“Francamente l’adozione di un figlio non è oggi personalmente in cima ai miei pensieri, forse perché con il lavoro che faccio figli mi sembra di averne qualche decina. E per quanto sia assolutamente favorevole alla possibilità per le persone omosessuali di sposarsi e adottare bambini, mi pare che la vera emergenza oggi in Italia non sia legislativa, ma culturale. Ossia l’iceberg dell’omosessualità sommersa, negata”. Corrado Parise ad Alessandria è personaggio pubblico piuttosto noto: per il suo impegno politico (fu segretario cittadino del Pd, poi candidato sindaco a Palazzo Rosso con la lista civica Le Nuvole, oggi….battitore libero – “mavalà, battitore libero era il mio amato ruolo a calcio…”), per il suo ruolo professionale di presidente della cooperativa sociale Il Gabbiano, ma anche per non aver mai cercato di nascondere (ma neppure di ostentare, e subito ci corregge “non cominciamo con la storia che dell’ostentazione: si propone la propria identità, come dato di fatto e anche come dono all’altro, così non si ostenta, semplicemente si fa il proprio mestiere di uomini”) la propria identità di gay (“ovvero di omosessuale che vive e propone la propria identità senza timori, sul piano sociale ed emotivo: e saremo il 5% del totale. Il resto è tutto sommerso, questo è il dramma vero, di cui nessuno vuole parlare”). Poiché la legge sull’omofobia in corso di approvazione in Parlamento sta facendo parecchio discutere, tra sub emendamenti un po’ pasticciati e dibattiti incandescenti anche a livello locale, proviamo con Parise a fare il punto della situazione, e a capire, dal suo punto di vista, cosa sta succedendo, e cosa è lecito attendersi sul fronte dell’evoluzione (o involuzione, i punti di vista al riguardo sono molteplici) dei diritti civili nel nostro Paese.
Corrado Parise, cominciamo facendoci gli affari suoi: le manca il matrimonio, o non avere figli?
(sospira, e si accende una sigaretta: siamo al tavolino di un bar, in un primo pomeriggio di tiepido sole, ndr) Credo che il matrimonio dovrebbe essere un sacrosanto diritto per tutti, persone omosessuali comprese. Come la possibilità di adottare figli, e naturalmente anche di essere una coppia a tutti gli effetti, dal punto di vista dei diritti e doveri di cittadini. Penso a quando una persona si ammala, e l’altra fa fatica ad essere riconosciuta come partner dai medici. O a casi estremi, come la morte improvvisa di uno dei due: pensi a Lucio Dalla, e al suo compagno che si trovò diseredato da un giorno all’altro, a beneficio di lontani parenti che erano sostanzialmente estranei. Ma è anche una questione di doveri: essere coppia significa responsabilità verso l’altro. Se ne parla poco, ma è questo che le unioni civili favorirebbero: la crescita della cultura della responsabilità nella coppia non sposata, glbt e non. Fatta questa premessa: io figli, con il lavoro che faccio, ne ho costantemente qualche decina (Il Gabbiano gestisce due comunità per minori in difficoltà, e una serie di altri servizi per ‘esterni’, ndr), quindi onestamente mi sento pienamente padre, da questo punto di vista. E’ un antico conflitto, fra paternità reale e paternità simbolica, nell’epoca della crisi del padre…
Parliamo del vivace dibattito sull’omofobia che sta emergendo in queste settimane nel Paese, e anche qui da noi: la legge in approvazione in Parlamento le piace?
E’ certamente un passo in avanti e ci voleva, ma non è una norma salvifica, specie se si trova l’accordo attorno a una bruttura come l’emendamento Gitti… E sa perché: perché il ritardo italiano, sul fronte dei diritti LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender), ancora prima che legislativo è culturale. Lì, fra noi, dentro la società civile, siamo enormemente indietro, e forse in arretramento. E storicamente ci sono almeno tre filoni di responsabilità: tre aree culturali che, ognuna a proprio modo, hanno concorso alla nostra attuale arretratezza, come Paese, e come popolo.
Quali sono questi colpevoli?
