Oceani sempre più acidi a causa dell’effetto serra

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di Paola Rivaro*

 

Già in passato i lettori di CorriereAl hanno avuto modo di conoscere Paola Rivaro, novese, oceanografa chimica all’Università di Genova che ci ha raccontato le sue missioni in Antartide. In questo editoriale (tratto dalla Unigenews n. 41 del 29 maggio 2015) la professoressa Rivaro analizza e spiega il fenomeno della ‘acidificazione degli oceani’, tema recentemente ripreso anche dal quotidiano La Repubblica.

 

E’ ormai condiviso che attività antropiche quali l’impiego di combustibiliAcid-ocean-sos-photo fossili e la deforestazione abbiano contribuito all’aumento di anidride carbonica (CO2) atmosferica, la cui concentrazione ha raggiunto le 400 parti per milione (ppm). Il dato è preoccupante se confrontato con le 280 ppm, valore considerato rappresentativo dell’epoca pre industriale, e se si considera tale incremento in un arco temporale di circa 200 anni. Secondo molti studi l’aumento di CO2 è fortemente correlato a quello della temperatura media terrestre e ai cambiamenti climatici rilevati negli ultimi decenni.

Grazie ai processi naturali di assorbimento da parte della biosfera terrestre e degli oceani, la quantità di CO2 che si ritrova in atmosfera è pari a circa la metà del valore stimato sulla base delle sue emissioni globali. A seguito della dissoluzione della CO2 in acqua di mare aumenta però la concentrazione degli ioni idrogeno (H+) e di conseguenza il pH diminuisce. Gli oceani possono tamponare minime variazioni di pH grazie ad un sistema di reazioni, ma questa capacità si è ridotta proprio in conseguenza dell’ assorbimento della CO2 antropica, con la comparsa del fenomeno noto come acidificazione oceanica. Non

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bisogna lasciarsi trarre in inganno dal termine acidificazione, poiché l’acqua del mare è e resterà basica (cioè con un pH superiore a 7), ma il pH medio delle acque oceaniche è diminuito nel giro di pochi decenni da 8.20 a circa 8.10. La variazione non è trascurabile, poiché la scala di misura del pH è logaritmica e pertanto a una variazione di 0.1 corrisponde un incremento di ioni H+ del 30%!

Gli oceani polari svolgono un ruolo chiave nel sistema climatico terrestre e nella regolazione della CO2 atmosferica. I processi di raffreddamento e congelamento nelle aree polari producono acque fredde, salate e dense che sprofondando avviano lo schema di circolazione oceanica detto Conveyor belt (nastro trasportatore). Il nastro convoglia le acque profonde dai poli verso l’equatore e le acque superficiali dall’equatore verso i poli, permettendo il trasporto di massa e la ridistribuzione di calore ed è un pilastro fondamentale nel bilancio termico del Pianeta. Poiché la CO2 è più solubile a basse temperature, lo sprofondamento delle acque dense è un meccanismo molto efficiente di rimozione della CO2 atmosferica, al punto che le aree polari si definiscono “pozzi”. Purtroppo, le regioni polari in grado di arginare l’aumento dell’effetto serra, risentono del riscaldamento globale più di altre aree e la formazione di acque dense o la loro azione pozzo si potrebbe indebolire.

In questo contesto, il gruppo di ricerca Oceanografia Chimica del DCCI studia daCoveyor belt alcuni anni l’acidificazione oceanica nel Mare di Ross (Antartide) per comprendere se già si manifestano gli effetti dello scenario riportato in un rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) che, con le emissioni attuali di CO2, prevede per fine secolo un valore di pH oceanico pari a 7.90.

*Docente di Oceanografia Chimica – Università degli Studi di Genova