Di nuovo gli anni delle gioie terribili [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

La serie nera (5)

Proprio quando le cose sembravano molto difficili il Drake trovò ancora una volta modo di riportare la Ferrari ai vertici dell’automobilismo mondiale, e a metà degli anni settanta ci furono di nuovo per lui e per tutti i ferraristi “gioie terribili”, per citare il titolo dell’autobiografia che Enzo Ferrari aveva pubblicato nel 1962.

I piloti Ferrari il mondiale del 1974 alla fine comunque non lo vinsero. Niki mal sopportava il ruolo di seconda guida e, come Hamilton esordiente tanti anni dopo, fu più un ostacolo che un supporto per Clay. Lo svizzero dal canto proprio era veloce ma mancava della costanza necessaria per vincere la stagione, specie in anni equilibrati con diversi piloti che potevano primeggiare (si contarono sette diversi vincitori in quindici corse).

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La scuderia più eccentrica di sempre

Alla fine vinse il mondiale 1974, per la seconda volta (suo già il campionato del 1972 con la nera e oro Lotus 72) il “raton” Emerson Fittipaldi, il pilota che non sa parcheggiare: lo raccontò sua moglie in un’intervista, la prima volta che uscirono aveva difficoltà a fare manovra nel parcheggio, e lei non gli credette quando Emerson le disse che mestiere faceva. Per la prima volta vinceva un pilota alla guida della McLaren, la scuderia fondata dal pilota neozelandese che si era ucciso a Goodwood nel 1970 provando una delle sue imbattibili Can Am.

Fu anche l’anno in cui per la prima volta salirono sul podio un pilota, una vettura e un team che sembravano un mix di tempi antichi e modernità: la macchina tutta bianca priva di sponsor, solo due grandi bande rosse e blu a ricordare la bandiera britannica.

La scuderia, col suo originale proprietario lord Alexander Hesketh, ventiquattrenne, era la più eccentrica di sempre: raggiungevano il circuito in Rolls Royce, non mancava mai lo champagne a innaffiare i party, cui sovente si presentava scalzo il bellissimo, biondo, ribelle pilota James Hunt: e tutte le donne impazzivano.

Denny Hulme, il campione mondiale del 1967 vinse per l’ultima volta, all’esordio stagionale in Argentina. Lauda in Spagna, Carlos Reutemann in Sud Africa e Jody Scheckter in Svezia vinsero il loro primo Gran Premio.

Nell’inverno del 1974 l’ingegner Forghieri a Maranello adottò un cambio rivoluzionario, trasversale, sulla nuova Ferrari, proprio per questo chiamata 312T (la sigla 312, come sovente a Maranello stava a indicare cilindrata – 3 litri – e numero di cilindri – 12 – del motore a bancate orizzontali, definito boxer anche se in realtà era a cilindri contrapposti).

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La ragazza di Frugarolo e il gorilla di Monza

La 312T venne pronta solo per la terza corsa del 1975, il Gran Premio del Sudafrica dove Lauda finì quinto. In precedenza Fittipaldi aveva vinto in Argentina, il giovane brasiliano Carlos Pace, che meno di due anni dopo cadrà con un aereo da turismo vicino a San Paolo, aveva trionfato sorprendentemente nella gara di casa.

Come da tradizione si sarebbe tornati in Europa per il gran prix di Spagna, in programma sul circuito cittadino nel parco di Barcellona, il Montjuïc. Successe di tutto.

Gli organizzatori misero il parco chiuso all’interno dello stadio allora abbandonato, che diventerà sede delle Olimpiadi del 1992. Le immagini del futuro re Juan Carlos che cerca di convincere i leader dei piloti, il veterano Graham Hill e il campione in carica Fittipaldi, a correre nonostante le preoccupazioni per la sicurezza del circuito, nonostante i guardrail mal fissati, sono a loro modo pittoresche. Alla fine la corsa partì e, dopo una notevole serie di carambole, la prima delle quali buttò fuori entrambi i piloti delle rosse tamponati da Andretti, dovette essere sospesa con la bandiera rossa quando la Hill del tedesco Rolf Stommelen perso l’alettone volò tra il pubblico uccidendo cinque spettatori.

Per la prima volta vennero assegnati mezzi punti, per la prima volta vinse il tedesco Jochen Mass, e per la prima volta conseguì punti (anzi, mezzo punto) una donna, proprio l’alessandrina Lella Lombardi, seconda donna a guidare nella massima serie dopo “pilotino”, affettuoso nomignolo con cui, in un ambiente tutto maschile, era chiamata la baronessa Maria Teresa De Filippis (gran personaggio, come si dice “d’altri tempi”) che aveva corso al volante di una Maserati negli anni cinquanta.

La minuta ragazza di Frugarolo guidava una March dalla livrea bianca, sponsorizzata da Lavazza, e il suo coequipier, il monzese Vittorio Brambilla la macchina gemella arancione per il colore dello sponsor Beta Utensili.

Il “Monza’s gorilla”, come da soprannome dei britannici, proprio quell’anno vinse l’altra gara accorciata, il bagnatissimo GP di Zeltweg, e preso dall’entusiasmo festeggiò – prima e unica volta nella pur variegata casistica delle corse automobilistiche – andando a baciare una barriera protettiva col musetto della March appena tagliato il traguardo.

A parte rare eccezioni comunque il mondiale fu un dominio di Lauda e della Ferrari che subito chiarirono come sarebbe andata la stagione con quattro vittorie e un secondo posto in Olanda, prima corsa vinta da James Hunt e unico successo nella storia della Hesketh.

L’apoteosi venne a Monza con la conquista del mondiale in una corsa vinta da Clay Regazzoni davanti al pubblico che continuava ad amarlo più dell’austriaco.

Niki Lauda, sempre freddo e all’apparenza incapace di sentimenti anche nel successo, sembrava pronto a concedere il bis nel 1976: invece andò diversamente, come raccontato anche nel recente – e molto ben fatto – film Rush.

I precedenti episodi di ‘La serie nera’:

A Zandvoort hanno compiuto un omicidio

Una sacca bianca e due occhi indimenticabili

Gli anni favolosi della Formula 3

Colin e il Drake

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Nel prossimo episodio di ‘La serie nera’:

Grand prix: le corse al cinema e nei fumetti