Ma cosa potrà mai estrarre dal cilindro il centro destra, per cercare di lanciare un segnale di esistenza in vita, e di speranza al suo vasto elettorato potenziale, oggi amareggiato e allo sbando?
Se lo stanno chiedendo un po’ tutti i commentatori, gli analisti, e magari in modo diverso anche la gente comune.
Che, nella crisi complessiva di consenso da parte di tutte le forze politiche tradizionali, al centro destra sia andata assai peggio che al “resistente” centro sinistra è evidente a tutti.
E si tratta in fondo della logica conseguenza delle scelte, “spalmate” nel tempo, di un blocco politico elettorale che ha puntato tutto, e oltre ogni ragionevole limite di buon gusto, su due figure carismatiche (Berlusconi e Bossi) che impresentabili lo erano già da parecchio, ma che per tante ragioni sono state utilizzate come “bandiere” fino all’altro giorno, praticamente. Senza dietro un progetto comune e condiviso, e con una classe dirigente spesso imbarazzante.
Il risultato è stato (alle amministrative, e nei sondaggi) un tracollo di consenso tale, da far pensare all’esigenza di uno o più nuovi soggetti politici, capaci di una proposta assolutamente diversa. Con un’avvertenza: oggi l’elettorato di centro destra c’entra ormai poco con il vecchio aggettivo “moderato”, in grado forse al più di identificare un profilo di elettore cattolico-centrista. I sostenitori di Casini diciamo, ma dalle nostre parti, in fondo, anche quelli, appunto, dei Moderati, che pure sono, almeno per ora, una costola e una stampella del Pd.
Basta confrontarsi, in strada, con i berlusconiani o leghisti delusi, per rendersi conto che l’etichetta di moderazione non appartiene al loro attuale bagaglio (e forse neppure a quello passato): sono persone incazzate, deluse dallo Stato e anche dal ceto politico che hanno comunque sostenuto dal 1994 ad oggi, e che nei fatti ha portato il Paese nel baratro, negando la crisi fino all’insostenibile, poi attribuendola a ragioni internazionali e al destino cinico e baro, e infine ai “crucchi” e alla finanza internazionale colpevole di aver “decapitato” Berlusconi. In questo c’è anche del vero, è chiaro: il punto è però, in verità, che il Cavaliere non sapeva più che pesci prendere, e in fondo uscire di scena non gli è dispiaciuto poi tanto. Aveva fatto il suo tempo, senza peraltro porsi mai seriamente la questione della successione.
Quando sento Alfano o Cicchitto promettere clamorose novità, mi sembra di ascoltare comprimari stanchi e “fuori parte”, e intuisco il rumore delle unghie che scivolano sui vetri.
Qui (non diversamente, e forse ancor più, che sul fronte del centro sinistra) vale la solita ricetta: non è questione di inventarsi nuovi contenitori, ma di iniettare nelle vene del sistema politico linfa davvero nuova. L’ennesimo restyling oggi sarebbe inutile, e patetico addirittura “aggrapparsi” ad un ritorno del Cavaliere.
Chi è in politica da 40, 30, 20 anni deve passare la mano. Punto. Non ci sono altre soluzioni. Certo, Montezemolo. Di lui torneremo a parlare se e quando ufficializzerà i termini del suo impegno diretto. E verificheremo, soprattutto, chi ci sarà nella sua squadra, e con quali propositi. Ma che Montezemolo, per età (intorno ai 65, ben ritoccati) e per ruolo (razza padrona da sempre, figlio o figlioccio dell’avvocato, e con il curriculum professionale che tutti conosciamo, scivoloni compresi) possa essere colui che galvanizza, rincuora e restituisce entusiasmo all’elettorato italiano di centro destra ho francamente qualche dubbio.
Trovo poi irresistibile il vecchio squalo Romiti quando parla di Lcdm: lo ama proprio come un figlio. Immagino riamatissimo.
Insomma, questo centro destra è proprio a pezzi, e mi riesce difficile immaginare un solo contenitore in grado di coagulare il suo elettorato potenziale, che oggi oscilla tra l’astensione (maggioritaria) e una certa attenzione dei più giovani (e meno ideologici) per il Movimento 5 Stelle.
La Lega, poi meriterebbe un discorso a parte. E’ evidente che è stata “impallinata” (e, se non distrutta, certamente molto indebolita) nel momento in cui non serviva più come stampella del berlusconismo. Ma il punto vero rimane la qualità morale della sua classe dirigente, e non altro. Esempi evidenti ne abbiamo avuti anche in provincia, e si è sempre parlato di mele marce. Ma a quanto pare il marcio era assai ramificato e diffuso, tanto da mettere a rischio la vita dell’intero albero. Le rifondazioni sono sempre possibili, per carità: ma sono percorsi lunghi, e a volte storicamente fuori tempo. Ne riparleremo.
E. G.