Le Marche: Ovvero la terra di confine [Abbecedario del gusto]

Le Marche: Ovvero la terra di confine [Abbecedario del gusto] CorriereAl 1 di Pietro Mercogliano

 

 

La vitivinicoltura era presente in territorio marchigiano fin dall’VIII secolo a.C., come dimostrano precisi ritrovamenti archeologici; le stesse ricerche dimostrano in realtà come il vino avesse soprattutto un valore rituale e sacrale, anche se tale valore aveva un forte connotato sul fronte dell’idea dell’abbondanza: e ciò deve far capire come la vite fosse una ricchezza importante al di là dell’ambito religioso. Tali ritrovamenti si concentrano soprattutto nell’area abitata dai Piceni: fiera popolazione che solo con qualche difficoltà fu integrata nel sistema di conquiste di Roma.

Sotto l’Impero questa Regione svolse un ruolo relativamente provinciale (non semplicemente nel senso storico delle Province imperiali ma proprio in quello moderno della periferia), pur essendo attraversata da almeno due importanti assi viarî. Nel corso del Medioevo fu per un certo tempo spartita fra diverse dominazioni, e questa sua natura di terra di confine le fruttò il nome di Marche – “marca” ha tecnicamente proprio quest’accezione –. A un Rinascimento sfolgorante di raffinata cultura grazie a Signori illuminati come quelli di Urbino seguí sotto il Papato quel nuovo periodo d’isolamento di provincia che tanto doveva star stretto a un genio come Giacomo Leopardi, e cosí anche la produzione del vino come il resto ristagnava.

Con il Regno d’Italia, la vitivinicoltura marchigiana torna a fiorire; la dominazione piemontese portò in queste terre il modello produttivo che piú le era caro per la vicinanza geografica e culturale del Piemonte alla Francia: vitigni internazionali (Pinot Noir, Chardonnay, Merlot, Sauvignon Blanc) e tecniche di Cantina allora all’avanguardia. Questo segnò un punto di vera rinascita, cui col tempo seguí la ripresa di una coscienza piú territoriale.

La tipicità di una Regione come le Marche si riconosce oggi proprio nella sua natura di terra di confine.

Nella Provincia di Pesaro-Urbino, al confine con la Romagna, si ritrova una netta dominanza di Sangiovese e anche una presenza di Biancame; in quella di Ascoli Piceno (che comprende anche la vocata zona di Offida), al confine con l’Abbruzzo, si coltivano molto il Pecorino e soprattutto il Montepulciano. E questi due dati non devono esser letti come un’imitazione da parte di zone delle Marche di ciò che si trovano vicino, ma sono invece proprio il segno della liquidità dei confini regionali: che, se da un lato sono figli di un forte principio culturale identitario, dall’altro naturalmente non possono – specie in questi casi di storie di frontiera – impedire a due identità di fondersi al punto da rendere impossibile determinare per alcuni tratti che cosa sia dell’una e che cosa dell’altra.

Il centro della Regione è però dominato da vini piú strettamente legati al suo proprio cuore identitario.

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Si tratta soprattutto del Verdicchio: vitigno nel quale a volte viene erroneamente addirittura risolta tutta la viticoltura marchigiana (che invece ha anche molto altro), ma che certo ne segna la piú potente cifra identitaria. è un vitigno a bacca bianca di enormi potenzialità, probabilmente uno dei migliori due o tre che abbiamo in Italia: se ne fanno vini di tutti i tipi, dagli spumanti ai dolci; le due aree di elezione sono i Castelli di Jesi e Matelica.

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Ma questa zona centrale è anche la terra dei vini del Conero e – piú verso l’interno – della Vernaccia di Serrapetrona, particolarissimo spumante rosso ottenuto per tripla fermentazione a partire da uve di Vinaccia Nera del quale si consiglia caldamente (qualora non si sia già provveduto) di fare esperimento: la versione secca magari in abbinamento a un carrello di bolliti, quella amabile a pasticceria con frutti di bosco.