bandini, un uomo dalla fanciullezza difficile (Michele Fenu, I piloti di   Monaco, maggio '67, Bandini [Lettera 32] CorriereAl 2Ferrari, 1979)
Bandini era rimasto orfano da piccolo, anche se nessuno allora osava raccontare che il padre fascista era stato fatto fuori dai partigiani, nel reggiano, nei mesi caldi del dopoguerra in cui s’erano regolati con la violenza parecchi conti della guerra civile.Aveva fatto davvero la gavetta, lavorato da meccanico, vissuto con enorme determinazione la sua passione fino a diventare pilota, a farsi notare addirittura da Ferrari che gli faceva guidare sia le sue monoposto di Formula 1 sia i prototipi, dove si viveva la feroce rivalità con la Ford, arrivata sul punto di acquistare la ditta di Maranello, con il celebre ripensamento del “Drake” che abbandonò il tavolo al momento della firma dell’accordo.

Quel ’67 era iniziato con il trionfale arrivo vittorioso in parata dei prototipi a Daytona. Viceversa le monoposto italiane avevano rinunciato alla lunga e costosa trasferta in Sud Africa, dove a capodanno si apriva il campionato mondiale dei piloti.

Monaco, maggio '67, Bandini [Lettera 32] CorriereAl 1All’inizio di maggio, la domenica 7 si correva il secondo Gran Premio mondiale, a Monaco, sul percorso cittadino che già all’epoca era considerato anacronistico, soprattutto perché le misure di sicurezza erano allora irrisorie, e solo qualche balla di paglia impediva a chi usciva di strada, magari dopo avere colpito con le ruote un marciapiede, di sbattere contro i muri cittadini. In più, la zona del porto cui si arrivava da una veloce curva chicane a esse, mostrava in bella vista le bitte a cui erano ancorati i grandi yacht da cui i ricchi proprietari vedevano lo spettacolo, e in mare era volato durante la corsa Antonio Ascari, negli anni cinquanta, e un paio di anni prima un driver australiano, entrambi per fortuna ripescati vivi dai sommozzatori.

La corsa durava addirittura cento giri, una fatica tremenda per i piloti, e infatti Bandini, che era secondo e voleva a tutti i costi vincere, dopo i piazzamenti degli anni passati nel Principato, sembrava stravolto all’inizio di quel giro ottantadue.

“Lorenzo evidentemente era stanco – scrive ancora Gregori, testimone oculare – e faticava a tenere testa al rivale, non ammetteva di essere sorpassato. E per staccarlo ha “tagliato” più velocemente che negli altri giri, la S della fatale chicane. Disgrazia ha voluto che nella manovra azzardata, la Ferrari toccasse col mozzo posteriore destro la staccionata che era coperta da un telone pubblicitario della Schell. Ed è questo striscione bianco che volando ha dato a molti l’impressione che Bandini, che indossava una tuta chiara, fosse stato sbalzato fuori dalla macchina. E questa è anche una delle cause del ritardato intervento sulla macchina in fiamme…
Poi ho proseguito verso il luogo dell’incidente dove ho incontrato Giancarlo Baghetti e il principe Carlos di Borbone Parma, che avevano direttamente collaborato a soccorrere Bandini. Il principe, che appariva con le mani e l’abito sporchi di nero, é stato il primo che, scavalcate le transenne si è avvicinato alla macchina in fiamme per soccorrere l’amico pilota.”

Le fotografie di quel 7 maggio ’67
Se cercate online le prime pagine di giornale dei giorni dell’incidente e della morte di Monaco, maggio '67, Bandini [Lettera 32] CorriereAlBandini, potete vedere che erano state pubblicate foto terribili, di lui incosciente e orribilmente ustionato ancora nella Ferrari numero 18 e mentre ne viene estratto. Allora il concetto di privacy, ma prima ancora di pudore, aveva evidentemente confini ben diversi da oggi.

L’agonia dello sfortunato pilota durò tre giorni. Il medico curante, date le condizioni del paziente, disse che come professionista avrebbe fatto tutto il possibile per salvarlo, come essere umano gli augurava di non soffrire troppo a lungo.
Il primo soccorritore, dunque, fu il futuro Re di Spagna, che entrò tranquillamente in pista mentre la Ferrari con dentro lo sfortunato pilota bruciava, la corsa proseguiva, i soccorsi dei commissari di pista erano almeno improvvisati.
Il fuoco era il più grande nemico dei piloti, e loro sapevano bene che morire in corsa era più di una probabilità. Dei sedici partenti di quel Grand Prix, dieci anni dopo solo sette saranno ancora vivi, per dire.

“Bandini, quel brillante giovane pilota, tanto gentile e cortese fuori della pista e così deciso in pista, era morto dopo l’incidente di Monaco.” (Richard Garrett, Veloci e furiosi, 1968).