Abbasso i condoni!

La lingua italiana ha talmente tante sfumature e si arricchisce ogni giorno di più di tanti neologismi e di allocuzioni che possono cambiare di significato da un contesto all’altro, che è difficile fidarsi di chi parla. Uno ascolta per esempio coloro che parlano in televisione e crede di essersene fatto un’idea, ma la stessa cosa se la dice un “economista liberale” può avere un significato, se la dice un “economista statalista” può averne un’altro, se infine la dice il Capo, può essere il contrario di tutto, perché quasi sicuramente il giorno dopo dovrà essere smentita o reinterpretata.

Ma anche dall’altra parte dei suonatori la musica non è che sia affatto gradevole e comprensibile, perché non sono mai riusciti a cominciare nemmeno un concerto senza cambiare il brano di musica che avevano davanti.
La mia polemica questa volta si indirizza sul tema dei condoni fiscali, sui condoni edilizi e su quelli ambientali. Che cos’è un condono, se non un bel colpo di spugna sulle conseguenze di un reato?

Ovvio che nell’emanare un condono, la mente che lo concepisce scriverà che la sanatoria sarà quella definitiva, ma solo nel senso che metterà al sicuro il colpevole, ma non si preoccuperà sicuramente di tutelare lo Stato dalla reiterazione del reato, dato che è quasi sicuro che un condono non sarà mai l’ultimo, ma ne dovranno seguire altri, anzi una serie di altri, per poter fornire sempre nuova linfa alle esauste casse statali e locali.
La scusa è sempre quella: “il poco che sarà rastrellato dai condoni sarà comunque sempre meglio di niente” e poi basta fermare temporaneamente le procedure di accertamento in corso con la firma dell’accordo, pagare una rata o due e poi chi s’è visto si è visto, amici come prima. Esiste sempre la possibilità nel frattempo di un bel fallimento pilotato (alla Lele Mora per esempio) e lasciare gli sbirri dell’Agenzia delle Entrate con un palmo di naso! La stessa cosa si può fare anche nei confronti dei crediti dell’Istituto della Previdenza Sociale, che intanto potrà valersi sempre della massa (buuh!) dei lavoratori per portare a casa il pane e il companatico che serve per mantenere in piedi la baracca.

Per noi italiani lo spettacolo è deprimente. Un giorno i giornali raccolgono le confidenze di un ministro che preannuncia come imminente un condono (magari è solo inizialmente un mini-condono, poi un po’ più elastico e infine simile ad una mutanda sfondata), il giorno dopo un’altra voce “autorevole” smentisce, il terzo giorno uno “che sta un po’ più sopra del primo” dice che sarà doloroso ma sarà inevitabile, perché di soldi in cassa non ce n’é e qualche alzata d’ingegno bisognerà pur trovarla per far quadrare il cerchio. Tanto più che la colpa del fatto che di soldi non ce ne sono più è sempre di quelli di prima, che hanno fatto montagne di debiti per farci stare bene senza lavorare troppo.

Se parliamo poi dei disastri ambientali che ci sono costati miliardi di euro, non possiamo far finta di niente riguardo a cementificazioni abusive, saccheggi del suolo pubblico, abusi edilizi ripetuti, sanati, condonati e poi ripetuti ancora un’altra volta. L’origine dello sfondamento delle regole è avvenuto soprattutto negli ultimi quarant’anni. Di chi la colpa? Ovviamente di tutti gli italiani, tutti figli di buona donna, che amano il loro paese con la voce e con lo stomaco e vorrebbero vederlo progredire, ma che tengono tutti famiglia e, si sa, per dare un stanza in più ai figli, suvvia! Il fatto che in Italia anche le società immobiliari tengono famiglia, hanno figli, nipoti, servitori, maggiordomi e lacchè, e tutti reclamano un sussidio, una rendita, un vitalizio!

Ahi!, serva Italia di dolore e di vergogna ostello, gridava il poeta, fin dai tempi remoti!
No!

Le colpe sono risapute e ben individuate e fa specie che gli uomini seri, anche di opposizione, facciano finta di non ricordarselo. Un tempo lontano, cioè fino all’inizio degli anni 90, gli Enti locali ed in particolare i Comuni ad esempio, che avevano da sempre la responsabilità principale della tutela del proprio territorio (in questo senso la figura del sindaco è assolutamente preminente in fatto di responsabilità) dovevano utilizzare i proventi degli oneri di urbanizzazione incassati con il rilascio delle licenze edilizie, esclusivamente per le opere relative, cioè per dare i servizi di urbanizzazione, strade, acquedotti, reti fognarie e quant’altro, e per questo scopo dovevano accantonare i fondi su capitoli di bilancio appositi, dai quali non potevano attingere se non per dare esecuzione alle opere. Anzi, era previsto un conto di tesoreria a parte.