Prima di tutto c’è, naturalmente, una parte della cultura cattolica, quella piuttosto attenta alle cose di Cesare, diciamo. Anche se lì, a pensarci bene, c’è anche quel minimo di identità culturale che rende più comprensibili certe reazioni. Comprensibili, ma non accettabili: agli organizzatori del convegno di Casale di domenica scorsa, ad esempio, e a quelli che condividono certe posizioni, vorrei chiedere di interrogarsi se, nel sostenerle, siano davvero buoni cristiani, persone di fede… Perché il messaggio cristiano assume l’identità umana, le sue stesse contraddizioni, non è un messaggio moralistico per cui prima viene la morale, poi l’uomo… E’ esattamente il contrario, la morale deve servire l’uomo, non il contrario. E a cosa deve servire? Ad aiutare l’uomo nel suo cammino di liberazione, a realizzare la propria umanità nella liberazione dal male o, direbbero i buddhisti, dalla sofferenza e nell’incontro con l’Altro. Le morali sono fenomeni sociali, non spirituali e non possono prevalere le une sulle altre, tantomeno nel nome di dio. Questo è il gioco del potere, non quello della fede. Ora, il messaggio evangelico non contiene alcun accenno, e ci mancherebbe, a condizioni personali ascritte come di per sé erranti o diaboliche. Anzi, afferma il contrario. Ed è molto netto su un punto: sulla professione di fede. Ché non si è veri fedeli se non si vive da fedeli, in pubblico e non in privato. Le persone lgbt hanno lo stesso problema: vivere il proprio essere in pubblico, quindi nella società, non nel privato della fornicazione. E certo, vivere pubblicamente la propria verità e la propria parola a volte è scandaloso. Ma per cos’è morto Gesù, se non per aver vissuto fino in fondo la verità e la parola? Allora, quella cultura cattolica che non riconosce la piena umanità delle persone lgbt – erranti sì, ma come tutte le donne e tutti gli uomini, non come viziose – è una cultura criticabile e criticabilissima proprio dal punto di vista cristiano, prima ancora che da altre prospettive. E non si venga a dire che si riconosce sì la ‘piena umanità’, ma questo non autorizza a riconoscere gli stessi diritti ad esempio nelle questioni familiari: piena umanità implica piena cittadinanza e in questo campo, quello di Cesare, il riferimento è la Legge, non altro. Ecco, c’è una grande contraddizione in certa cultura cattolica, in questo intrecciare cerebrale, complicato, avvocatizio le questioni di Cesare e quello di Dio, che è molto lontano dalla semplicità della fede.
Sul fronte cattolico, però, non voglio fare generalizzazioni. Fra i cristiani non cattolici, ad esempio, ci sono posizioni avanzatissime, vedi i Valdesi. Poi, ci sono parti anche della Chiesa, anche della sua gerarchia, che sono assai più avanti di quel che si vuol far credere e con Francesco, che se noti sono mesi che continua a interrogare i cattolici, non gli altri, sulla verità della propria fede, spero avranno più forza e più voce. Francesco, che sulle persone lgbt ha già detto cose importanti. Francesco, che mi ha fatto perdere 400 euro… Eh, durante il conclave lo tifavo e ci volevo scommettere 10 euro e ne avrei guadagnati 400, ma in Italia le scommesse non sportive sono illegali, si rende conto? Cioè si rende conto in che paese viviamo? La gente si rovina alle macchinette statali e sono vietate le scommesse non sportive, capisce? Comunque, ho esultato per Francesco come per un gol dell’Inter di Mourinho…
Il secondo responsabile dell’arretratezza culturale italiana chi è?
Una certa cultura marxista naturalmente, il Pci e dintorni. Lì, c’è stata la sconfitta del libertarismo socialista degli albori, piegato alle ragioni della rivoluzione politica, quando il nucleo del pensiero socialista è innanzitutto umanistico, attento alla rivoluzione dentro di noi, come premessa alla della rivoluzione sociale. Pier Paolo Pasolini, ricordiamolo, fu espulso dal Pci in quanto omosessuale. Anzi, finocchio! Salvo poi cavalcarne la figura e le idee in maniera molto contraddittoria e macerata, dopo la sua morte. La cultura comunista della sessualità è in fondo perbenista, centrata sulla rimozione della sessualità come fatto sociale. Per non fare solo esempi colti, mi fa citare La patata bollente, il film di Steno di tanti anni fa con Renato Pozzetto e Massimo Ranieri? Lì emerge, sia pur in forma di commedia, la grande contraddizione della cultura del Pci: il rapporto conflittuale con la verità, e la negazione del corpo, soprattutto maschile. Qui si vede come il libertarismo umanistico di origine socialista e – secondo me – popolare si scontri con la ragion di stato dell’élite politica comunista e ne esca sconfitto, e questa lotta assume le forme di vero conflitto psicologico, nei singoli, di vera sofferenza. Le culture classiche hanno sempre fatto i conti con la carnalità del corpo maschile, non solo il corpo femminile è sede del desiderio. Si pensi all’epoca greco-romana e al Rinascimento. Persino la cultura fascista si pose questo problema, fate un giro allo Stadio dei Marmi a Roma… Pensiamo invece all’iconografia della sinistra ufficiale italiana: il corpo maschile è sempre vestito, non è un corpo ma una divisa… la tuta blu dell’operaio, le maniche di camicia rimboccate del contadino stile Quarto Stato, o la grisaglia dell’intellettuale. C’è ancora qualche eco di questo, ancora oggi. Ha sentito cos’ha detto Putin? Che se Berlusconi fosse stato gay non l’avrebbero condannato, in Italia… Certo non in Russia, dove oggi, se sei frocio, ti condannano eccome. Il potere, nelle epoche tristi, si è sempre servito e si serve della repressione sessuale per attuare repressione sociale e politica. Il potere ha paura della sessualità, perché è una forza che fa assaggiare il gusto della libertà.
