Libri gialli camicie nere [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana

Per sentirmi un po’ meno Straniero nel presente, mi dedico a un salto nel passato per un breve ricordo di Augusto De Angelis, autore simbolo della narrativa gialla italiana nel decennio 1930/1940 e oggi ripubblicato dalla casa editrice Sellerio dopo un periodo di silenzio editoriale. De Angelis è il romanziere a cui ho già voluto rendere un personale omaggio prendendone in prestito il nome di battesimo per il commissario Augusto Maria Bendicò, protagonista  del mio recente L’uomo dei temporali.

Come lascia intendere il suo stesso nome, De Angelis era di origine romane e, pur essendo avvezzo all’uso della penna, pubblicò il suo primo romanzo (Robin agente segreto, per il Cerchio Blu), solo all’età di quarantadue anni. Ottenne subito un buon successo di pubblico e si garantì un futuro, seppur breve, dati i tempi e la censura, da prolifico scrittore di enigmi e misteri. E mentre lui usava la penna per indagare la morte violenta, altri, sui muri, inneggiavano ai principi del regime scrivendo a caratteri cubitali con tanto di pennello motti quali Libro e Moschetto Fascista Perfetto. Senza specificare però che il libro in questione non doveva rientrare in quel genere che noi oggi classifichiamo come giallo (neologismo che, paradossalmente nasce proprio nel ventennio grazie alla collana dei romanzi editi da Mondadori con la ormai famosa copertina gialla nel settembre del 1929, con i primi quattro titoli, tutti di autori stranieri: La strana morte del signor Benson di S.S. Van Dine, L’uomo dai due corpi di Edgar Wallace, Il club dei suicidi di Robert Louis Stevenson, e Il mistero delle due cugine di Anne Katherine Green).

Nonostante la censura, qualche volta chiudere un occhio era possibile, e se, vagheggiando in un mondo fantastico, un morto ammazzato era proprio indispensabile per dare un’emozione diversa al lettore, il colpevole dell’omicidio doveva essere rigorosamente straniero. Tutto questo in nome di regole e proibizioni ferree secondo cui nessun italiano si poteva macchiare di un crimine. Un volo con la fantasia era ammesso, ma non al punto da far supporre l’esistenza di una realtà dove l’illegalità potesse avere il sopravvento. Gli italiani erano brava gente e il regime di Mussolini, grazie anche alla sua opera educativa, era capace di mantenere ordine e disciplina. Anche a costo di consumare qualche manganello sulla schiena dei più duri di comprendonio.

Nel 1931, su precisa disposizione del governo fascista, tutti gli editori vennero obbligati a pubblicare almeno il 15% di opere a firma di italiani, e qualche autore di casa nostra incominciò a fare capolino con case editrici come Sonzogno, Nerbini, Minerva scrivendo di enigmi dalle ambientazioni fragili, intrecci macchinosi, veleni e pugnali, il tutto in atmosfere che nulla avevano da condividere con la realtà quotidiana. La collana di Mondatori sarà destinata poi a soccombere alle accuse di diseducatività scagliate dal potere fascista e verrà sospesa nel 1941 con la pubblicazione del numero 266 (che, per ironia della sorte, portava proprio una firma italiana, quella di Ezio D’Errico, con il romanzo La casa inabitabile).

Nonostante l’epoca, Augusto De Angelis riuscì a emergere coraggiosamente dalDe Angelis De Vincenzi mucchio con la creazione del commissario De Vincenzi, poliziotto caratterizzato da grandi doti di umanità e sensibilità unite a una non comune capacità di analisi psicologica del delitto e dei suoi protagonisti. Fu protagonista di romanzi di spiccata atmosfera (oggi da molti considerati veri e propri testi da consultare per ricostruire uno spaccato di società) quali L’albergo delle tre rose, Allucinazione, Il banchiere assassinato, Sei donne e un libro, Il candeliere a sette fiamme e noto al grande pubblico per un rigurgito di interesse esploso a metà degli anni settanta per la riduzione televisiva con il volto donatogli da un rigoroso Paolo Stoppa.

A causa dei suoi articoli pubblicati sulla Gazzetta del Popolo, scritti tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, fu arrestato con l’accusa di antifascismo e successivamente trasferito nel carcere di Como. Uscì di prigione dopo aver scontato dieci mesi di detenzione. Provato e debilitato, tornò a Bellagio dove il destino lo fece incontrare con un repubblichino della zona. Coinvolto in una banale discussione, venne aggredito con pugni e calci. Morì pochi giorni dopo per le conseguenze del pestaggio. Una morte emblematica. Una coscienza civile soppressa brutalmente. E questo non è sufficiente a farci ricordare di lui per i suoi meriti di uomo e letterato che ha lasciato una traccia significativa del secolo scorso. Forse perché ancora oggi non è consentita l’idea che un grande della scrittura possa essere un grande del giallo, e viceversa. Altro mistero da dipanare. Mistero nel mistero.