Zero match point sulla sacra erba [Lettera 32]

di Beppe Giuliano

Cifra tonda. Capitolo 11

 

Si aggiunge dunque anche la cancellazione del torneo di Wimbledon alla lunga lista di eventi sportivi cacciati dal maledetto virus, l’unico e ultimo anno con la “cifra tonda” senza il torneo prima di oggi era stato il 1940, mentre molti sono gli eventi successi in altri anni che sono finiti con lo “zero”.

Giusto cento anni fa, ad esempio, vinceva tutte e tre le finali la “divina”, la “etoile” Suzanne Lenglen, l’irraggiungibile di cui avremmo solo frammenti di memoria non fosse per l’amore con cui l’ha “cantata” Gianni Clerici, tanto brava “che presto le sue stesse nemiche giunsero a rallegrarsi per averle strappato non si dice un set, ma un numero dignitoso di games”, che giocava “un tennis di incredibile tono atletico, e insieme lievissimo, addirittura incurante della forza di gravità” tanto che le sue volée ispirarono la coreografia di un balletto sulle note di Debussy. 

Suzanne che “si avvolgeva i neri capelli con turbanti di tulle e li mutava di continuo, insieme ai lunghissimi sweater, riportando il colore sui campi di tennis: attenta, beninteso, a che non stonasse con il verde dell’erba” in quell’edizione battè nel singolo la “vecchia” Dorothea Douglass Chambers, ormai quarantunenne, sette volte campionessa, la prima nel 1903, ormai anacronistica nelle sue vesti lunghe fino ai piedi, “la lunghissima e larga sottana di spesso cotone, la blusa stretta al collo” a fare un bel contrasto con “le braccia brune e nude scoperte dalle maniche cortissime di un vestito leggero” della “divina”.

Nella stessa edizione vinse anche per la prima volta il singolare maschile Bill Tilden, uno dei più famosi campioni sportivi degli anni venti, detestato da Suzanne (antipatia del tutto ricambiata) come se all’All England Club ci fosse posto per una sola divina, non due contemporaneamente.

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Anche per raccontare Tilden ci affidiamo alla penna di Gianni Clerici:

“Una volta che William Tilden detto Big Bill stava firmando autografi – scrive nel suo fondamentale ‘500 anni di tennis’ – gli fu chiesto da un ragazzino intraprendente come mai ci mettesse solo il cognome. Big Bill lo guardò, con la sua aria arguta e un tantino diabolica, e finì per sorridere: «Forse che la Garbo firma diverso?» Figlio di una brava pianista e di un businessman interessato alla politica, Bill aveva preso dalla mamma, e tutta la sua vita fu un continuo, patetico tentativo di diventare quello che egli stesso definì, un po’ genericamente, “un creatore”. Sfortunato e, diciamolo, tristemente fallito quale uomo di teatro e di penna, Tilden si impose invece nell’arte minore del tennis come nessun altro. Le aspirazioni teatrali frustrate, insieme a una forte spinta narcisistica, giunsero a fare di lui un personaggio molto più sfaccettato, e certo non meno noto, di un Jones, un Babe Ruth, un Dempsey: gli altri eroi sportivi del suo tempo.”

Di entrambi scrive meravigliosamente anche Matteo Codignola in ‘Vite brevi di tennisti eminenti’:

“Big Bill era esplicito in ogni circostanza (“Ma noi, tesoro, siamo due signore!” strillò a un cameriere in Riviera, che aveva appena fatto notare a lui e a Ted Tinling come un certo piatto di pollo del menù fosse riservato alle signore)”.

“Lenglen fumava, beveva, e nonostante vincesse sempre “non poteva essere accusata di porsi come esempio per nessuno”.

Suzanne, davvero da “divina”, se ne andò a metà degli anni venti da Wimbledon sbattendo la porta, tra lacrime e crisi isteriche, dopo essersi rifiutata di uscire dallo spogliatoio dedicato alla campionessa in carica, offesissima perché avevano spostato il Suo incontro per accontentare la richiesta di una semplice Regina (Maria di Teck, consorte di Giorgio V non voleva perdersi nessun match della campionessa, e ottenne appunto lo spostamento di un turno di qualifica).

Big Bill tornò a vincere il torneo nel 1930, mettendo fine alla supremazia dei “moschettieri di Francia” Borotra Cochet e Lacoste.

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C’è un’altra partita giocata in un anno con la “cifra tonda” che è entrata nella storia non solo di Wimbledon o del tennis, ma dello sport.

Poche storie: il tie-break del quarto set, interminabile, alla fine vinto 18-16 da John McEnroe nella finale contro Bjorn Borg resta il gioco più famoso e più ricordato del tennis. Non a caso ci hanno fatto un film.

La partita finisce 8-6 al set decisivo per Borg, che vince il suo quinto consecutivo Wimbledon, e l’ultimo match importante della sua carriera. Poi gli succede come a Joe Frazier, che dovette sostenere per combattere Alí uno sforzo psico-fisico tale da non riuscire più a essere competitivo.

McEnroe, uno che ha vinto meno trofei di molti altri tennisti, rimane comunque nella memoria di tantissimi (e mia) come il più originale, rissoso, talentuoso e divertente giocatore mai visto. E al suo livello, nella mia personalissima classifica, metto un’altra mancina, la Martina Navratilova che vince l’ultimo dei suoi nove titoli di singolare giusto trent’anni fa, ma che continua ad alzare coppe a Wimbledon fino al 2003, quando conquista ancora un doppio misto.

Altri campioni vincono in un anno con lo zero il loro ultimo titolo sulla sacra erba: vent’anni fa Pat Sampras (il settimo), dieci anni fa Nadal, cinquant’anni fa la Margaret Court che compie nel 1970 il Grande Slam.

E, per chiudere, mi piace tornare a quell’edizione del 1980 perché, oscurati dalla partita tra Borg e McEnroe ci sono invece due avvenimenti significativi: rivince il singolare femminile Evonne Goolagong, nel frattempo diventata signora R.A.Cawley, come dice l’iconico tabellone elettronico del “centre court”. È una finale tra due “signore”, l’altra è infatti “Mrs. J.M.Lloyd” cioè Chris Evert. Evonne che aveva già vinto ragazzina nel ‘71, è la prima campionessa aborigena, e solo la seconda mamma a vincere il titolo, quasi settant’anni dopo la prima. Invece Tracy e John Austin diventano la prima coppia di fratello e sorella ad aggiudicarsi un torneo del Grande Slam.

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Le storie di ‘Cifra tonda’:

I duellanti

La partita del secolo

Il lancio che uccise

Il primo e l’ultimo titolo di Kobe

A fari spenti nella notte

Il grande balzo in alto del fantasma Ni

Tokyo e le Olimpiadi soppresse

Eravamo in centomila allo stadio quel dì

Un uomo del sud, senza pista

La vittoria di Gianni Vedremo