Ultima denominazione istituita in Regione Piemonte (salvo novità dell’ultimo minuto che io mi sia perso) è la D.O.C. Calosso: il Decreto che sancisce il disciplinare risale al novembre del 2011. Si tratta di una tipologia non molto famosa, e questo è dovuto almeno a tre fattori: intanto la recente creazione di cui si diceva, poi – in conseguenza di ciò – il fatto che comunicatori e degustatori esperti siano ancora cauti nel parlare di questi vini di cui non si può aver sperimentato la longevità, infine la produzione quantitativamente scarsa come si dirà a breve.
La denominazione si riferisce a vini prodotti in tre Comuni della sola Provincia di Asti: Calosso, Castagnole delle Lanze, Costigliole d’Asti. Almeno il 90% della massa deve esser costituito dal vitigno Gamba Rossa.
Non ci si stupisca se non si è mai sentito nominare quest’uva o se comunque non la si è mai provata personalmente: si tenga conto che gli ettari vitati a Gamba Rossa sono al momento circa dieci, e che il vitigno praticamente era fino ai primissimi anni del secolo che stiamo vivendo in via d’estinzione. Solo pochissimi produttori ne avevano qualche pianta sparsa tra i filari di altre varietà. Si tratta di un vitigno tradizionale, noto come Gamba di Pernice nella zona; rimasto immune alla fillossera (il parassita che ha costretto a reimpiantare la netta maggioranza delle viti europee su piedi di vite americana), cresce ancora a piede franco senza portinnesto.
La Denominazione prevede tre diverse tipologie: quella base, il Riserva, il Passarà (prodotto a partire da uve appassite).
Siccome al momento ora non esiste un Calosso D.O.C. maturo, consiglio per ora di assaggiarlo senz’altro in bicchieri a ballon stelo lungo non troppo ampio poco sopra i 14°C come il vino di non lungo invecchiamento che necessariamente è. Il colore è un rubino intenso; il profumo è piuttosto delicato, ma piacevolmente complesso: fruttato e floreale, con ricordi speziati e una certa nota vegetale; in bocca, in questa fase evolutiva, prevalgono le componenti dure e il finale è tipicamente ammandorlato. Si tratta, insomma, di un assaggio non troppo facile ma piacevole e caratteristicamente riconoscibile.
Il consiglio è di accompagnare questo vino a preparazioni di carne, magari un poco grasse e condite di un’adeguata speziatura.
La prova, però, al varco della quale ogni appassionato di enogastronomia aspetta un vino (specie se rosso, specie se piemontese) è quella dell’abbinamento con i formaggi. Io suggerisco di provare il nostro Calosso con un Castelmagno D.O.P., consapevole ma curioso della durezza della sfida. Il formaggio in sé quasi non necessita di presentazioni: prodotto nei Comuni di Monterosso Grana e Pradleves (oltre che chiaramente in quello di Castelmagno), è ottenuto principalmente da latte vaccino; la pasta è bianco-giallognola e semidura, con rare striature blu dovute alla piú o meno leggera erborinatura; oltre al consumo al piatto, è molto usato nella cucina regionale per esempio nella preparazione di risotti e soprattutto gnocchi. Per l’abbinamento col Calosso, curiamo di accompagnare il formaggio con un pezzetto di pane sciapo e una patina quasi invisibile di miele di melata. (Senza far computo delle calorie, per carità!)