Alessandria, l’ospedale del futuro e quello di tutti i giorni [Centosessantacaratteri]

di Enrico Sozzetti

Mentre si annuncia la svolta (ennesima) per il progetto di quello nuovo in cui potrebbe avere un ruolo determinante il privato per la realizzazione della struttura, restano le contraddizioni tra le frontiere dell’università, della ricerca e della gestione quotidiana dei reparti

La qualifica giuridica di ‘universitario’, il percorso (in attesa di riconoscimento) verso l’istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (irccs), adesso (l’ennesimo) annuncio del progetto per la nuova sede. Per l’ospedale di Alessandria, struttura hub di riferimento per il Quadrante di Alessandria e Asti, sono settimane di novità, ma anche di profonde contraddizioni perché l’essere diventato universitario (con ormai la consolidata presenza degli studenti in corsia, cui si sommano i molti specializzandi che arrivano anche da altre università oltre al Piemonte Orientale) e l’avere consolidato il fronte della ricerca con il Dairi (Dipartimento attività integrate ricerca e innovazione, istituito nel 2020) che sotto l’egida dell’Azienda Zero coordina le attività di ricerca sanitaria a livello regionale ed è punto di riferimento per tutte le aziende sanitarie del Piemonte, cozza contro l’ordinaria amministrazione che è quella immediatamente non solo percepita, ma vissuta in prima persona da pazienti e familiari.

Dal Pronto soccorso alla gestione di molti reparti, non si contano le criticità nella gestione quotidiana: disguidi ripetuti nella consegna dei pasti, ritardi nel trasferimento dei pazienti dal letto di degenza agli ambulatori (e viceversa) per gli accertamenti diagnostici, difficoltà a reperire le aste portaflebo solo per citare alcuni banali esempi. Non sono problemi che mettono a rischio il paziente, però sono indicatori di una organizzazione che stride con le legittime ambizioni più alte dell’azienda perché sono le difficoltà con cui si misura il cittadino. Quello che ha bisogno di risposte educate e competenti e non solo di vedersi indirizzata, un esempio, una battuta (“Poveri tatini, si lamentano per la porta aperta”) da qualcuno del personale infermieristico di turno nella notte al Pronto soccorso perché il paziente, sulla barella, e un familiare si lamentano in quanto sono stati messi vicino alla porta d’ingresso sul lato di arrivo delle ambulanze che ovviamente si apre ogni momento. Con queste temperature la terapia del freddo non è proprio adeguata per chi arriva per un’urgenza.

Nuova struttura? Vedremo

Nuovo ospedale di Alessandria: la notizia è che si profila un partenariato pubblico privato che potrebbe accelerare i tempi per l’apertura di un cantiere che appare comunque ancora molto lontano. L’assessore regionale alla Sanità, Luigi Icardi, ha scelto l’assemblea dei sindaci dell’Asl Al per fare il punto sul progetto e annunciare che l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari) sta valutando «la correttezza, sostenibilità e convenienza delle proposte in campo». Sì, perché adesso sono due, entrambe «finanziate» a fronte di un costo totale attualmente stimato in 380 milioni, ma comunque suscettibile di ulteriori adeguamenti in relazione agli aggiornamenti dei costi di «materie prime, energia e inflazione». La prima è quella dell’Inail, la seconda, ed è la novità, è costituita dalla proposta di un soggetto privato, avanzata all’azienda ospedaliera universitaria di Alessandria da un raggruppamento temporaneo di imprese. Da qui la decisione di mettere tutto in mano ad Agenas per avere una valutazione dettagliata rispetto alle due ipotesi e «prendere la decisione per avviare il procedimento» assicura Icardi. Entro marzo «ci verrà restituito il documento e valuteremo la soluzione migliore».

Ma qual è la differenza delle due proposte? I tempi. E questo potrebbe fare pendere la decisione per il partenariato. A parità di risorse finanziarie, Inail deve infatti seguire una procedura più lunga di almeno un anno rispetto alla soluzione pubblico – privata. Capofila del raggruppamento è la Cmb (Cooperativa muratori e braccianti) di Carpi, un colosso del settore costruzioni con circa settecentosettanta dipendenti che nel 2022 ha registrato un giro d’affari di oltre settecento milioni di euro e un portafoglio ordini complessivo di 2,8 miliardi. Le altre due società sono la Arco Servizi e Renovit, piattaforma di efficienza energetica e innovazione sostenibile avviata da Snam e Cassa depositi e prestiti Equity.

Il nuovo ospedale di Alessandria occuperebbe circa novantaquattromila metri quadrati e avrebbe una dotazione di cinquecentotrentotto posti più una novantina di ‘posti tecnici’. I tempi stimati per la costruzione sono di cinque anni dalla consegna del cantiere.

