di Beppe Giuliano
Torna l’appuntamento con il bilancio sportivo di fine anno, dopo le due puntate dello scorso anno (che potete rileggere qui e qui),
cercando non solo le grandi notizie ma anche qualche “spigolatura”, come si sarebbe detto anni fa.
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Coccodrilli. Partiamo subito con il mio genere letterario preferito.
Se ne sono andati tra gli altri, oltre a Gigi Radice,(e Giagnoni e Mondonico, i tre più importanti allenatori del Torino dagli anni settanta), Antonio Valentin Angelillo, e qui sembrano obbligatorie subito le citazioni per i 33 gol in una stagione e per l’amore con Ilya Lopez (che poi non si chiamava neanche così ed era di Brescia) usato da H.H. per mandarlo via dall’Inter.
Tommy Lawrence, il portiere del Liverpool degli anni settanta che diventò “virale”, come si dice, quando un giornalista della BBC senza riconoscerlo lo intervistò su un vecchio derby con l’Everton chiedendogli se lo ricordava e lui, serafico: certo, l’ho giocato.
Sir Roger Bannister il medico neurologo primo uomo a correre il miglio in meno di quattro minuti.
E la Irena Szewinska, la più grande atleta della Polonia e una delle più pure atlete della corsa dai 100 ai 400 netri.
Ray Wilkins da noi “lametta” quando giocava nel Milan, a soli 61 anni, un campione in campo e fuori.
Roberto Linardi, come venne ribattezzato quando fu naturalizzato Bob Lienhard, pivot della Cantù che con il marchio Forst sulle maglie negli anni settanta sfidava perfino la fortissima Varese.
Uno degli addii più toccanti è quello della pallavolista Sara Anzanello, che ha lottato come una leonessa contro un male troppo più feroce di lei. Quel “ho paura ma voglio vivere… senza grandi pretese, ma vivere” dell’ultimo messaggio “social” ci risuona nell’animo.
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Quasi coccodrilli. L’addio definitivo, meno doloroso ma altrettanto toccante l’ha fatto Arsene Wenger, dopo quasi un quarto di secolo (fa impressione, vero?) sulla panchina dell’Arsenal. Da galantuomo e, tranne che negli ultimi anni in cui probabilmente aveva un po’ perso il passo, da allenatore straordinariamente vincente.
Il calcio inglese ha registrato un altro addio, meno notato forse ma altrettanto significativo: quella iniziata ad agosto è la prima stagione in cui i club non sono più obbligati a stampare quei (bellissimi) “matchday programmes”.
L’addio alla Bundesliga dopo quasi mezzo secolo della squadra dell’Amburgo invece ha segnato la fine di una tradizione, con l’orologio che scandiva la permanenza dell’unica squadra mai retrocessa nel campionato della Germania (prima Ovest) appunto fino a questo maggio.
Addio alla Formula 1 per Nando Alonso, forse il pilota più forte di tutti, condannato a non potere più correre con auto vincenti (anche per il carattere non proprio facile) e alla Ferrari per Kimi, difficile da giudicare al volante, di certo uno dei pochi personaggi in uno sport sempre più in crisi.
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Categoria più ricercata: tenniste. Cioè quel che succede quando cerchi foto di sportive molto belle. E al numero uno dei miei gusti personali sempre: Caroline Wozniacki.
Quest’anno, sorpresona, ha finalmente vinto un torneo importante, e la sua finale contro la rumena Halep agli Australian Open è stata direi la partita più bella dell’anno, il che si può tradurre pure con “c’è grossa crisi nel tennis”. Ah, due che non hanno mai fatto il calendario di Sports Illustrated, ma hanno invece indubbiamente fatto la storia del gioco con la racchetta (e anche creato una splendida amicizia tra loro) si incontravano l’ultima volta contro giusto 30 anni fa: vinse facilmente Martina, contro Chris.
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Essere Karius. Dunque, sei un giovane portiere, ti giochi la partita della vita, cioè la finale della Champions e la tua squadra, il Liverpool, perde per due clamorosi errori che fai, davvero enormi. Non deve essere facile essere Karius nel 2018.
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La pasticciona. L’impresa sportiva italiana dell’anno l’ha fatta Sofia Goggia, autodefinitosi pasticciona nelle interviste, per niente a pasticciare invece nel minuto 39 e rotti giù dalla pista di Pyeonchang più velocemente di tutte le altre, anche della divina Vonn. Vincere una medaglia alle Olimpiadi è già memorabile, vincerla in una specialità nobile come la discesa libera lo è doppiamente.
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La remuntada. Non me ne voglia la Francia campione del mondo ma l’impresa calcistica dell’anno 2018 l’ha fatta la Roma infliggendo “la remuntada” a chi l’aveva inventata (senza peraltro metterla in atto) con quel 3-0 dei quarti di finale col Barcellona dopo avere perso 4-1 al Camp Nou, sigillato dal più improbabile degli eroi col gol di testa del greco Manolas.
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Qui da noi. Di imprese sportive le squadre provinciali ne hanno fatte diverse, a cominciare dai grigi che hanno portato al Moccagatta la coppa Italia semipro 45 anni dopo quella vinta al Flaminio (e, come ho anche scritto su twitter: “dopo Marconi in rovesciata ho visto proprio tutto. Amen”.
Ancora: la Coppa Italia A2 di basket portata a Tortona, ma anche la Junior Casale a un passo dall’impresa con la finale dei playoff di A2 dopo una galoppata favolosa.