La legge 127 del 15.5.1997 (detta legge Bassanini bis – ce ne furono ben quattro leggi Bassanini, sorte con l’idea lodevole di dare maggiore responsabilità e autonomia agli Enti locali, una specie di riforma federalista ante litteram),- dall’art.9 in avanti, titolato “disposizioni in materia di equilibrio finanziario e contabilità degli Enti Locali”, aprì la porta ad una riforma che possiamo definire anche allora “epocale”, cioè diede la possibilità ai Comuni di attingere ai proventi degli oneri di urbanizzazione per risanare i loro bilanci, confondendo scopi e prerogative, cioè per pagare anche gli stipendi, i mutui, le iniziative culturali o regalie a società bocciofile, tutto nel calderone del bilancio comunale allargato. Un’iniziativa improvvida e disastrosa, che era stata assunta per evitare il dissesto di alcune ben individuate amministrazioni comunali, sia di destra che di sinistra, che della bancarotta hanno da sempre fatto la loro ragione di vita.

Bassanini diede una grossa mano ad aprire lo spiraglio ai successivi allargamenti della falla. Infatti non sembrava vero ai legislatori susseguenti potersi valere di tali norme per dare ulteriori possibilità ai sindaci amici che le sollecitavano, di rilasci di licenze edilizie a raffica, in deroga a qualsiasi norma di buon senso, di sana politica economica e non solo del territorio. E, allora, avanti: i sindaci andavano a gara a chi rilasciava più permessi di costruzione non solo di case e palazzi in ogni angolo della penisola, ma di centri commerciali, capannoni industriali di qualsiasi tipo, con o senza norme adeguate, senza guardar troppo per il sottile, tanto poi un condono era sempre lì all’angolo.

Nel frattempo gli incassi degli oneri avrebbero garantito una gestione allegra del bilancio comunale. Più licenze significavano tante più entrate e tanti più voti. Il risultato è davanti agli occhi di tutti gli italiani: una cementificazione del territorio che ha portato alluvioni, frane, disastri di ogni tipo (persino il Veneto che aveva una campagna ordinata, con abbondanza di canali in grado di regimentare le acque, è andato più volte letteralmente a bagno), oltre ad una corruzione diffusa, una propensione a delinquere sempre più difficile da combattere, una pretesa continua di sanatorie. Un famoso politico, nella speranza di rovesciare le previsioni dell’esito delle votazioni di Napoli, ha dovuto promettere ai buoni camorristi che non avrebbe lasciato abbattere le case abusive già condannate alla demolizione con sentenza esecutiva, ma per fortuna la pensata non ha avuto successo.

In Italia circa il 40% dei capannoni industriali è sottoutilizzato o del tutto inutilizzato e quasi nessuno ha installato un tetto a pannelli fotovoltaici!

Lo stesso vale per le enormi aziende agricole che punteggiavano la pianura lombarda, un tempo contornate da prati perenni, le marcite, e con dignitosi fabbricati rurali a corte chiusa. Molte sono in evidente stato di rovina, con i portici con i tetti sfondati e le stalle deserte. Anche fra quelle rammodernate ed in stato di piena attività non ce n’è una con i pannelli. In compenso ci sono ottimi terreni agricoli coperti. E poi hanno il coraggio di parlare di riforme a difesa del settore agricolo!

Per far ripartire l’economia si studiano diverse soluzioni, ma nessuno mi pare voglia copiare dagli stati europei che hanno un costo del lavoro alto, una fiscalità equa ma tutto sommato alta, ma piuttosto copiare dagli stati “furboni” che attirano gli investimenti stranieri con forti sconti fiscali e maggior tolleranza verso la corruzione e i guasti ambientali. A me risulta che le aziende tedesche continuino a fare utili pur pagando le tasse (ed addirittura hanno fatto passare leggi che prevedono una quota di utili da distribuire ai dipendenti della medesime aziende se tutti insieme ottengono positivi risultati), mentre per esempio in Romania nonostante che da 25 anni ci siano molte aziende, anche italiane, che hanno de-localizzato impianti, non si vedono progressi a vantaggio degli operai e dei pensionati!