Dal marzo 2023, momento del primo annuncio, si è modificato solo il percorso che porterà alla scelta. Ancora tutto da scrivere il resto: revisione del piano regolatore per l’area individuata tra la tangenziale di Alessandria e via Moccagatta, dietro alla clinica ‘Città di Alessandria’; modifica della viabilità; acquisizione dei terreni; nuova destinazione alla sanità territoriale (la competenza è dell’Asl) della attuale struttura ospedaliera. La parte monumentale verrà conservata, quella restante sarà in parte «rigenerata» e in parte demolita. Ecco perché Giorgio Abonante, sindaco di Alessandria chiede alla Regione «un protocollo di intesa per destinare risorse e progettualità alla riconversione parziale del vecchio nosocomio».

Storia infinita e ordinaria gestione

Nella lunga storia dell’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ di Alessandria si sono alternati direttori e progetti di espansione, il tutto con fasi alterne condizionate dalla scelte, e dai relativi finanziamenti, della Regione Piemonte che a ogni cambio di giunta e di colore politico persegue obiettivi che non ci può certo dire siano sempre stati coerenti l’uno con l’altro. Le diverse direzioni – Paolo Tofanini (1997 – 2006), Maria Teresa Flecchia (2006 – 2008), Nicola Giorgione (2008 – 2015), Giovanna Baraldi (2015 – 2018), Giacomo Centini (2018 – 2021) fino all’attuale, Valter Alpe – hanno scandito cambi di passo, dotazioni tecnologiche di eccellenza e l’arrivo di nuovi professionisti ai vertici dei reparti che hanno qualificato anche a livello nazionale l’attività clinica, purtroppo però sempre facendo i conti con le complessità di un contenitore inadeguato. E questo vale per il ‘civile’ come per l’infantile (una eccellenza). Nei mesi scorsi, per esempio, sono stati conclusi gli interventi per la sostituzione dei serramenti, il cappotto e il rifacimento del tetto del monoblocco. I lavori di riqualificazione hanno portato al rinnovamento di interi reparti e al netto miglioramento della condizione alberghiera. Ma non dappertutto. Ancora oggi vi sono specialità ben organizzate in cui le stanze di degenza non hanno i servizi interni e la condizione media dei bagni comuni lascia a desiderare.

Alcune modalità di gestione delle visite per i pazienti esterni sono ancora quanto meno discutibili. Nei Poliambulatori interni la situazione è abbastanza normale (al netto di piccoli disguidi e mancanza di pazienza e senso delle misura di alcuni utenti), mentre fare una visita in un reparto può essere un’avventura, con code che si sviluppano nel corridoio, assenza di numeri e altre modalità di prenotazione, chiamata con nome e cognome e tipologia di prestazione (alla faccia della privacy) della persona che è da tempo in attesa.

Pronto Soccorso, le disfunzioni e le proposte CorriereAl

E poi il Pronto soccorso

Quello del Pronto soccorso è un impatto traumatico con la sanità. Non ci si arriva perché non si sa come passare il tempo, ma per un problema inatteso, qualunque esso sia. Poi, certo, c’è chi va al ‘pronto’ perché ritiene che un’unghia incarnita sia un problema peggiore di un conflitto mondiale oppure perché il medico di base non risponde al telefono oppure perché la sanità territoriale continuare a fare acqua da tutte le parti e non riesce a garantire le prime, semplici e necessarie, risposte a un paziente. Ed così è al Pronto soccorso che, ad Alessandria come nel resto del Piemonte, sono evidenti e clamorosi i limiti di una programmazione sanitaria, di competenza della Regione, che rendono di difficile gestione i processi che già per loro natura lo sono. Ecco perché allora questo personale dovrebbe essere ancora più qualificato, retribuito e con un numero di addetti coerente con l’attività di emergenza. Ad Alessandria il Dea (Dipartimento di emergenza e accettazione) è di secondo livello, vuol dire che tratta i casi più gravi e infatti è facile trovare quotidianamente pazienti che arrivano da tutta la provincia, da altri territori piemontesi, ma anche dalle zone lombarde che confinano con l’alessandrino. Ma è anche il Pronto soccorso al servizio del capoluogo. Un doppio ruolo, come accade per tutti i reparti ospedalieri, che non ha mai trovato una coerente organizzazione in termini di personale e dotazione finanziaria. Le amministrazioni regionali di tutti i colori non hanno quasi mai gestito l’azienda ospedaliera come quello che invece è: una realtà di eccellenza, troppo spesso soffocata dall’ordinaria amministrazione che invece potrebbe trovare una risposta efficace e affidabile, almeno questa è la teoria rispetto a una sensata organizzazione della sanità, nelle altre strutture ospedaliere della provincia, che sono di competenza dell’Asl. E poi, ne parleremo, la gestione del personale a cominciare dai medici del ‘Pronto’ tra gettonisti e stranieri. Un aspetto, quest’ultimo, che rischia di essere un problema, non di competenza, però di comunicazione. E in un Pronto soccorso non è certo secondario.

(1 – continua)