Poi ci sono i laici: almeno loro si salvano?
Macchè: la cultura liberale italiana, ancorché minoritaria, è sempre stata anche debolissima, fragile, sostanzialmente succube delle altre due, quella cattolica e quella comunista. Da un liberale mi aspetterei appunto una decisa presa di posizione sul fronte dei diritti civili, che in Italia non c’è mai stata, salvo eccezioni individuali o partiti come quello Radicale. La domanda che farei è: siamo liberali solo quando si tratta di protestare contro le tasse?
Parise, ma lei è comunque ottimista? Già il fatto che il tema dei diritti civili LGBT sia all’ordine del giorno del dibattito pubblico non è comunque un segnale che qualcosa si muove?
Cerco sempre di essere ottimista, nel senso che possiamo sempre fare qualcosa. I segnali sono contraddittori. Oggi c’è più coscienza, più forza sociale – si pensi alla reazione mondiale al caso Barilla. Su un piano più profondo, sul significato sociale della sessualità, a me pare che ci siano tutti i segnali di una regressione culturale, che insomma ci sia la tentazione di tornare ad una dimensione sempre più privata, e nascosta, dell’omosessualità. Ossia puoi essere frocio, purché ufficialmente non risulti, non si sappia. Con costi psicologici devastanti per le persone, prima ancora che con discriminazioni sul piano giuridico, che pure vanno combattute, superate. Questa è la vera emergenza di oggi, il 95% che pratica l’omosessualità ma non la assume come parte della sua identità, fosse anche bisessuale. Ci sono padri, madri, figli che per decenni nascondono ai propri cari metà della propria vita. Crede che si viva bene, noi e gli altri che si vedono negati per anni la nostra verità? Quindi, la sessualità come fatto privato e non sociale, non politico – questo è il problema di oggi. Qui sta a mio avviso la traccia da seguire, anche per il movimento omosessuale: lavorare sull’emersione, sul dichiararsi, sulla felicità della verità.
E sulla famiglia glbt cosa dice?
Quel che vorrei che i cattolici, in particolare, o almeno la parte più evoluta di quel filone culturale comprendesse è che il modello di famiglia tradizionale attraversa oggi una crisi profonda, non per colpa dei gay, ma per ragioni ben più profonde, legate ad esempio al trionfo dell’individualismo più becero, alla disattenzione per i bisogni dell’altro. Ci sono fenomeni sociali che non si possono arrestare, ma governare sì. Ora, è la famiglia tradizionale ad essere in crisi, nel nostro lavoro al Gabbiano lo constatiamo ogni giorno, confrontandoci con situazioni estreme ma purtroppo sempre più diffuse. E a farne le spese sono sempre i figli, naturalmente, ma stiamo attenti anche alle sofferenze dei genitori. Allora mi chiedo, quando due gay o lesbiche o transgender desiderano ‘fare famiglia’, occupandosi davvero dell’altro, i cattolici veri, non dovrebbero aiutarli, proprio in nome dei valori della famiglia? Perché secondo logica vanno proprio in quella direzione, ridare senso allo stare insieme. Certo, per tornare a Barilla (nella foto), se la nostra idea di famiglia è quella del Mulino Bianco, un’idea nevrotica che rimuove appunto il corpo, come sede anche di problemi, di conflitti, di egoismi, dove l’altro è chiamato ad essere perfetto per non intaccare il nostro angoscioso bisogno di perfezione… allora è dura. Dice che riuscirò a farmi capire?
Lei insista, poi vedremo. Però mi consenta un’osservazione da esterno: non è che certe manifestazioni, come i colorati Gay Pride in stile carnevalata, con travestiti che cantano, ballano, si baciano e ‘scandalizzano’, alla fine sono un boomerang, e rischiano di mandare tutto ‘in vacca’?
