Quindi mentre parliamo mi psicoanalizzi? [Psicologia in pillole]

sara-poggiodi Sara Poggio

 
Dopo le abbuffate di Natale e in attesa dei festeggiamenti di Capodanno, eccoci di nuovo ad affrontare uno dei falsi miti più diffusi sulla mia professione: quello che tutti gli psicologi, in qualsiasi contesto extra-lavorativo, si divertano ad analizzare i loro interlocutori.
Se avessi avuto un euro ogni volta che mi sono sentita dire “Quindi mi stai psicoanalizzando?” durante una cena non avrei bisogno di svolgere la libera professione!

L’immagine di noi psicologi come instancabili lavoratori, tanto dediti da non concederci nemmeno lo svago tra amici, può essere quasi lusinghiera, ma contiene almeno due importanti fraintendimenti: che la terapia non sia un lavoro, ma un passatempo, e che possiamo essere in grado di leggere nel pensiero.

Per quanto riguarda il primo punto, la psicoterapia non ha nulla a che fare con una chiacchierata tra amici perché l’attenzione è rivolta esclusivamente alla persona che richiede aiuto, non c’è giudizio, vengono messe a disposizione competenze efficaci per aiutare ad affrontare il momento di crisi e difficilmente vengono dati consigli, ma si cercano di scoprire insieme le risorse che ognuno di noi ha per affrontare i problemi.

La psicoterapia è una cosa talmente seria che ormai un numero crescente di terapiastudi dimostrano come modifichi il cervello quantomeno a livello funzionale e che abbia un’efficacia pari a quella dei trattamenti farmacologici (per un assaggio leggete qui).

Detto questo, è francamente improbabile che il sabato sera voglia accollarmi gratuitamente tale responsabilità, soprattutto se non è la persona stessa ad accordarmela! Alla fine è come se voi foste dei muratori a cena da amici e, notata un po’ di umidità sul muro, tra l’antipasto e il primo iniziaste a togliere l’intonaco senza chiedere il permesso ai padroni di casa!

E da qui passiamo al secondo punto, quello per il quale possiamo entrare nella mente degli altri senza chiedere il permesso; questo è un errore di termini che commettiamo tutti nelle relazioni quotidiane: quello di confondere la comunicazione con l’estrazione di informazioni.

Per comunicare dobbiamo far capire al nostro interlocutore che siamo intenzionati a parlare con lui, avere un obiettivo comunicativo condiviso, avere una serie di conoscenze in comune e abbiamo bisogno che l’altra persona abbia le nostre stesse intenzioni. Facciamo estrazione di informazioni tutte le volte che traiamo delle conclusioni da comportamenti o parole non rivolti a noi in modo intenzionale.

Ed ecco il tranello: spesso ci illudiamo di riuscire a comprendere informazioni, carpire atteggiamenti rivelatori di chissà quali pensieri quando in realtà stiamo facendo solo delle supposizioni in base a comportamenti non rivolti a noi, confondendoli con la comunicazione vera e propria.
Pensate a quante volte ci capita di farci dei lunghissimi film mentali sul “Guarda Tizio, si vede che sta parlando male di me con Caio!”.

In terapia e nella vita difficilmente riusciamo a leggere nel pensiero senza incappare nell’errore e, soprattutto, quello che pensiamo degli altri spesso ci parla più di noi che di loro! Approfittiamo dell’anno che verrà per darci un buon proposito: supporre di meno e comunicare di più!

Se avete curiosità o domande potete scrivermi a poggio_sara@libero.it e i vostri quesiti saranno i protagonisti di “Psicologia in pillole”!

 

Dr.ssa Sara Poggio-Psicologa, Psicoterapeuta Cognitiva

poggio_sara@libero.it

In Forma Mentis-Studio di Psicologia e Chinesiologia, Acqui Terme