L’architettura rossa di Cascina Meraviglia, perfettamente integrata nel paesaggio naturale fuori Fubine, accoglie il visitatore con compostezza solenne e cordiale. Dentro i suoi ambienti di costruzione secentesca, giovani in camice bianco lavorano in laboratorî d’avanguardia. Questa è la sede di “Enosis”.
Il padrone di casa è il dottor Donato Lanati, enologo rinomato in tutto il mondo, Oscar del Vino “BIBENDA” nel 2015. Davanti a qualche calice di “Pisopo”, il vino prodotto nella zona dallo stesso Lanati con trentasei varietà italiane di uva, “il Dottore” – come lo chiamano tutti a Cascina Meraviglia – ci parla della sua idea di Enologia. Lui e la dottoressa Dora Marchi, enologa collaboratrice di Lanati e direttrice di “Enosis”, ci tengono a fugare possibili confusioni: la ricerca in campo enologico è la misura della complicità dell’Uomo col proprio territorio.
Esistono, infatti, molte componenti naturalmente presenti nel vino che non si possono percepire coi sensi ma che sono importantissime per lo sviluppo che il prodotto stesso avrà nel tempo: le analisi di laboratorio mettono in evidenza tali componenti e suggeriscono una via da seguire; sarà poi il produttore a scegliere come interpretare queste indicazioni in base ai suoi metodi e alla tradizione del territorio in cui lavora.
La visione, che può apparire fredda e spersonalizzante, di tecnici di laboratorio che maneggiano Barbaresco in provetta è in verità l’immagine di chi ama davvero il Vino e le sue tradizioni: la consapevolezza approfondita della natura del prodotto è lo strumento per completarne una conoscenza che altrimenti è destinata a rimanere fortuita e dilettantesca.
Prova di questo amore delle tradizioni e del territorio sia ad esempio tutto il lavoro speso da Donato Lanati perché la zona tradizionale degli infernot divenisse Patrimonio U.N.E.S.C.O. dell’Umanità.
Alla domanda sul Monferrato, le pupille di Lanati hanno un momento di nistagmo: un movimento minuscolo e improvviso come a inseguire un attimo di visione. (L’intelligenza negli occhi di Donato Lanati ha una luce talmente propria e particolare, che da quando lo si sia incontrato la prima volta può capitare di notare di tanto in tanto nello sguardo di altra gente quello che si definirà “un bagliore d’intelligenza simile a quella di Donato Lanati”.)
«Il Monferrato è una terra stupenda, a misura d’Uomo, fatta di visioni larghe.», e fa un lungo gesto orizzontale con la mano tesa: «Ci trovi tutto: vigneti, noccioleti, rovi, il bosco…!».
Ma il Monferrato vitivinicolo avrà fortuna? Lui si apre in un’espressione che è un misto di fede speranza carità; poi, risponde deciso: «Avrà fortuna il Monferrato? Certo che ce l’avrà! Ma i Comuni dovrebbero fare rete ed incolonnarsi: che non vuol dire mettersi in coda, ma far forza in una medesima direzione.».
A una domanda su quale vitigno sia il piú promettente per un grande vino nella zona, risponde subito: «Il Grignolino dà un buon vino, ma non ha potenzialità d’invecchiamento: dati alla mano,» (e indica solo a scopo esemplificativo una pila di tabelle di dati di analisi su diverse tipologie di Moscato che si trova sul tavolo accanto a lui) «per far durare un Grignolino devi usare la barrique in un modo che alla fine ti bevi il legno invece che il vino!».
Poi, fa una breve pausa prima di riprendere: «Il Barbera è la soluzione su cui investire. E l’Albarossa di Giovanni Dalmasso».
Si potrebbe costruire con l’Albarossa in Monferrato una zonazione simile a quella del Nerello Mascalese sull’Etna, facendone l’emblema e come l’alfiere del territorio?
Sorride: «Certo. Ma bisognerebbe fare fronte comune, invece qui ognuno…; quello che servirebbe è un’azienda leader, e dovrebbe essere un’azienda locale».
E poi: «Si può fare sí, il miglior vino del Mondo nel Monferrato! Io ho individuato cinque ettari, almeno nelle zone che ho visitato io.». Non sono cinque ettari continui: un poco qua, un poco là. «Due si trovano nella Valle Ghenza. In questi cinque ettari, qui in Monferrato, si può fare il miglior vino del Mondo!». Su che cosa ci sia attualmente su questi cinque ettari, per ora si tace. Ma Donato Lanati, se dice “il miglior vino del mondo”, intende “il miglior vino del mondo”.
Altri progetti per il Monferrato, passati e futuri?
Allarga le mani con una breve inspirazione: «Avevo pensato di farne un manuale d’uso del territorio paesaggistico ed enogastronomico: non di pubblicità, ma una cartografia partecipata in cui si possa diventare attore della Geografia.».
Alle sue spalle, giú dalla grande finestra aperta sul Monferrato, il maltempo ha lasciato la scena ad una di quelle visioni larghe. Donato Lanati non si volta, ma sembra sentire il paesaggio che dietro di lui compare nella luce via via meno grigia. Fa un breve sorriso: «Le varietà di uva, come sai, contribuiscono alla specificità del vino in piccolissima parte: tutto il resto è il territorio; il territorio è fatto di molecole che consentono al D.N.A. dell’uva di funzionare. Ma sono gli Uomini che fanno il territorio.».
Con la scusa di alzarsi per disegnare alla lavagna uno schema di molecola, tuffa lo sguardo nel finestrone: «Dobbiamo rimetterci a studiare. Dobbiamo riscoprire origine e originalità. È bello perché c’è tutto da fare.».
Poi un’ombra scende sulla sua fronte, gli occhi si rabbuiano in un pensiero scuro improvviso, le labbra hanno una rapida contrazione; e fa: «Certo: abbiamo certe zanzare…!».