Primo maggio: solidarietà o fuga? [Controvento]

Primo maggiodi Ettore Grassano

 

Partiamo dai fondamentali. “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Poco credibile, lo sappiamo. Ma del resto che pretendete da un testo che procede con “la sovranità appartiene appartiene al popolo”, ecc ecc…? E’ l’articolo 1 della Costituzione, ma sembra fantascienza, no?

Primo maggio di festa, recitava una bella canzone del secolo scorso.

Ma oggi che rimane davvero della festa del lavoro?
I sindacati puntano sulla solidarietà, in maniera sascrosanta. Ma li si accusa di aver sempre la testa rivolta all’indietro, verso un’idea novecentesca del lavoro, e dei diritti.
Mentre la modernità sta in quella flessibilità assai simile al precariato/caporalato che proprio da oggi, per qualche mese, trova una sua bella declinazione nella manodopera ingaggiata ‘spot’ per Expo 2015 dalle varie agenzie interinali. Volete scommettere su quanti di questi lavoratori occasionali saranno pagati regolarmente? Ne parliamo tra qualche mese, alle prime segnalazioni.

Ma davvero sarà quella roba lì, a chiamata, il lavoro del futuro? Ed è così in tutto l’occidente, o l’idea di lavoro legato a professionalità e crescita personale è naufragato solo in Italia?

Perché è chiaro che qui da noi, rispetto a venti o anche solo a dieci anni fa, oggi è davvero un disastro. E si fa fatica a dare torto a chi, potendolo fare, sceglie di gestire oculatamente le risorse di famiglie in investimenti finanziari, anzichè buttarsi in attività da ‘parasalariati’ allo sbando, o peggio ancora in ‘intraprese’ economico-commerciali dalla fine, se non nota, assai prevedibile.

Cerchiamo pure di non essere disfattisti, ma teniamoci anche alla larga da certa enfasiPrecario caricaturale alla “Wroom, tornano a rombare i motori dell’industria“, di cui abbiamo letto e riso (tutti quanti, ammettelo) di recente.

Ricordo che, da ragazzini, a scuola, c’era sempre qualcuno che ci spiegava che nel futuro il lavoro sarebbe cambiato completamente, e che grazie alle nuove tecnologie si sarebbe lavorato sempre meno, e ci sarebbe stato un sacco di tempo libero per curare se stessi, i propri interessi, le passioni.
E tutto ciò era venduto come un sogno bello e positivo, distante dall’austerità da piani quinquennali di certi slogan sindacali dell’epoca (“lavorare meno, lavorare tutti”), e anche da più recenti fesserie di decrescita felice, ossimoro semplicemente ridicolo.

C’era persino qualche politico lungimirante dell’epoca, come l’oggi registra cinematografico “Uolter” Veltroni, che progettava di tenere aperti i cinema al pomeriggio, e di organizzare ovunque rassegne e retrospettive, per impegnare in maniera culturalmente degna il nostro crescente tempo libero.

Le cose sono andate, e stanno andando, un po’ diversamente. Nel senso che il lavoro non è scomparso per nulla, ma si è completamente de-valorizzato. Conosco orde di quaranta-trentenni che di lavori ne fanno anche tre, sempre di corsa come topini sulla ruota: per arrivare a tirare su a fine mese l’equivalente della pensione del babbo, se va bene e si danno da fare. E altri che, assai più saggiamente (ma ovviamente partendo da una discreta base di partenza) preferiscono dedicarsi ad una dignitosa gestione finanziaria delle risorse di famiglia, invero sempre più problematica nel caso ci siano risvolti di patrimonio immobiliare: oggi in Italia più case possiedi, a parte la prima, e più sei guardato con un mix di solidarietà e compatimento.

Però queste sono riflessioni già vecchie, in tempo di Renzismo dilagante. Oggi occorre guardare al futuro con rinnovato ottimismo, o si è portatori di rogna. Guai a sottolineare, ad esempio, che degli ‘strombazzati’ enne mila nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato creati in Italia da gennaio ad oggi non ce n’è neanche uno vero, o in più: perchè sono tutti contratti atipici trasformati grazie agli sgravi contributivi.

Tradotto: i nuovi assunti a tempo indeterminato erano precari prima, e lo sono ora. La differenza è che ora i contributi non li paga più il datore di lavoro (per tre anni), ma lo Stato li riconosce in maniera figurativa. Sono tutti problemi dell’Inps di Tito Boeri, semmai.

In più, c’è la rivoluzione lessicale renziana: tutti i dipendenti sono oggi a tempo indeterminato, semplicemente perché il tempo indeterminato nella sua accezione ‘novecentesca’, da statuto dei lavoratori, semplicemente non esiste più. Resiste, semmai: in alcuni vecchi contratti privati, e nel pubblico impiego. Ma sono trincee che ‘salteranno’ presto, baluardi di un mondo che fu.

Primo maggio, dunque, festa del lavoro che verrà. Lavoro come quello dell’Expo, a ‘chiamata’ di agenzia interinale, per fare quel che serve, nel momento in cui serve. Prendere o lasciare. Un nuovo caporalato, da cui chi può si tiene alla larga, guardando altrove, inteso come confini extra nazionali.
E sul tema vi invito a rileggere la bella analisi del professor Soro sul capitale umano, che abbiamo pubblicato di recente.

Laureati fugaLa mobilità del migrante, per quanto di lusso e qualificato, sta tornando “à la page” pure fra gli italiani. Non si parte più per l’Argentina, o per le miniere di carbone del Belgio: ma oggi un ragazzo o una ragazza in gamba, presa una laurea possibilmente non completamente inutile e acquisita la conoscenza di un paio di lingue straniere (inglese d’obbligo), che altro dovrebbero fare, se non provarci davvero, altrove?