No, non sono affatto d’accordo, anche se capisco l’obiezione. In realtà però i Gay Pride, anche nella componente ‘in travestito’, hanno proprio la funzione di provocare, di far emergere il tema, e di celebrare il valore della differenza, e il superamento dell’inibizione. Di ricordarci che siamo fatti di carne, che la nostra identità è fragile, a volte multipla… Insomma il Gay Pride è l’unica forma rimasta di Carnevale moderno e, come tale, dovrebbe essere incrementato e allargato a tutti, non represso in nome di un perbenismo che prende anche moltissimi glbt. Ricordiamoci la funzione del Carnevale nelle società classiche: celebrare la nostra parte lunare, quella più profonda, quella che – attraverso il corpo e la sessualità – ci avvicina alla sfera del sacro. Del resto le prime battaglie del movimento omosessuale furono fatte proprio dai travestiti, ossia da persone che ebbero e hanno il coraggio di vivere appieno la propria natura e identità sessuale, senza vergogna, ché nella vita ci si deve vergognare di ben altre cose. Furono loro a metterci la faccia, a Stonewall, mica i gay in giacca e cravatta! Sylvia Rivera, che fu la prima a reagire ai poliziotti, era una “travestita”, se lo ricordino tutti i glbt cui non piacciono i gay pride, e tutti quelli di Stonewall erano così, glbt che non si nascondevano – proprio per questo furono presi di mira. E lavoriamo per abbellirli i Pride, non per eliminarli.
E qui il capitolo sarebbe lungo Parise, ma non lo apriamo. Solo una parentesi sulla sua esperienza politica: come fu vissuta la sua esperienza di omosessuale all’interno del suo partito, il Pd di Alessandria?
(riflette, e sorride, ndr) Con un silenzio imbarazzato, per di più. Del resto il Pd era ed è fatto da italiani e alessandrini: con tutti i limiti e la mentalità di cui abbiamo parlato. In generale, penso che non basti essere favorevole a una legge pro lgbt per affrontare seriamente il problema della sessualità nella nostra epoca.
Lei oggi è impegnato sul fronte dell’associazionismo omosessuale?
Lo sono stato in passato, promuovendo oltre dieci anni fa il Gruppo azione gay Alessandria Asti.
Oggi osservo, partecipo al dibattito culturale ogni volta che posso, ma francamente trovo che anche il mondo dell’associazionismo LGBT abbia talora peccato di conformismo: in qualche caso, e lo sanno tutti, ci sono state associazioni che sono diventate vere costole di partito: e i loro promotori si sono un po’ integrati e sistemizzati, diciamo così. Credo ci sia un problema di linguaggio, com’è per la politica in generale. Ma sono le minoranze che hanno più possibilità di uscire dal conformismo della lingua comune, che un linguaggio conformista o subalterno logora anche le migliori battaglie. Penso che un moderno movimento lgbt avrebbe una possibilità: comprendere la battaglia lgbt in una lotta più ampia, per la costruzione di un nuova identità sociale e politica degli europei, nell’epoca in cui la donna e l’uomo europei attraversano un’evidente crisi. È ovvio che in questo caso non potremmo solo parlare di diritti, ma anche di doveri, quindi preoccuparci di quale sia l’etica, e l’estetica, cui pensiamo per il futuro… Ché Dolce e Gabbana mi pare un po’ poco, mentre le Pussy Riot sono in galera.
Chiudiamo con l’iceberg sommerso…
La battaglia dell’emersione sociale e culturale, per togliere l’omosessualità dal buio in cui in tanti l’hanno sempre confinata (e anche autoconfinata) è davvero ancora tutta da fare. E per essere una vera battaglia culturale, deve coinvolgere il quotidiano di ciascuno. Al Gabbiano ci occupiamo da vent’anni di ragazzi che, nell’adolescenza, si devono confrontare con la loro identità di genere. Con risultati enormi, perché in questo campo davvero si può sperimentare la forza della verità, la sua potenza creativa, visto che siamo qui per combattere sofferenze e nevrosi e creare benessere. Ma da molti anni facciamo da centro di ascolto e di counseling sulle questioni lgbt, la nostra porta è sempre aperta, per adulti, genitori, parenti. E anche qui i risultati sono impressionanti, impressionante è vedere come problemi ritenuti insormontabili diventino opportunità di benessere. Tutti coloro che ne hanno bisogno, insomma, ci contattino pure allo 0131.232404, oppure a info@ilgabbiano.coop, e troveranno sempre degli amici, pronti ad ascoltarli ed aiutarli senza giudicarli.
Ettore Grassano