Gabiano è il nome di un Comune in Provincia di Alessandria: ma anche di un vino a Denominazione d’Origine Controllata e di una scoperta. La <G> in Piemonte – bisogna pur dirlo – è lettera benedetta da due straordinarie declinazioni del Nebbiolo (Gattinara e Ghemme) e da due o tre stupendi altri vini (il Gavi e i due Grignolino d’Asti e del Monferrato Casalese). La mia scelta ricade con queste righe volutamente su un cugino minore di quei capolavori della vitivinicoltura del nostro Paese: certo meno profondo del Nebbiolo, meno elegante del Cortese, meno vibrante del Grignolino. Ma un vino non è tenuto ad essere profondo elegante vibrante, se ha altro da offrire: la tipicità, ad esempio, e poi la voce franca e piena di un territorio meraviglioso ed un gusto ottimo ed assai generoso negli abbinamenti gastronomici.
L’arringa sopra stesa non vuol essere una giustificazione del Gabiano, che di mie giustificazioni non ha certo bisogno: ma una motivazione di una scelta per un vino spesso quasi assente tanto dalle Guide piú blasonate quanto dalla cultura (e dalla tavola) anche di chi abita a un passo dalla zona di produzione.
Ci viene raccontato che la Barbera fosse coltivata dalle Popolazioni barbare – anche una (para?)etimologia moverebbe in questo senso –, mentre i Liguri latinizzati si fossero da tempo dedicati a vitigni di resa meno facile e di carattere piú complesso; e ci viene detto, quindi, che la denominazione Gabiano raffigurerebbe in certo senso il sincretismo del Territorio. Sarà vero? Secondo me, almeno, è bello.
Il disciplinare prevede, in effetti, che il Gabiano sia prodotto con circa nove parti di Barbera ed una decima di Grignolino o Freisa. La produzione è consentita in un territorio abbastanza ristretto: quello dei Comuni di Gabiano e Moncestino in provincia di Alessandria. Per la tipologia “Riserva” – organoletticamente assai simile al vino base –, è previsto un invecchiamento minimo di due anni ed almeno mezzo grado d’alcol in piú rispetto al Gabiano tout court.
Servito in un bicchiere a ballon stelo lungo di media ampiezza sui 16°C, abbigliato di un rubino che può tendere al granato con l’età, il Gabiano spanderà un fresco odore vinoso (come di mosti in cantina) e di ciliegia sposato a volte a memorie di viola e rosellina di macchia e magari a un sentore di spezie dolci dovuto perlopiú alle tecniche di vinificazione; in bocca, bisogna riconoscere dei tannini non sempre educati, ma anche una gradevole freschezza ed un buon corpo.
Trovo che l’abbinamento ideale sia con formaggi caprini a breve stagionatura, ma anche con preparazioni non troppo complesse di carne di maiale è vino da far bella figura; si presta anche all’accostamento con primi piatti strutturati a base di pasta fresca. Ed in generale sta volentieri a tavola, purché questa sia ben imbandita.
Memento estivo: si tenga da conto questo vino per l’autunno; quando si partirà in cerca di funghi (per boschi o per botteghe), si conservi di essi una piccola parte che si resista alla sana tentazione di mangiar crudi o grigliati. Poi si prenda del riso. L’ideale sarebbe il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese: ottima D.O.P. piemontese, questo riso (che appartiene alle varietà: Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, Gladio, Loto, S.Andrea) è particolarmente ricco di profumo grazie alla concentrazione del nutrimento garantita alla pianta dalla scarsa resa che il territorio impone e risulta sempre netto e mai colloso alla cottura. Coi funghi di cui sopra (pochi ne bastano) ed un macinato di carne bovina si prepari un risotto ad arte, lo si sfumi con lo stesso Gabiano che s’intende accompagnarvi, vi si aggiunga con alchemica pazienza brodo di carne, lo si asperga col miglior Parmigiano Reggiano che si riesca a reperire. Poi si porti in tavola col Gabiano: taccio sul resto, per non bruciare la sorpresa.