In questi giorni alcuni economisti, diventati consiglieri di partiti che prima tuonavano contro la corruzione, consigliano di votare la “pace fiscale”. Dicono:

“Mettiamo anche che costi 50 miliardi; saranno 50 miliardi in mano ai cittadini, che in qualche forma torneranno». Altri più con i piedi per terra invece ribattono:
“Temo sia più facile finiscano in banca, magari all’estero, dove nei giorni della nascita del governo giallo-verde di miliardi ne sono già transitati 38.” Ma tanto la flat tax non ci sarà. Quel che risparmieremo con le aliquote lo perderemo con le mancate detrazioni: il gettito fiscale dovrà restare lo stesso, a meno di non uscire dall’Europa. Se tutte le promesse del mitico Contratto dovessero essere mantenute, ci ritroveremmo fuori dall’euro, e senza piani B.

Ma allora questo “condono” che se chiamato “pace fiscale” sarà senz’altro l’ultimo come la pace eterna che si legge all’ingresso di qualche camposanto, lo facciamo o non lo facciamo?

Ma sì, facciamolo, ma non chiamiamolo “condono”. In effetti la parola condono sa troppo di regime assoluto. I condoni, come la grazia sono per lo più prerogativa di monarchie. Il principe, l’imperatore rilasciano condoni di pena.

Piuttosto “concordato” è una parola molto più democratica. Nasce da un accordo, una specie di agreement tra persone alla pari, o quasi. Sì, forse andando avanti di questo passo, fra delinquenti e lo Stato, le differenze saranno sempre meno evidenti. Un accordo fra loro sarà sempre preferibile ad una guerra fra mafie.
E, allora, viva il concordato, magari anche per tutti i covi di malaffare d’ Italia, ma sì, dai, che se lo sono meritati ! L’importante è fare. Che facciano quindi le loro porcate.
Non indignatevi, per favore. Non serve. Pregate piuttosto e accendete dei ceri a san Tito Boeri (presidente dell’INPS) e san Mario Draghi (ancora per poco presidente della Banca Europea).

Un ultimo avvertimento: più che leggere i messaggi che imperversano sui social-media, che servono per dare consenso di voti ai cosiddetti “populisti” permettendo a tanti imbecilli di sfogare rancori e rabbia, suggerirei di riflettere un attimo su due risposte date da analisti politico-economici un tantino più seri, il primo sulla flat-tax ed il secondo sui condoni ambientali, premettendo che personalmente non sono a favore di certe pretese di ambientalisti talebani che conosciamo e, tanto per fare un esempio, non sono né contro la TAV, né contro il Terzo Valico dell’Appennino Ligure, anche se forse avrei scelto invece della direttrice ferroviaria di Genova, con il suo scalo merci già super intasato, la direttrice di Savona, stando al fatto che il porto di Savona-Vado è già in grado di accogliere qualsiasi tipo di nave, anche di pescaggio superiore.

Ecco i due interventi:

“Questo episodio si verificò anni fa in un paese della provincia di Arezzo. Durante un consiglio comunale, un consigliere chiese al sindaco perché non si faceva una certa opera. Il sindaco rispose che non era possibile in quanto il Comune aveva 50 milioni di deficit. Allora il consigliere (forse poco pratico di economia) ribattè: «Cominciamo a spendere quelli», frase che nella zona ancora si ripete quando si vuol fare qualcosa e non si hanno i soldi. Secondo me, è ciò che sta facendo il nuovo governo: «spende il deficit».
detto da Aldo Cazzullo
“Il debito nei confronti dell’ambiente e del paesaggio non è un debito come quello finanziario. Questo può essere ripianato, quell’altro no, ma lascerà invece danni irreversibili a discapito di chi verrà, anche secoli dopo di noi.
Infatti, anche i regimi assoluti del passato, i principi, i papi ed i cardinali scialavano il pubblico denaro, ma avevano almeno la delicatezza di farlo, senza rovinare il paesaggio, e per opere d’arte di assoluta eccellenza, che hanno reso l’Italia un museo all’aperto che tutti il mondo ci invidia, mentre i governanti ed i ras locali di oggi sono capaci di lasciare soltanto immonde rovine.

Questa sembra scritta giusta proprio per noi italiani e alessandrini in particolare che non abbiamo capito nulla di certi obbrobri della cosiddetta “modernità” (palazzo dell’edilizia, ponte Meier, AL/2000, eccetera eccetera)

Luigi Timo – Castelceriolo