I rischi della memoria immobile

Bergaglio Ceciliadi Cecilia Bergaglio
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Una memoria immobile si irrigidisce fino ad atrofizzarsi, fino a diventare puro rito fine a se stesso. La riflessione su questo tema è una riflessione complessa e urgente in un Paese sull’orlo del baratro come il nostro, in cui la memoria del passato è diventata sempre più corta con pericolose conseguenze per il presente e per il futuro.

In questo senso la commemorazione dell’eccidio dei martiri della Benedicta (Comune di Bosio, Provincia di Alessandria), svoltasi domenica 7 aprile, suona o dovrebbe suonare per tutti noi come un campanello di allarme. Non è il primo e sicuramente non sarà l’ultimo, basta ascoltare. Come da una tradizione ormai quasi settantennale, la commemorazione si ripete immutata: avvolti tra le nuvole e il freddo, la Santa Messa nel sacrario, le orazioni ufficiali una dietro l’altra e poi tutti a casa. Ma basta guardarsi intorno, lassù, per accorgersi che qualcosa non va: il pubblico è sempre meno numeroso, l’età media sempre più avanzata, facce nuove non pervenute. Ci sono tutti quelli che ci devono essere, istituzioni, politica, associazioni. Ma dove è la gente – la famosa società civile? – che deve ricordare per quale motivo più di cento ragazzi poco più che adolescenti, disarmati, sono stati assassinati da parte dei nazifascisti? Qui non c’è, o, almeno, c’è in parte minima. Sicuramente insufficiente.

Tutti gli interventi che si succedono nell’arco della mattinata sollevano il problema: Incontro con Italo Calvinotramandare una memoria storica esemplificativa come quella della Benedicta è diventato sempre più difficile. E ogni anno si lancia il monito standard “bisogna ricordare perché i giovani non dimentichino”. Ma “qui” di “giovani” non ce ne sono, ad eccezion fatta per gli alunni della scuola media di Silvano d’Orba e la loro lodevole iniziativa. E, poi quell’agghiacciante “siamo ancora qui” pronunciato dal palco. Ma che cosa significa? Forse che, sepolti i superstiti, seppelliremo anche la memoria? Non ce lo possiamo di certo permettere.

E allora forse, settant’anni dopo, nel bel mezzo di una crisi politica, culturale, economica senza precedenti, è giunta l’ora di ricominciare. Ricominciare dalla memoria. Ricominciare a chiedersi cosa significhi “tramandare” una memoria. Se sia solo sinonimo di commemorazione, di rito o ci sia anche qualcos’altro. Ricominciare a scoprirne i contenuti, considerandoli per la loro vitalità e non per la loro immobilità. Ricominciare a pensarne i linguaggi: modernizzare la memoria perché risulti comprensibile ai nostri contemporanei, alla gente che vive nel 2013. Ricominciare dall’antifascismo e dalla difesa delle istituzioni democratico – repubblicane, perché fanno parte di quei valori di cui ci siamo sbarazzati con troppa fretta e persino con un po’ di vergogna. Senza pensare alla conseguenze di un gesto così grave e così avventato. E che ora sono sotto gli occhi di tutti.